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Spirito

Mons. Viganò: Punizione ed espiazione. Meditazione Quaresimale

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Renovatio 21 pubblica questa meditazione quaresimale di Mons. Carlo Maria Viganò.

 

 

 

 

 

 

Venite, convertimini ad me, dicit Dominus. 

Venite flentes, fundamus lacrymas ad Deum:

quia nos negleximus, et propter nos terra patitur:

nos iniquitatem fecimus, 

et propter nos fundamenta commota sunt.

Festinemus anteire ante iram Dei,

flentes et dicentes: 

Qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Transitorium ambrosianum

in Dominica Quinquagesimæ 

 

 

 

Venite e convertitevi a me, dice il Signore. Venite piangenti, versiamo le lacrime a Dio: poiché abbiamo trasgredito e a causa nostra la terra soffre: abbiamo commesso iniquità e a causa nostra le sue fondamenta sono state scosse. Affrettiamoci a prevenire l’ira di Dio, piangendo e dicendo: Tu che prendi su di Te i peccati del mondo, abbi pietà di noi. 

 

È difficile, per un uomo di oggi, comprendere queste parole del Messale ambrosiano. Eppure esse sono semplici nella loro severa chiarezza, poiché ci mostrano che la collera di Dio a causa dei nostri peccati e dei nostri tradimenti può essere placata solo con la contrizione e la penitenza. Nel rito romano questo concetto è reso ancor più chiaramente nell’orazione delle Litanie dei Santi: Deus, qui culpa offenderis, pænitentia placaris: preces populi tui supplicantis propitius respice; et flagella tuæ iracundiæ, quæ pro peccatis nostris meremur, averte. O Dio, che sei offeso dalla colpa e placato dalla penitenza: guarda propizio alle preghiere del tuo popolo che Ti implora; e allontana da noi i flagelli della tua ira, che meritiamo a causa dei nostri peccati. 

 

La civiltà cristiana seppe far tesoro di questa nozione salutare, che ci tiene lontano dal peccato non solo per timore del giusto castigo che esso comporta, ma anche per l’offesa arrecata alla Maestà di Dio, «infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa», come ci insegna l’Atto di Dolore.

La civiltà cristiana seppe far tesoro di questa nozione salutare, che ci tiene lontano dal peccato non solo per timore del giusto castigo che esso comporta, ma anche per l’offesa arrecata alla Maestà di Dio

 

Nel corso dei secoli l’umanità convertita a Cristo seppe riconoscere negli eventi luttuosi della storia, nei terremoti, nelle carestie, nelle pestilenze e nelle guerre la punizione di Dio; e sempre il popolo colpito dai flagelli seppe far penitenza e implorare la Misericordia divina.

 

E quando il Signore, la Vergine Santissima o i Santi intervennero nelle vicende umane con apparizioni e rivelazioni, assieme al richiamo all’osservanza della Legge di Dio essi minacciarono grandi tribolazioni se gli uomini non si fossero convertiti.

 

Anche a Fatima Nostra Signora chiese la Consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice dei Primi Sabati come strumento per placare la collera di Dio e poter godere di un periodo di pace. In caso contrario, la Russia «spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte».

 

Cosa dobbiamo attenderci dall’aver disatteso le richieste della Madonna e dall’aver continuato a offendere il Signore con sempre più orribili peccati? «Non hanno voluto soddisfare la Mia richiesta! Come il re di Francia, si pentiranno e la faranno, ma sarà tardi. La Russia avrà già sparso i suoi errori per il mondo, provocando guerre e persecuzioni alla Chiesa».

 

Queste guerre, che oggi affliggono l’umanità per schiavizzarla e sottometterla al piano infernale del Great Reset ispirato al Comunismo cinese, sono ancora una volta l’esito della nostra indocilità, della nostra ostinazione a credere che si possa calpestare la Legge del Signore e bestemmiare il Suo Santo Nome senza conseguenze. Quanta sciagurata presunzione! Quanto orgoglio luciferino! 

 

Il mondo scristianizzato e la mentalità secolarizzata che ha contagiato anche i Cattolici non accettano l’idea di un Dio offeso dai peccati degli uomini, e che li punisce con flagelli perché si pentano e chiedano perdono. Eppure questo concetto è tra quelli che la mano creatrice di Dio ha impresso nell’anima di ogni uomo, ispirandole quel senso di giustizia che hanno anche i pagani. Ma proprio perché presente in tutti gli uomini di tutti i tempi, i contemporanei inorridiscono all’idea di un Dio che premia i buoni e punisce i cattivi, un Dio che si mostra nella Sua collera, che chiede lacrime e sacrifici a chi Lo offende. 

 

Dietro questa avversione per l’ira del Signore offeso dalle colpe dell’umanità – ed ancor più da quelle di coloro che Egli ha reso Suoi figli nel Battesimo – vi è l’odio implacabile del nemico del genere umano per il Sacrificio redentore di Nostro Signore Gesù Cristo, per la Passione del Figlio di Dio, per il riscatto che il Suo Sangue ha meritato a ciascuno di noi, dopo la caduta di Adamo e le nostre colpe personali.

Un odio che si consuma sin dalla creazione dell’uomo, nel folle tentativo di vanificare l’opera di Dio, di sfigurare la creatura fatta a Sua immagine e somiglianza, ed ancor più di impedire la riparazione divina di Cristo

 

Un odio che si consuma sin dalla creazione dell’uomo, nel folle tentativo di vanificare l’opera di Dio, di sfigurare la creatura fatta a Sua immagine e somiglianza, ed ancor più di impedire la riparazione divina di Cristo, nuovo Adamo, e di Maria, nuova Eva. Sulla Croce, il nuovo Adamo ripristina l’ordine infranto dal peccato come Redentore; ai piedi della Croce, la nuova Eva partecipa a questa restaurazione come Corredentrice.

 

Il fallimento dell’azione di Satana si compie nell’obbedienza della Seconda Persona della Santissima Trinità al Padre, nell’umiliazione del Figlio di Dio, così come la tentazione di Adamo si era consumata nella disobbedienza alla volontà del Signore e nell’orgogliosa presunzione di poter infrangere i Suoi ordini senza conseguenze. 

 

Il mondo non accetta il dolore e la morte né come giusta punizione per il peccato originale e i peccati attuali, né come strumento di riscatto e di redenzione in Cristo. Ed è quasi un paradosso: proprio colui che con la tentazione dei nostri Progenitori ha introdotto nel mondo la morte, la malattia e il dolore, non tollera che questi possano essere anche strumento di espiazioni, accettati con umiltà per riparare alla Giustizia infranta. Non tollera che le armi di distruzione e di morte possano essergli strappate per diventare strumenti di ricostruzione e di vita. 

L’uomo contemporaneo è nuovamente ingannato da Satana, come lo fu nel giardino dell’Eden

 

L’uomo contemporaneo è nuovamente ingannato da Satana, come lo fu nel giardino dell’Eden. Allora il Serpente gli fece credere che l’ordine di Dio di non cogliere il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non avrebbe avuto conseguenze, anzi che da quella disobbedienza Adamo sarebbe diventato simile a Dio; oggi lo illude che quelle conseguenze siano ineluttabili, e che egli non possa accettare la morte, la malattia, il dolore come giusta punizione, ribaltandole a proprio vantaggio con l’unirle alla Passione e Morte di Gesù Cristo.

 

Perché nell’accettazione della pena il reo accetta l’autorità del Giudice, riconosce l’infinita gravità della colpa, ripara al crimine commesso ed espia la sanzione meritata. Così facendo, egli torna nella Grazia di Dio, vanificando l’opera di Satana. 

 

Per questo, quanto più si avvicina la fine dei tempi, tanto più si moltiplicano i tentativi del Maligno di cancellare non solo la Verità rivelata da Cristo e predicata attraverso i secoli dalla Santa Chiesa, ma di eliminare il concetto stesso di giustizia che sta alla base della Redenzione, l’idea della necessità della punizione per la violazione, della riparazione della colpa, della gravità della disobbedienza della creatura verso il Creatore.

 

È evidente che quanto più gli uomini sono indotti a credere di non aver commesso alcun peccato, tanto più essi penseranno di non doversi pentire di nulla, di non avere nessun debito di riconoscenza verso Dio che ha tanto amato il mondo, da dare il Suo Figlio Unigenito, obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. 

 

Se ci guardiamo intorno, vediamo come questa cancellazione della Giustizia, del senso del Bene e del Male, dell’idea che vi sia un Dio che premia i buoni e punisce i malvagi porti ad una definitiva, irreparabile e irredimibile ribellione al Signore, premessa per la dannazione eterna delle anime.

Se ci guardiamo intorno, vediamo come questa cancellazione della Giustizia, del senso del Bene e del Male, dell’idea che vi sia un Dio che premia i buoni e punisce i malvagi porti ad una definitiva, irreparabile e irredimibile ribellione al Signore, premessa per la dannazione eterna delle anime

 

Il magistrato che assolve il criminale e punisce la persona retta; il governante che promuove il peccato e il vizio e condanna o impedisce le azioni oneste e virtuose; il medico che considera la malattia come un’opportunità di lucro e la salute come una colpa; il sacerdote che tace sui Novissimi e considera «pagani» concetti come la penitenza, il sacrificio e il digiuno in espiazione dei peccati sono tutti complici, forse inconsapevoli, di questo ultimo inganno di Satana.

 

Un inganno che da un lato nega a Dio la signoria sulle creature e il diritto di premiarle e punirle a seconda delle loro azioni; mentre dall’altro giunge a promettere beni e premi che solo Dio può concedere: «Tutto questo ti darò, se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9), osa dire a Cristo nel deserto, dopo averLo condotto sulla sommità del monte. 

 

Gli eventi presenti, i crimini che quotidianamente sono commessi dall’umanità, la moltitudine di peccati che sfida la Maestà divina, le ingiustizie dei singoli e delle Nazioni, le menzogne e le frodi compiute impunemente non possono essere sconfitte con mezzi umani, nemmeno se un esercito si armasse per ripristinare la giustizia e punire i malvagi. Perché le forze umane, senza la Grazia di Dio e senza che siano vivificate da una visione soprannaturale, risultano sterili e inefficaci. 

 

Ma vi è un modo per combattere questo inganno, nel quale l’umanità è caduta da oltre tre secoli, e cioè da quando ha avuto l’orgoglio e la presunzione di deificare l’uomo e usurpare a Gesù Cristo la Sua corona regale. E questo modo, infallibile perché divino, è il ritorno alla penitenza, al sacrificio, al digiuno.

 

Non la vana penitenza di chi corre su un tapis roulant, né lo stolto sacrificio di chi si rende sterile per non sovrappopolare il pianeta, né il vuoto digiuno di chi si priva della carne in nome dell’ideologia green. Questi sono ancora una volta inganni diabolici, con i quali mettiamo a tacere la nostra coscienza. 

 

La vera penitenza, che la Santa Quaresima ci deve spronare a compiere con frutto, è quella con la quale ognuno di noi offre le privazioni e le sofferenze in espiazione dei propri peccati e di quelli commessi dal prossimo, dalle Nazioni e dagli uomini di Chiesa.

 

Il vero sacrificio è quello con cui ci uniamo con gratitudine e riconoscenza al Sacrificio di Nostro Signore, dando un senso spirituale e un fine soprannaturale al dolore che comunque meritiamo.

Il vero digiuno è quello con cui ci priviamo del cibo non per dimagrire, ma per ripristinare il primato della volontà sulle passioni, dell’anima sul corpo

 

Il vero digiuno è quello con cui ci priviamo del cibo non per dimagrire, ma per ripristinare il primato della volontà sulle passioni, dell’anima sul corpo. 

 

Le penitenze, i sacrifici, i digiuni che compiremo in questa Santa Quaresima avranno un valore di riparazione ed espiazione che meriterà a noi, ai nostri cari, al nostro prossimo, alla Patria, alla Chiesa, al mondo intero e alle anime del Purgatorio quelle Grazie che sole possono fermare l’ira di Dio Padre, perché nel nostro unirci al Sacrificio del Suo Figlio tramuteremo in tesoro soprannaturale ciò che Satana ha causato a tutti noi, inducendoci al peccato con il disobbedire al Signore.

 

Questo tesoro ripristinerà l’ordine infranto, restaurerà la giustizia violata, riparerà alle colpe che abbiamo commesso in Adamo e personalmente.

 

Al chaos infernale va opposto il kosmos divino; al principe di questo mondo, il Re dei re; all’orgoglio l’umiltà, alla ribellione l’obbedienza. «A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme. […] Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (I Pt 2, 21-25). 

 

Concludo questa meditazione citando l’Epistola della Messa del Mercoledì delle Ceneri: essa è tratta dal libro del Profeta Gioele e ci ricorda il ruolo di mediatori e intercessori dei sacerdoti nell’ammonire il popolo di Dio e nel chiamarlo alla conversione. Un ruolo che molti chierici hanno dimenticato, e che anzi rifiutano credendolo retaggio di una Chiesa fuori moda, che non sta al passo con i tempi, che crede ancora che il Signore debba essere «placato» con la penitenza e il digiuno. 

Al chaos infernale va opposto il kosmos divino; al principe di questo mondo, il Re dei re; all’orgoglio l’umiltà, alla ribellione l’obbedienza

 

«Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un’adunanza solenne. Tra il vestibolo e l’altare i sacerdoti, ministri del Signore, piangano, e dicano: Perdona, Signore, perdona al tuo popolo, non abbandonare la tua eredità all’obbrobrio, non la render serva delle nazioni; che non si dica fra i popoli: Dov’è il loro Dio? Il Signore ha mostrato zelo per la sua terra ed ha perdonato al suo popolo. Il Signore ha risposto e ha detto al suo popolo: Ecco che io vi manderò il frumento, il vino e l’olio, e ne avrete in abbondanza, e non vi farò più essere l’obbrobrio delle genti: dice il Signore onnipotente» (Gl 2, 15-19).

 

Finché abbiamo tempo, cari fratelli, chiediamo pietà a Dio, imploriamo il Suo perdono e ripariamo alle colpe commesse. Perché arriverà un giorno in cui il tempo della Misericordia sarà compiuto, ed inizierà quello della Giustizia. Dies illa, dies iræ: calamitatis et miseriæ; dies magna et amara valde. Quel giorno sarà un giorno d’ira: giorno di catastrofe e miseria; un giorno grande e veramente amaro. In quel giorno il Signore verrà a giudicare il mondo con il fuoco: judicare sæculum per ignem

 

Voglia Iddio che gli ammonimenti della Madonna e dei Santi mistici ci inducano, in quest’ora di tenebre, a convertirci davvero, a riconoscere i nostri peccati, a vederli assolti nel Sacramento della Confessione, ad espiarli con digiuni e penitenze.

 

Perché il braccio della Giustizia di Dio sia fermato dai pochi, quando dovrebbe abbattersi sui molti. E così sia. 

 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

2 Marzo 2022

Feria IV Cinerum, in capite jejuni

 

 

 

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Spirito

Bergoglio e il peronismo

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Un argentino che conosce particolarmente bene il Papa, suo connazionale e che si firma «Wanderer», gestisce un blog dal nome Caminante Wanderer in cui fornisce regolarmente notizie romane. Il 15 aprile 2024 ha scritto un articolo dal titolo accattivante, sul rapporto tra il pensiero del Papa regnante e il peronismo, associazione spesso invocata, ma descritta da un esperto. Ecco ampi estratti.

 

L’articolo, firmato Demostene, esordisce spiegando che «chi non vive in Argentina ha difficoltà a comprendere il fenomeno del peronismo. (…) Lo assimilano a un’altra realtà familiare: il socialismo, la democrazia cristiana, il movimento progressista o una variante non ben definita del populismo. D’altro canto è abbastanza comune descrivere l’attuale Papa come un peronista. La conclusione sembra semplice: ci si aspetta che il Papa si comporti come un socialista, un populista, etc.»

 

L’autore esordisce spiegando di cosa si sta parlando: «il peronismo è un fenomeno esclusivamente argentino, che non si identifica con le realtà di altri Paesi», spiega l’autore. «Non è un movimento basato sullo sviluppo concettuale, ma piuttosto un semplice strumento di potere. Una struttura per accedere, utilizzare, conservare e aumentare il potere. Ci sono peronisti di sinistra, di destra e di centro. Ci sono conservatori e rivoluzionari. Tutti hanno le loro ragioni per considerarsi peronisti (…)»

 

«È difficile trovare elementi comuni tra tutti coloro che si definiscono peronisti. Ci sono aspetti caratteristici di molti peronisti, come la protezione dei lavoratori, l’animosità verso gli Stati Uniti, il desiderio di favorire i poveri, la tendenza allo statalismo, etc. Tuttavia sottolineeremo alcuni elementi che si riferiscono (…) alla realtà del suo funzionamento in quasi tutti i suoi aspetti: 1. Il primato del potere; 2. Il disagio dell’eccellenza; 3. Priorità della tattica rispetto alla strategia. Questa è una semplificazione. Esaminiamo il riflesso di queste caratteristiche nella personalità di papa Francesco».

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1) Primato del potere

«A questo proposito, la traiettoria dell’attuale papa è lineare. La maggior parte delle sue azioni portano ad ottenere, utilizzare, mantenere o aumentare il potere».

 

«Vale la pena sottolinearlo, perché spesso si notano alcune contraddizioni concettuali che esso comporta. Per altre persone, questo potrebbe tradursi in profondi divisioni interiori o tradimenti calcolati. Nel caso di Bergoglio, però, la contraddizione teorica ha poca importanza. Può dire qualcosa oggi e sostenere, senza troppe difficoltà, un’idea incompatibile con quanto detto prima, a patto che tutto sia legato ad un unico obiettivo. (…) In realtà, per chi privilegia gli obiettivi pratici, questa contraddizione è evidente. Per Francesco non contano le idee, ma le decisioni e le azioni. Non è un teorico, ma un politico. Qui vale uno dei suoi famosi aforismi: “La realtà è superiore all’idea”. “L’unica verità è la realtà”, diceva Perón».

 

«In questa logica la legge è intesa come un semplice strumento nelle mani di chi detiene il potere. E questa visione spiega certi comportamenti che irritano il giurista o che rispondono a concezioni giuridiche contrarie: per esempio, cambiare le regole procedurali nel mezzo di un processo (ricordiamo cosa è accaduto durante il processo al cardinale Becciu).(…) Se il l’obiettivo desiderato non può essere raggiunto dalla legge, si farà appello alla clemenza o si agirà come se la norma non esistesse. (…) La legge, insomma, non può diventare un ostacolo, poiché è uno strumento di potere. Al punto da essere strumento di vendetta. Come ha detto Perón, “nessuna giustizia per il nemico”».

 

«Qualsiasi organizzazione intermediaria forte è anche una barriera per i detentori del potere supremo. Una fiorente associazione cattolica prende le sue decisioni interne con relativa autonomia, tanto che nella vita quotidiana ha sui suoi membri più influenza del Papa stesso. (…) In questo contesto, gli interventi istituzionali (visite fraterne ai vescovi, commissariati alle congregazioni religiose o ai movimenti laicali, ecc.) sono uno strumento importante per abbattere questa resistenza. Le decisioni papali non devono passare attraverso il filtro di un inquadramento intermediario. (…) Allo stesso modo, si deve comprendere il potere di dimissione dei vescovi e il rifiuto della leadership a vita delle associazioni cattoliche».

 

«Anche all’interno della struttura ecclesiastica, le posizioni inferiori dovrebbero avere la minor autorità possibile. (…) Il capo di un dicastero può essere solo una figura decorativa, perché il contatto diretto con il Papa si fa con un subordinato del dicastero e non con il prefetto. Questo subordinato controlla il suo capo, che si ritrova quindi in una situazione delicata. Il risultato è che le autorità sub-papali tendono a decidere meno, a eseguire le risoluzioni papali o ad attuare solo politiche che sanno con certezza avere l’approvazione del superiore».

 

«Le procedure danno anche all’organizzazione la possibilità di gestire la situazione che può essere frustrante per i detentori del potere supremo. Se un papa deve scegliere un vescovo da una lista di nomi che riceve dalle nunziature, diventa ostaggio della struttura. Lo stesso vale per le beatificazioni e le canonizzazioni. Pertanto, mettere da parte procedure, segni esteriori di autorità o protocolli e cerimoniali dimostra che chi detiene il potere non si sottomette a nulla. E questo si maschera da efficienza, da assenza di segni del passato o da esenzione di forme inutili».

 

«Lo stesso vale per la ricompensa del merito. Non ci sono seggi cardinalizi, perché condizionerebbero l’elezione del Papa. Un vantaggio ricevuto dal Papa non deve basarsi su un diritto; al contrario, trova la sua origine nella volontà del sovrano. (…) Inoltre, nessuna situazione è definitiva. Chi oggi viene promosso cardinale può essere escluso dal Sacro Collegio. Tutto è provvisorio. La paura costante di perdere i propri benefici è un ottimo strumento di sottomissione».

 

«Quando la questione è difficile o complicata, la responsabilità viene trasferita a realtà o corpi impersonali. Il primo è l’insistenza di Francesco sul fatto che la politica da lui perseguita si limita a seguire quanto deciso dai cardinali in conclave. Commissioni successivamente nominate gli permettono di adottare o rinviare una decisione, trasferendo il costo politico su una realtà impersonale. Con un vantaggio in più: si è guadagnato la fama di democratico e di manager che ha la saggezza di seguire i consigli degli esperti».

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2) Disagio di fronte all’eccellenza

«La seconda caratteristica è il disagio rispetto all’eccellenza. In Francesco non c’è disprezzo per il denaro né desiderio di austerità. D’altro canto c’è resistenza o disagio verso tutto ciò che è di qualità».

 

«Le applicazioni sono diverse. Vive a Santa Marta, perché si troverebbe a disagio in un appartamento spazioso in Vaticano; inoltre non vuole essere isolato, il che implicherebbe una perdita di potere. (…) La sua liturgia costa poco. Usa paramenti liturgici brutti, perché in essi si trova a suo agio. (…) Non è andato al concerto in suo onore, perché non gli piace ascoltare quel tipo di musica».

 

«Anche se cerca di far sembrare questi come segni di austerità, è chiaro che non si tratta di soldi. (…) Ma non vi è alcuna difficoltà economica nel portare a Roma musicisti latinoamericani di scarsa qualità o conferenzieri mediocri. Anche per quanto riguarda le ingenti spese della Giornata Mondiale della Gioventù non ci sono problemi di denaro».

 

«Ma bisogna recuperare. Vivere a Santa Marta viene spiegato come esempio di austerità o come mezzo di equilibrio psicologico. Tutto il suo abbigliamento – compreso l’abito liturgico – è spiegato come una manifestazione di semplicità e povertà».

 

«Inoltre, il suo comportamento dimostra che il raggiungimento di obiettivi importanti non richiede strumenti di qualità. Un cambiamento significativo nella disciplina o nella liturgia della Chiesa può essere ottenuto con un testo privo di spessore teologico. Inoltre, è un segno di potere che intellettuali seri facciano analisi serie su dei documenti mediocri. Un trionfo ufficiale del volgare».

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3. Priorità della tattica rispetto alla strategia

«In altre parole, anteporre il breve termine al lungo termine. La vita è breve. Il lungo termine è lontano, e le decisioni i cui effetti influenzano davvero l’intensità del potere e la popolarità di un leader che arriva al potere in età avanzata sono quelle che vengono prese nel breve periodo».

 

«Queste sono le decisioni che il Papa preferisce. Sul piano tattico il Papa si sforzerà di non rinunciare a nessuna decisione. La nomina dei suoi veri collaboratori, l’influenza sui processi elettorali immediati, l’attuale consenso dei media, la gestione economica che ritiene decisiva, le operazioni politiche che lo interessano, ecc. gli sono riservati. In generale, il Papa deve avere la possibilità di intervenire, se lo desidera, in qualunque tipo di determinazione».

 

«Le consuete operazioni di stampa sostengono il racconto di un papa riformatore, che apporta cambiamenti irreversibili in tutti gli ambiti della Chiesa. E che coloro che gli si oppongono sono conservatori minoritari ma potenti, ancorati a strutture esterne, da cui beneficiano. (…) Il rinnovo permanente degli addetti stampa rientra nel breve periodo. Periodicamente devono emergere nuovi nemici, mosse sorprendenti e grandi cambiamenti attesi, la cui pubblicità mantiene l’importanza del leader».

 

«L’enfasi sulla tattica è anche un problema di limitazione, comune alla maggior parte degli esseri umani. Pochi uomini sono capaci di prendere decisioni che abbiano un impatto profondo e duraturo sulla mente delle persone. La maggior parte di noi è mediocre e agisce secondo le proprie capacità».

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Spirito

50 anni delle Suore della Fraternità San Pio X

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Sabato 13 aprile 2024, don David Pagliarani, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, ha celebrato presso il Seminario di Econe una messa di ringraziamento per il cinquantesimo anniversario della fondazione delle Suore della Fraternità. Quasi tutte le suore erano presenti a questo evento storico.   Nella sua omelia, don Pagliarani evoca la grandezza dell’eccezionale vocazione di Suora della Fraternità San Pio           Le Suore rendono omaggio a turno alla tomba di S.E. Mons. Lefebvre, cofondatore della loro Congregazione.       Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Geopolitica

Armenia, Pasqua di tensioni tra la Chiesa e il primo ministro

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Pašinyan «predica» utilizzando salmi e immagini del Vangelo per difendere la sua politica. Karekin II e il clero gli rispondono che il suo compito è «guarire le ferite del suo popolo che subito gravi perdite». Dietro allo scontro la ferita della rinuncia al Nagorno Karabakh mentre è tornata a salire la tensione con l’Azerbaigian.

 

Molti sacerdoti della Chiesa Apostolica armena hanno reagito alla «predica politica» del primo ministro Nikol Pašinyan durante le celebrazioni della Pasqua, che in armeno è chiamata Zurb Zatik, «Liberazione dalla Sofferenza» e si celebra secondo il calendario gregoriano, in quanto gli armeni non hanno seguito gli ortodossi di tradizione bizantina nel difendere il «vecchio calendario». Lo stesso patriarca, il katholikos Karekin II, nel suo messaggio pasquale ha ammonito i fedeli che «ci troviamo in tempi difficili e pieni di imprevisti per l’Armenia».

 

La sera della vigilia pasquale, il Čragalujts, Pašinyan ha incontrato i membri del suo partito dell’Accordo Civile nella città di Artašat, centro amministrativo della regione di Ararat, e nel corso della discussione ha fatto ricorso inaspettatamente al Discorso della Montagna di Gesù, dichiarando che «la dimensione politica delle fondamenta del cristianesimo per me non è meno importante di quella spirituale», in quanto «Gesù Cristo non è soltanto il Figlio di Dio, ma anche la figura ideale del leader».

 

Il Signore era anche «un grandissimo rivoluzionario, che per un certo periodo è andato in giro per il mondo, cambiandolo profondamente con le sue azioni». Il premier ha quindi paragonato il destino del Salvatore con quello del suo partito, che diverse volte «era morto» e poi «è sempre risorto», vedendo un particolare significato nelle parole del Vangelo che proclamano «Beati i perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli», parole «che mi hanno sempre dato tanta forza nei momenti più difficili», ha concluso Pašinyan.

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In questi giorni diversi membri del clero hanno commentato queste parole, a cominciare dal capo del servizio informativo della curia di Ečmjadzin, la sede patriarcale, il sacerdote Esai Artenyan, che ha ricordato come «Cristo fu crocifisso proprio perché non voleva essere un rivoluzionario, e prendere il potere… nel Vangelo ci sono molte testimonianze del fatto che gli ebrei volessero che Gesù diventasse re, ma il Signore si è rifiutato, speravano che li guidasse alla rivolta contro l’imperatore e li liberasse dal giogo dei romani, ma Cristo è il re celeste, come Lui stesso più volte ha spiegato». Padre Esai non ha fatto il nome di Pašinyan, ma i suoi follower sulle reti social hanno capito a chi si riferiva.

 

Del resto non è la prima polemica che nasce tra il premier e la Chiesa armena, e Pašinyan ha perfino rifiutato di partecipare alle celebrazioni pasquali, limitandosi a rivolgere un saluto a tutti i credenti in un breve video pubblicato nei giorni precedenti, in cui invece di congratularsi ha letto il testo del salmo 25, «Signore, fammi giustizia, nell’integrità ho camminato». Il premier ha cominciato nei suoi discorsi a citare passi di letteratura religiosa da alcuni anni, senza spiegarne le motivazioni.

 

Mentre Pašinyan teneva il suo «discorso della montagna» ai piedi dell’Ararat, il patriarca Karekin II guidava i fedeli nel corteo della veglia con le lampade accese al cero pasquale, e anche nella sua omelia non sono mancati i commenti alla situazione politica, esortando i fedeli a «dare la giusta risposta alle realtà che ci affliggono, il compito del nostro popolo è quello di superare le divisioni interne e l’incomunicabilità, guarire le ferite del popolo che ha sofferto di gravi perdite, rafforzando la Patria unendo le forze». La grazia del Risorto deve fare in modo che «non ci riduciamo a essere una nazione debole e sconsolata, che mette in pericolo il futuro e l’indipendenza della nostra Patria».

 

La Chiesa ha sempre criticato l’arrendevolezza del governo sulla questione dell’Artsakh, la «terra dei nostri guerrieri e dei nostri martiri», ha ricordato il katholikos.

 

Nel Nagorno Karabakh stanno «le tombe scavate per noi malvagi, ma la tomba di chi vince l’angoscia della morte insieme a Cristo è vuota, noi crediamo nella risurrezione». Le parole del capo dei cristiani armeni sono risuonate come un appello a riprendere la lotta contro il nemico, proprio nei giorni in cui si rinnovano i conflitti di frontiera con l’Azerbaigian. In Armenia i politici parlano con i versi dei salmi e dei vangeli, mentre i preti usano la lingua della politica e della guerra.

 

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