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Geopolitica

L’Ungheria blocca gli aiuti all’Ucraina per aiutare Trump

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L’Ungheria sta intenzionalmente ritardando l’approvazione di una modifica procedurale relativa alle sanzioni alla Russia, necessaria per un prestito pianificato del G7 all’Ucraina. Lo riporta Politico lunedì, che cita diplomatici dell’UE.

 

Secondo l’articolo del sito, gli sforzi di Budapest sono volti ad «aiutare» a salvare Donald Trump dall’essere gravato dal prestito se vincesse le elezioni del mese prossimo.

 

Il G7 ha in programma di emettere un prestito di 45 miliardi di euro (50 miliardi di dollari) all’Ucraina utilizzando i profitti inattesi derivanti dagli asset russi congelati in Occidente per rimborsare gradualmente il denaro. La Commissione europea si è impegnata a contribuire fino a 35 miliardi di euro, mentre il resto ricadrà sugli Stati Uniti e sugli altri membri del G7.

 

Tuttavia, Washington si è preoccupata della fattibilità a lungo termine del piano, dato che le sanzioni dell’UE, comprese quelle che prendono di mira i beni congelati, devono essere rinnovate con approvazione unanime ogni sei mesi. Ciò ha spinto Bruxelles a proporre di estendere il periodo tra le approvazioni a 36 mesi.

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Mentre la maggior parte degli stati membri sarebbe favorevole al cambiamento, la scorsa settimana l’Ungheria ha esortato tutti gli interessati a rinviare la decisione. Parlando ai giornalisti dopo una riunione ministeriale in Lussemburgo, il ministro delle finanze ungherese Mihaly Varga ha suggerito che l’UE dovrebbe attendere le elezioni presidenziali statunitensi del mese prossimo e pianificare i prossimi passi in base a chi vincerà.

 

«Crediamo che questa questione – la proroga delle sanzioni russe – debba essere decisa dopo le elezioni americane… Dobbiamo vedere in quale direzione andrà la futura amministrazione americana su questa questione», ha affermato, notando che i due candidati, Trump e Kamala Harris, hanno opinioni opposte sul conflitto ucraino, «uno, nella direzione della pace, e l’altro per continuare con la guerra».

 

Secondo Politico, Budapest ha a cuore gli interessi di Trump con il suo approccio. Fonti affermano che se l’UE dovesse approvare il prestito senza gli USA, Trump non avrebbe alcun obbligo di sostenere l’iniziativa se venisse eletto e sarebbe libero di abbandonare l’intero piano e, forse, di smettere del tutto di aiutare l’Ucraina, cosa che ha già minacciato di fare.

 

«A loro non importa se l’Europa deve pagare di più. Si tratta di aiutare Trump», ha detto a Politico un diplomatico UE anonimo citato.

 

«Stiamo facendo pressione, ma finora Orban non cede», ha detto un altro. Fonti hanno aggiunto che la questione è considerata critica in quanto potrebbe causare una «rottura dell’unità transatlantica» sul sostegno finanziario all’Ucraina.

 

Orban e Trump hanno instaurato strette relazioni durante la presidenza di quest’ultimo, e il leader ungherese è stato un entusiasta sostenitore dell’attuale campagna del repubblicano, affermando all’inizio di questo mese che avrebbe «aperto diverse bottiglie di champagne» se Trump fosse stato eletto. Entrambi hanno anche sostenuto una rapida soluzione diplomatica al conflitto in Ucraina, e Orban ha affermato in più di un’occasione che ci sarebbero maggiori possibilità di raggiungere un accordo di pace se Trump vincesse.

 

Si prevede che le modifiche alle sanzioni dell’UE saranno discusse durante il vertice dei leader dell’UE in programma a Bruxelles mercoledì.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’UE ha sinora respinto con forza le proposte di pace di Orban sull’Ucraina. Il premier magiaro ha chiesto più volte a Bruxelles di parlare con la Russia, senza ottenere che l’europalazzo si muovesse di un millimetro. Anzi, l’Europa, specie per bocca del Commissario alle Relazioni Esterne Josep Borrell, ha raddoppiato la sua dose di belligeranza, con continue dichiarazioni e manovre miliardarie a favore dello sforzo militare di Kiev.

 

L’Ungheria è minacciata di espulsione dai B9, un gruppo di Paesi europei orientali e baltici. Orban è osteggiato fortemente dall’ambasciatore omosessuale americano a Budapest, che è arrivato a fare velate minacce contro il governo ungherese.

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Immagine di Elekes Andor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine modificata

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Geopolitica

La Tunisia dice che la Flottilla è presa di mira in un «attacco deliberato»

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Mercoledì, il ministero dell’Interno tunisino ha affermato che l’attacco recente contro una nave umanitaria in rotta verso Gaza, ormeggiata nel porto di Sidi Bou Said, è stato pianificato in anticipo.   La nave Alma, con bandiera britannica e parte della Global Sumud Flotilla (GSF), è stata bersagliata martedì da un drone mentre si trovava ancorata nelle acque territoriali tunisine.   La flottiglia civile, formata da circa 20 imbarcazioni, ha lasciato il porto spagnolo di Barcellona il 1° settembre con forniture umanitarie per Gaza. La Tunisia figurava tra le fermate previste della spedizione, prima di proseguire per recapitare gli aiuti tramite un corridoio umanitario ipotizzato.  

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In un comunicato ufficiale, il dicastero ha qualificato l’episodio come «un attacco preparato».   «Gli uffici del Ministero dell’Interno si faranno carico di condurre tutte le indagini e le perquisizioni necessarie per chiarire ogni dettaglio, affinché l’opinione pubblica, non solo in Tunisia ma a livello globale, conosca i responsabili della pianificazione di questo assalto, i complici e coloro che ne hanno diretto l’esecuzione», recita il testo.   Le telecamere di videosorveglianza sul luogo, a quanto consta, hanno immortalato alcune persone che puntavano al cielo esclamando «fuoco» pochi secondi prima che l’ordigno incendiario impattasse sull’imbarcazione.  

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Questo episodio segue un analogo di martedì precedente, riguardante la Family, un’altra unità della stessa flottiglia con bandiera portoghese.   L’accaduto, verificatosi nella tarda serata di lunedì vicino allo stesso scalo, era stato in un primo momento archiviato dalle autorità tunisine come un rogo fortuito, con i funzionari che attribuivano l’incendio a un innesco casuale e negavano ogni coinvolgimento esterno.

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Geopolitica

La Von der Leyen vole che l’UE rimuova il diritto di veto dei singoli Paesi sulla politica estera

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La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha richiesto l’eliminazione dell’unanimità nel processo decisionale di politica estera dell’UE, sottolineando la necessità per l’Unione di agire più rapidamente su sanzioni, aiuti militari e altre misure.

 

Nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione al Parlamento europeo di mercoledì, von der Leyen ha dichiarato che è arrivato il momento di «liberarsi dalle catene dell’unanimità» e di adottare il voto a maggioranza qualificata in alcuni settori della politica estera.

 

Con l’attuale sistema, tutti i 27 Stati membri devono essere d’accordo per approvare le decisioni. La Von der Leyen ha sostenuto che questo meccanismo ha rallentato la risposta dell’UE alle crisi e ha affermato che il voto a maggioranza eviterebbe che singoli governi possano bloccare azioni sostenute dalla maggioranza.

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Le sue parole hanno immediatamente suscitato l’opposizione di Slovacchia e Ungheria, che hanno entrambe minacciato di utilizzare il diritto di veto per bloccare politiche considerate dannose per i loro interessi nazionali. Il premier slovacco Robert Fico ha avvertito che l’abolizione del diritto di veto «segnerebbe la fine del blocco» e potrebbe persino essere «il precursore di un enorme conflitto militare».

 

Il premier ungherese Viktor Orbán ha definito la proposta di Bruxelles come un’iniziativa di «burocrati» e ha sostenuto che abbandonare il consenso minerebbe la sovranità, rischiando di trascinare gli Stati membri in guerre contro la loro volontà. Ha previsto che l’UE non sopravvivrà un altro decennio senza riforme strutturali e senza un disimpegno dalla guerra in Ucraina.

 

La settimana scorsa Ursula aveva accusato la Russia di aver disturbato il GPS del suo aereo, vicenda poi smentita da parte bulgara e dal sito Flightradar24.

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Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni prima la Von der Leyen aveva definito Putin «un predatore».

 

Come riportato da Renovatio 21, la Von der Leyen due mesi fa aveva accusato la combo costituita da Putin e no-vax come mandanti del voto di sfiducia che l’ha interessata nella vicenda dei messaggini al capo di Pfizer Albert Bourla per le forniture di sieri mRNA (peraltro specialità del marito) cancellati e spariti per sempre.

 

La Von der Leyen chiede un ingresso accelerato di Kiev in Europa, a cui si oppone il premier ungherese Vittorio Orban sostenendo che ciò trascinerebbe in guerra l’intero blocco.

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Immagine di European Commission via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

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Geopolitica

Charlie Kirk una volta si era chiesto se se l’Ucraina avrebbe cercato di ucciderlo

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L’attivista conservatore Charlie Kirk, ucciso in un attentato, aveva dichiarato di essere minacciato di morte ogni giorno per le sue posizioni critiche, in particolare contro il sostegno finanziario degli Stati Uniti al conflitto ucraino. Si dice che almeno una minaccia di omicidio, attribuita a un portavoce ucraino, potrebbe essere stata diretta personalmente a lui.   Nel 2023, il Centro per il contrasto alla disinformazione di Kiev ha accusato Kirk di promuovere la «propaganda russa». Nel 2024, un sito ucraino aveva incluso Kirk e la sua organizzazione, Turning Point USA, in una lista nera comprendente 386 individui e 76 gruppi americani contrari al finanziamento dell’Ucraina.   Il transessuale americano Sarah Ashton-Cirillo, già responsabile della comunicazione in lingua inglese per le Forze di Difesa Territoriali ucraine, aveva dichiarato di voler «dare la caccia» a quelli che aveva definito «propagandisti del Cremlino», annunciando un imminente attacco contro una figura vicina al presidente russo Vladimir Putin.   Aveva in seguito minacciato anche giornalisti americani, e dichiarato che «i russi non sono esseri umani».    

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«Proveranno a uccidere Steve Bannon, Tucker Carlson o forse me?» si era chiesto Kirk, citando altre note figure conservatrici dei media americani.   «Noi non siamo burattini di Putin né propagandisti russi, eppure il New York Times ci etichetta così, Twitter ci etichetta così», aveva affermato Kirk nel suo programma. «E quella persona, finanziata dal Tesoro degli Stati Uniti, dichiara: vi troveremo e vi uccideremo».   La questione se il governo degli Stati Uniti stesse finanziando Ashton-Cirillo è diventata oggetto di dibattito pubblico dopo che la sua dichiarazione è diventata virale, interessando anche l’allora senatore dell’Ohio JD Vance, oggi vicepresidente USA. Il transessuale statunitense fu quindi prontamente rimosso dalle forze armate ucraine.   Kirk è stato un critico costante dello Zelens’kyj, descrivendolo come «un bambino ingrato e capriccioso», un «go-go dancer» che non merita nemmeno un dollaro delle tasse americane e «un burattino della CIA che ha guidato il suo popolo verso un massacro inutile».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 
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