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Geopolitica

L’UE giustifica gli attacchi ucraini contro i civili russi

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Kiev ha il diritto di difendersi da Mosca, ha detto alla TASS il portavoce dell’UE per gli affari esteri Peter Stano. L’agenzia di stampa russa ha contattato Stano per un commento sui recenti attacchi alla città russa di Belgorod che hanno provocato oltre due dozzine di vittime civili.

 

Il funzionario ha ampiamente eluso la domanda dell’agenzia sulla posizione del blocco sugli attacchi di Belgorod; Secondo quanto riferito, Kiev ha utilizzato armi fornite e pagate nell’ambito della cosiddetta European Peace Facility, un fondo di guerra utilizzato quasi esclusivamente per finanziare il conflitto ucraino.

 

«In generale, l’Ucraina ha il diritto legale di difendersi dalla… aggressione», ha detto Stano mercoledì alla TASS. «Per quanto riguarda l’incidente specifico di Belgorod, nessuna informazione proveniente dalla Russia può essere considerata affidabile», ha aggiunto il portavoce, accusando Mosca di «costanti bugie, manipolazione e propaganda».

 

Le osservazioni hanno provocato una reazione sarcastica da parte della controparte russa di Stano, Maria Zakharova, che ha suggerito che l’interpretazione del funzionario sugli attacchi di Belgorod fosse in realtà un perfetto esempio del cosiddetto «ordine mondiale basato sulle regole» propagato dall’Occidente.

 

«I Paesi occidentali hanno legalizzato l’illegalità e hanno trovato un nome per essa: “ordine mondiale basato su regole”», ha detto alla TASS la portavoce del ministero degli Esteri russo quando è stato raggiunto per un commento sulla posizione di Stano su Belgorod.

 


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Come riportato da Renovatio 21, la Zaharova ha sostenuto che gli USA e i loro alleati nell’UE sono responsabili del massiccio attacco ucraino contro la città di confine russa di Belgorod, accusando in particolare Londra.

 

Washington ha annunciato a luglio che avrebbe fornito a Kiev bombe a grappolo provenienti dalle scorte dell’era della Guerra Fredda, sostenendo che l’Ucraina aveva promesso di non usarle nelle aree popolate. Il presidente russo Vladimir Putin affermò allora che l’uso delle bombe a grappolo dovrebbe essere considerato un crimine di guerra.

 

La regione di Belgorod, come altri soggetti federali russi confinanti con l’Ucraina, è stata ripetutamente oggetto di attacchi di droni, missili e artiglieria nel corso del conflitto in corso. Gli attacchi hanno causato ripetutamente danni materiali e vittime civili nelle regioni colpite.

 

Gli attacchi alle regioni di confine si sono intensificati negli ultimi giorni, quello più mortale è avvenuto sabato scorso, quando la città di Belgorod è stata colpita da pesanti lanciarazzi multipli. L’attacco ha causato una distruzione diffusa in tutta la città; diverse strutture pubbliche ed edifici residenziali sono stati danneggiati. Gli attacchi hanno causato la morte di almeno 25 civili, tra cui cinque bambini, mentre più di 100 sono rimasti feriti, secondo le autorità locali.

 

Le forze ucraine hanno continuato i loro sforzi per colpire la città negli ultimi giorni, con le truppe russe che hanno intercettato numerosi proiettili in arrivo. Mercoledì scorso, l’esercito russo ha dichiarato di aver abbattuto diversi missili balistici tattici Tochka-U e razzi Olkha diretti verso la regione, riporta RT.

 

Come riportato da Renovatio 21, Mosca all’ONU ha accusato l’Occidente di essere complice della strage di Belgorod, puntando il dito verso la Cechia che ha fornito a Kiev vari armamenti.

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Geopolitica

Il presidente dell’Iran ucciso mentre viaggiava in elicottero

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato ucciso insieme al ministro degli Esteri in un incidente in elicottero domenica nelle montagne nordoccidentali del Paese. Lo hanno riportato lunedì i media statali iraniani.   Le notizie sulla sua morte non erano state confermate fino a poche ore fa. Canali israeliani davano per certa la sua morte.   Ieri il gabinetto del presidente Raisi ha tenuto una riunione d’emergenza, lasciando vuoto il suo posto al centro del tavolo della conferenza come commemorazione simbolica, come mostrano le foto pubblicate dall’agenzia di stampa statale IRNA. L’agenzia successivamente ha annunciato il decesso dicendo che era stato «martirizzato durante il servizio».

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Il gabinetto ha rilasciato una dichiarazione elogiando il suo servizio al Paese e al popolo iraniano e promettendo di seguire le sue orme.   La morte del presidente Raisi è stata annunciata dal podio del santuario sciita più venerato dell’Iran, il mausoleo dell’Imam Reza, nella sua città natale di Mashhad, nel Nord-Est del Paese. Una grande folla di sostenitori del governo si era radunata lì durante la notte per tenere una veglia di preghiera. La gente ha lanciato forti grida e lamenti quando fu fatto l’annuncio.   L’agenzia di stampa Tasnim, affiliata alle Guardie rivoluzionarie iraniane, ha pubblicato un comunicato affermando che il presidente Raisi e il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian sono rimasti uccisi nell’incidente in elicottero, mostrando una foto del Raisi con un titolo che lo chiamava martire. Tasnim ha anche detto che il governatore della provincia dell’Azerbaigian Orientale, un imam e due alti ufficiali militari responsabili della sicurezza presidenziali sono morti nello schianto, insieme al pilota e al copilota.   Le prime foto e filmati del luogo dell’incidente pubblicati sui siti di notizie iraniani mostravano detriti e parti rotte dell’elicottero. A bordo dell’elicottero, oltre al presidente e al ministro degli Esteri, c’erano anche un religioso e il governatore della provincia orientale dell’Azerbaigian.   «Trovando la posizione dell’elicottero e vedendo la scena, non c’è traccia che nessuno dei passeggeri fosse vivo», ha detto alla televisione di stato il capo della Mezzaluna Rossa (l’equivalente della nostra Croce Rossa) iraniana, Pirhossien Koulivand, che si trovava sul posto.   Le operazioni di ricerca e soccorso hanno impiegato ore per raggiungere il luogo dell’incidente, ma facendo trasparire poco dei progressi, in condizioni meteorologiche avverse al punto che sono stati dati per dispersi anche tre uomini addetti alle ricerche.  

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Vari Paesi hanno inviato aiuti per la ricerca e il salvataggio, tra cui Russia e Turchia. Secondo l’agenzia turca per la gestione dei disastri AFAD, l’Iran ha richiesto un elicottero di ricerca e salvataggio con visione notturna alla Turchia.   L’elicottero che trasportava il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il ministro degli Esteri e altri funzionari è precipitato in una remota regione settentrionale mentre tornava da una visita ufficiale in Azerbaigian domenica scorsa, secondo alcuni un viaggio per una diga in costruzione.   Come riportato da Renovatio 21, il confine azero è «caldo» per Teheran, che vi conduce esercitazioni militari dimostrative e non ha mai nascosto di sostenere l’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian.   La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, ha chiesto preghiere per Raisi e i funzionari scomparsi assicurando stabilità all’interno della leadership del governo.   Una forte presenza militare sta venendo segnalata nella capitale Teheran. Secondo quanto riportato, membri del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i pasdaran) hanno affermato di aver preso posizione vicino a diversi edifici governativi.  

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Raisi era a bordo di un vecchio elicottero Bell, secondo alcuni rapporti aveva più di 40 anni. L’aviazione iraniana è piagata da decenni di sanzioni americane che rendono più difficile trovare i ricambi.     Che si tratti di un ulteriore momento-Sarajevo 1914?   L’ipotesi è quella che abbiamo fatto anche vedendo le immagini dell’attentato contro il premier slovacco Fico, e le numerose minacce di morte a vari leader di Paesi europei.   Come riportato da Renovatio 21, l’idea è stata ripetuta da Orban poche ore fa: l’attentato di Fico è legato alla preparazione del prossimo conflitto.   Che la guerra debba partire a tutti i costi? Che la guerra debba essere fatta subito, prima delle elezioni americane di novembre?

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Immagine di Tasnim News Agency via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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La Spagna si è rifiutata di attraccare una nave che trasportava armi verso Israele

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Il 16 maggio la Spagna ha rifiutato la richiesta di una nave che trasportava armi destinate a Israele di attraccare nel porto di Cartagena, ha riferito la rete spagnola EFE, secondo la testata israeliana Ynet.

 

La nave Marianne Danica sarebbe partita dalla città di Chennai (un tempo conosciuta come Madras) in India con un carico di circa 27 tonnellate di esplosivo.

 

La notizia è stata confermata dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, il quale ha affermato che alla nave era stato rifiutato l’ingresso dopo che aveva chiesto il permesso di fare scalo a Cartagena il 21 maggio.

 

Secondo il sito di localizzazione navale Vessel Finder, la Marianne Danica è una piccola nave da carico secco che naviga sotto bandiera danese.

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Amnesty International riferisce che è gestito dalla H. Folmer & Co., che a quanto pare è specializzata nel trasporto di munizioni.

 

Lo scorso novembre il primo ministro Pedro Sanchez aveva dichiarato che la Spagna è disposta ad andare avanti da sola sulla questione del riconoscimento dello Stato palestinese, anche se preferirebbe agire insieme ad altri membri dell’UE.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo scorso ottobre il ministro spagnuolo per i diritti sociali Ione Belarra ha esortato i leader europei a intraprendere azioni immediate contro Israele, paventando la possibilità che altrimenti la UE diventi «complice del genocidio».

 

A marzo parlamentari spagnuoli avevano firmato – assieme ad altri circa 200 colleghi di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti – un appello intitolato «Non saremo complici della grave violazione del diritto internazionale da parte di Israele» per esprimere opposizione ai «Paesi esportatori di armi verso Israele», chiedendo un embargo immediato sulle armi spedite da Paesi partner militari dello Stato Ebraico.

 

All’appello non pare abbia partecipato alcun parlamentare italiano.

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Immagine di Øyvind Holmstad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Geopolitica

L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose

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Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.   Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».   Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».   Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».

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Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.   Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.   Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.   Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».   Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.   I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.   L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.

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