Persecuzioni
L’India o la negazione della persecuzione religiosa

In India, il governo federale ha appena protestato contro le conclusioni dell’ultimo rapporto della Commissione statunitense sulla libertà religiosa internazionale (USCIRF), che accusa Nuova Delhi di ignorare o addirittura di collaborare con sistematiche violazioni della libertà religiosa, di cui i cristiani sono spesso tra le prime vittime.
Il rapporto pubblicato dalla Commissione per la libertà religiosa internazionale alla fine di marzo 2025 avviene in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche tra India e Stati Uniti, che hanno appena fissato tariffe doganali al 26% per i prodotti provenienti dalla terra dei maharaja che attraversano l’Atlantico.
L’USCIRF classifica ora l’India come un paese di «particolare preoccupazione» per quanto riguarda le questioni relative alla libertà religiosa e chiede sanzioni mirate sia contro individui che contro entità, come l’agenzia di intelligence estera indiana, la Research and Analysis Wing, accusata di condurre attività criminali al di fuori dell’India.
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Riportato dalla testata religiosa The Tablet, lo studio dell’agenzia americana traccia un quadro fosco e poco lusinghiero della situazione in India, corroborando quanto altri organi di stampa, come Fide, avevano potuto osservare da tempo: il già precario clima di libertà religiosa sarebbe peggiorato nel 2024, con un aumento di attacchi e discriminazioni contro le minoranze, in particolare i cristiani, ma anche musulmani e sikh.
L’USCIRF critica anche il governo di Narendra Modi, che detiene il potere in India con il pugno di ferro dal 2014, per aver instaurato un clima di «retorica d’odio» e «disinformazione» contro le minoranze religiose, facendo leva sul partito politico indù di maggioranza nel Paese, il Bharatiya Janata Party (BJP).
Di fronte a queste accuse, il ministero degli Affari Esteri indiano ha prontamente risposto con tutte le sue forze, definendo il rapporto americano «di parte» e «politicamente immotivato». In una dichiarazione tagliente, il portavoce dell’esecutivo, Randhir Jaiswal, ha addirittura denunciato un tentativo da parte dell’USCIRF di «infangare l’immagine dell’India come faro di democrazia e tolleranza».
Nuova Delhi si avvolge nel suo quadro costituzionale, che – sulla carta più che nella pratica – garantisce laicità e libertà religiosa, e sottolinea la «diversità della sua popolazione» come prova evidente del suo pluralismo.
Ma i numeri parlano da soli: come ha già sottolineato FSSPX.News, rilanciando i dati pubblicati online dalla ONG United Christian Forum, tra gennaio e novembre 2024 sono stati perpetrati più di 700 atti di violenza contro i cristiani, un aumento significativo rispetto ai 598 episodi registrati nel 2022.
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Inoltre, all’inizio di aprile 2025, un parlamentare del Kerala ha chiesto un dibattito in Parlamento dopo che una folla indù aveva attaccato due sacerdoti cattolici e molestato 50 fedeli il 31 marzo nella città di Jabalpur, nel Madhya Pradesh. Non è quindi senza ragione che la ONG Open Doors, nel suo Global Index of Christian Persecution 2025, classifica l’India all’undicesimo posto tra i paesi in cui i cristiani sono più perseguitati, una posizione che occupa ormai da diversi anni.
Se la situazione non fosse così drammatica per i cristiani del posto, si potrebbe sorridere nel vedere il capo di Stato francese definire più volte l’India come «la più grande democrazia del mondo».
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
Immagine screenshot da YouTube
Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
Parlamentare finlandese trascinata di nuovo in tribunale per aver citato contro l’omosessualità

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