Pensiero

L’era dei normaloidi

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«Normalista» secondo il dizionario oggi sta a significare uno studente o un ex studente della prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa, che epperò ha sedi anche sedi, tutte nella laicissima Toscana. Ammetto che la prima volta che sentii parlare dell’esclusivo istituto, da bambino, pensavo che si chiamasse «Anormale».

 

Nel senso: negli anni prima di Internet, ero riuscito a carpire se vi fosse una scuola per geni così come la vediamo nei film americani. In una delle prime puntate dei Simpsons trasmesse in Italia, Bart riesce a farsi ammettere con l’inganno in un istituto per bimbi intellettualmente superdotati. In Italia ci sarà pure qualcosa del genere, no? Una scuola che si chiama «Anormale», perché i suoi studenti sono anormalmente intelligenti, sembrava rispondere alla domanda.

 

Negli anni, imparai non solo che mi sbagliavo, ma che l’essere normalista non era in sé qualcosa che guadagnava automaticamente la mia ammirazione. Se guardate alla lista degli alumni, sarete colpiti dal fatto che si tratta di un’infornata qualsiasi di personaggi più o meno organici allo Stato-partito piddino, più qualche scienziato premiato da qualche parte. Tutti, va da sé laici, laicissimi. Diciamo così.

 

L’unico nome che mi veniva in mente, pensando ad un ex-allievo della Normale, era quello di Carlo Azeglio Ciampi: il direttore della Banca d’Italia durante l’attacco alla lira da parte di George Soros nel 1992, che con l’allora premier Amato imbastì una difesa della valuta nazionale totalmente fallita, con crollo rispetto a dollaro e marco, e uscita dallo SME. Il normalista Ciampi fece comunque scatti di carriera: divenne presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, mentre a Soros nel 1997 avrebbero conferito una laurea ad honorem all’Università di Bologna. Tutto normale, normalissimo, normalista.

 

Una diecina di anni fa ricominciai a sentire il termine «normalista» durante i primi fervori per il papato impazzito: c’erano due papi, e uno dei due aveva cominciato a sparare cose allucinanti sin dal primo secondo in cui Bergoglio aveva infilato l’anello piscatorio (già il nome, Francesco come il Santo di Assisi, era oggetto di critiche: nessuno aveva osato prima dell’argentino).

 

Credo di averlo letto forse in una lettera, un’email di gruppo – non ricordo – del compianto scrittore e bioeticista Mario Palmaro. Il termine fu poi pubblicato ripetutamente in un articolo per Il Foglio scritto in coppia con l’inseparabile Alessandro Gnocchi, «Questo papa non ci piace» (9 ottobre 2013).

 

Nel pezzo, andato in stampa pochi mesi prima che Palmaro venisse a mancare, i «normalisti» erano definiti «quei cattolici intenti pateticamente a convincere il prossimo, e ancor più pateticamente a convincere se stessi, che nulla è cambiato».

 

Poi sono arrivati gli americani, che hanno tirato fuori un termine vezzeggiativo-dispregiativo per coloro che galleggiano beati nel normalismo del mainstream: normie. Il normie è letteralmente una persona nella norma, un normale, un normotipico, ma più specificatamente qualcuno che non si è mai posto domande sul mondo in cui vive, facendosi infilare pacificamente il cucchiaio della narrazione dominante in bocca da media e politici. Se qualcuno volesse tentare una traduzione, direi che si potrebbe provare con «normalotto».

 

Per usare il gergo statunitense, il normie è ciò che si oppone al redpilled, il redpillato, ossia quello che ha parto gli occhi sulla realtà delle cose dietro le apparenze pilotate dalla versione dominante.

 

Su YouTube, su Twitter, sui Forum, ovunque la parola viene abbinata ad altri sostantivi, al punto da diventare, grazie alla cifra glottologicamente isolante della lingua anglica, un aggettivo. C’è la normie-version, la versione delle cose per i normalotti. C’è una normie-History, cioè la Storia secondo i normalotti. La normie-Politics, la politica fatta ad usum normalottorum. Ci sono i normie-media, la normie-Economy, i normie-books.

 

I normie sono oggetto di scherno da parte dei sedicenti redpillati (che hanno mutuato l’espressione red pill, «pillola rossa» dal pensatore monarchico Curtis Yarvin, che a sua volta ovviamente l’ha tratta ovviamente dal primo film della serie Matrix) ma anche della loro disperazione. I normie si danno non solo come la maggioranza, ma come un blocco granitico che è difficile da scalfire, e talvolta perfino da prevedere.

 

Ieri sera parlavo con un amico. Mi ha raccontato di aver fatto un viaggio in auto con uno sconosciuto organizzato da una comune conoscenza che faceva una festa in un’altra città. Mi diceva che, dopo qualche convenevole, lo sconosciuto si era un po’ sbottonato: arrivati a parlare dei vaccini lui, vaccinato, sosteneva che in effetti qualcosa non tornava, arrivando quasi ad esprimere rammarico per essersi sierato.

 

Il mio amico, a questo punto in fase di rilassamento, è passato a parlare anche del quadro politico, apprendendo, con sommo, incomprensibile orrore, che il compagno di viaggio era un fan di Mario Draghi. «È bravo… è uno che dà sicurezza, un profilo istituzionale»: il tizio deve aver detto cose così, mentre il nostro amico aveva probabilmente abbassato il finestrino dell’auto per buttarvisi fuori come nemmeno in un film di John Woo.

 

Ma come? Ti sei fatto due domande sui vaccini, ma non riesci a fartele su Draghi? Draghi che con i vaccini ha fatto il macello istituzionale che ricordiamo (green pass, super green pass, accuse ai no-vax untori che ammazzano il prossimo e se stessi)? Non serve che uno si chieda da dove venga, dove è stato, che conosca la storia del panfilo Britannia con sopra i «British Invisibles» salutati nel 1992 da Draghi, proprio nei tempi in cui Ciampi, il suo maestro normalista, lisciava enigmaticamente la manovra anti-Soros devastando la lira.

 

Basta che uno ci pensi un secondo: Draghi…? Ma davvero? Vedete: il normie è talvolta davvero difficile da calcolare, anche quando mostra segni di conversione.

 

L’episodio mi ha riportato alla mente situazioni similari vissuti in prima persona. Nei primi mesi del 2013, ricordo una festa a Milano – a pensarci oggi mi sembra una vita precedente – in cui un personaggio noto per l’aspetto comune (per somatismi e vestiario, un vero medioman), la mente matematica e le frasi inopportune (tipico di chi è bravo coi numeri…) mi disse che alle politiche che si sarebbero tenute a brevissimo, lui avrebbe votato… Monti. Subito dopo, bicchiere di gin tonic alla mano, tentava di spiegarmi che se Hitler avesse vinto la guerra lui si sarebbe iscritto immediatamente alle SS (ci si iscrive alle SS, come Magnotta con i terroristi), di modo da «sottomettere subito il maggior numero di donne», aggiunse oscuramente, ma io non mi curavo dei non sequitur, perché sconvolto totalmente: Monti? Monti?

 

Il lettore deve sapere che forse il più grande shock politico subito nella mia vita lo ebbi quando l’ex preside della Bocconi apparve dal nulla e prese il potere in Italia. Ricordate? I ministri tecnici, i professori totalmente apolitici, alcuni magari (si diceva) in odore di grembiule, alcuni pazzeschi pure fisicamente. Il tutto mentre il governo legittimamente eletto veniva defenestrato, ma arrivava – sul serio – a votare la compagine aliena che lo aveva spodestato (Giorgia Meloni è inclusa).

 

Crebbe in me, alla visione dell’ascesa dei Monti, un senso di sgomento, di angoscia, di paura vera che, mi rendo conto, neanche ora riesco a descrivere bene. Posso dire che un corollario di quella sensazione fu il bisogno, immediato e disordinato, informe, di «far qualcosa per difendere la mia famiglia». Cosa, in realtà, non sapevo bene.

 

Fu ancora più sconvolgente per me (il lettore scusi l’ingenuità del me-ragazzo) vedere che non solo il governo precedente, ma anche il popolo sembrava accettare l’operazione Monti, lo stravolgimento dell’ordine politico italiano, l’inveramento di decenni di teorie per cui ti tacciavano di complottismo spinto.

 

Sì, il golpe dello spread andava bene a tutti – il golpe era normale. I «normali», i «normalotti», anzi, applaudivano, bevendosi tutto. Un potere che parla di crollo dei consumi, di crisi come strumento per le riforme… andava bene, andava benissimo, anzi è quello che ci voleva. Al tacchino dicono che è Natale, e quello festeggia alla grandissima. Perché il tizio che prepara la pentola, «è uno bravo, uno competente, un profilo istituzionale».

 

Quello dell’iscritto alle SS ucroniche che votava il preside della Bocconi non è stato l’unico mio incontro ravvicinato con la specie. Ricordo un altro amico, un ragazzo a cui voglio bene, che morta la possibilità di votare per il partito ultra-biodegradabile di Oscar Giannino (ucciso da dentro parrebbe da un turbine di isteria fighetta che mandò alle ortiche tutto il consenso vinto con i remix di «Taci, miserabile!») mi aveva confidato che avrebbe votato o Grillo o Monti. Le due opzioni vi possono sembrare antitetiche, non lo sono minimamente (al punto che il Monti vero, cioè Draghi, fu definito dal comico ligure come «un grillino», con conseguenti voti del partito stellato), tuttavia il problema per il conoscente non si poneva: ve lo abbiamo detto, i normies sono imprevedibili. E disperanti.

 

È inutile nascondere che è stato durante il biennio pandemico che i normies hanno dimostrato globalmente di che pasta sono fatti.

 

Hanno accettato, senza tanti problemi, i lockdown, con devastazione economica per la loro attività o, in quasi tutti i casi, per il settore della loro azienda: non hanno detto una parola, anzi.

 

Hanno obbedito al diktat delle mascherine, anche per i bambini piccoli, e anormale chi, in qualsiasi situazione, si trovava smascherato. Chi scrive ricorda l’esperienza di una coppia di normo-anziani che, nel mezzo di un boschetto, urlarono al nostro gruppo di amici, ad una distanza di 20 metri buoni, «tirate su le mascherine».

 

Soprattutto, i normo-cittadini hanno accettato di divenire cavie di un esperimento con la somministrazione una pozione sperimentale, certo fatta anche coi feti come gli intrugli delle streghe di una volta, di cui non sapevano nulla, se non che la TV, con quelli «bravi» e «competenti» con «profilo istituzionale», diceva che sono «sicuri ed efficaci».

 

Anche quando divenne chiaro, con le reinfezioni dei bi-tri-quadridosati, e con le possibili miocarditi segnalate perfino dagli enti pubblici del farmaco, che non era «sicuro ed efficace» la massa normalotta ha tirato dritto, mai questionando le balle che si era ingollata, e neppure quanti gliele avevano vendute.

 

I normalotti hanno continuato per la loro strada, che è quella dove la dissonanza cognitiva non può esistere, e quindi nemmeno la volontà di mettersi in discussione, e la quindi la cerca della Verità.

 

Ritengo che dopo l’inoculo con siero genico, non sia nemmeno più giusto chiamarli normali, normalisti, normies, normalotti. Se l’iniezione di mRNA sintetico è, come ripetiamo su Renovatio 21, un grande progetto di transumanizzazione della massa mondiale, con la trasformazione sempre più accelerata degli umani in umanoidi, allora sarebbe giusto, credo, usare un nuovo termine: normaloidi.

 

I normaloidi sono lo scalino evolutivo successivo dei normalotti: questi ultimi si limitavano a bersi le menzogne dei padroni del vapore, e a pagar loro il pizzo. Il normaloide non solo crede ciecamente al potere e ai suoi inganni, ma ha accettato di modificarsi genicamente – pagando pure lui il processo. La sua obbedienza, la sua normalanza, è di livello subcellulare – una lealtà più grande, viene da pensare, i signori del mondo non potevano chiederla.

 

«Ti butteresti in un fosso per me?», potevano domandare, con la formula classica. Invece sono andati molto oltre: «ti modificheresti a livello biomolecolare per me?». In massa, hanno risposto «siiiiì!», rinunziando, al contempo, a quantità di diritti costituzionali.

Ecco una seconda qualità intrinseca del normaloide: non solo è biologicamente diverso – un avvocato americano è arrivato a teorizzare, giuridicamente, il fatto che si tratterebbe di una nuova specie – ma anche capace di un’inedita esistenza extracostituzionale: delle Carte che regolano lo Stato in cui vivono (in Italia, in Germania, in USA…) non sanno che farsene, possono fare a meno.

 

Il normaloide accetta, in piena tranquillità, che lo Stato moderno calpesti le sue stesse leggi fondamentali, con visibile nocumento per i cittadini. Ma che importa? Anche il virus, e il capovolgimento universale che ha prodotto, è in fondo una cosa normale, finché guidano «quelli bravi, gli esperti». È normale se il virus che esce dalla zuppa di pipistrello accoppiato con pangolino, è normale se lo stesso virus invece è uscito da un laboratorio di bioingegneria magari militare – anzi, in questo caso possiamo proprio parlare di virus normaloide.

 

Come il lettore immagina, la razza normaloide non ha esaurito la sua missione storica con il COVID.

 

Dobbiamo dire che i normaloidi stanno facendoci vivere emozioni anche con la guerra ucraina.

 

Per il normaloide, l’attore comico creato politicamente in provetta dagli oligarchi diventa un eroe, «il Churchill del XX secolo».

 

Per il normaloide – e i suoi partiti al potere e non – i nostri soldi e le nostre armi vanno consegnate all’agnello di Kiev, e non importa se restiamo poveri e indifesi.

 

Per il normaloide le rune del Battaglione Azov sono «antichi simboli indoeuropei», i suoi miliziani con le svastiche tatuate sono romantici lettori di Kant, il neonazismo ucraino non esiste, come nemmeno gli articoli che ne parlavano fino a pochi mesi prima.

 

Per il normaloide, Kiev è stata aggredita, e degli accordi di Minsk violati (con tanto di ammissione della Merkel e di Hollande e pure di Poroshenko) e la strage dei russofoni in Donbass perpetrata dalle milizie ucronaziste mai ha sentito parlare.

 

Ancora più significativo il fatto che per il normaloide va benissimo che per difendere la «democrazia in Ucraina» – Paese di cui, fino a poco fa, conosceva qualche badante – il mondo rischi la catastrofe termonucleare. Cioè: anche la casetta del normaloide può venire spazzata via, così come i suoi figli, e ogni generazione a venire. Non sappiamo dire quanti ci abbiamo veramente pensato: tuttavia qualcuno che ha il coraggio di dire che è per il futuro della «democrazia» si trova, cosa doppiamente disperante, perché gli stessi con la sottomissione pandemica hanno di fatto svuotato di ogni residuo senso che poteva rimanere alla parola: forse qui possiamo parlare di «democrazia normaloide», ma di democratico non c’è davvero più niente, ci sono le materie fumanti della sovranità del popolo, ancora prima che giungano i missili balistici intercontinentali.

 

Non è finita. Il normaloide può fare ancora di più. Essendo che gli è stato detto che la Storia è una magnifica linea progressiva, accetta pienamente il fatto che oggi si sposano i gay, domani – come mostrava una vecchia vignetta con coppie che lanciavano dietro di sé bouquet a coppie sempre più devianti – ti potrai sposare un famigliare, un bambino, un animale, un morto, un robot. (E guardate che praticamente tutti questi casi sono, in qualche forma, già realizzati)

 

Il normaloide accetta che un bambino possa credere di essere una bambina, e ottenere come premio la castrazione, più la somministrazione di farmaci che in genere si danno per castrare gli stupratori pedofili.

 

Il normaloide accetta che l’ONU e l’OMS comincino a svolazzare intorno al tema della libera pedofilia.

 

Il normaloide accetta che le competizioni sportive femminile siano stravinte da maschi muscolosissimi.

 

Il normaloide accetta che il suo Paese, e l’intero continente, sia inondato di stranieri in un’operazione che ha come fine – visibile a occhio nudo – l’istituzione di un’anarco-tirannia, cioè una vita d’inferno per il suo quartiere e per i tempi in cui cresceranno i suoi figli. Anche qui, come per il siero: il normaloide paga la cosa, per quanto nociva, di tasca sua.

 

Il normaloide accetta che, se fa un incidente stradale stasera tornando a casa, l’ospedale possa espiantargli tutti gli organi quando ancora il cuore gli batte, in pratica squartarlo vivo (letteralmente).

 

Il normaloide accetta di prendere droghe legalizzate per la felicità anche quando queste, scrivono i bugiardini, potrebbero portarli all’effetto opposto, alla tragedia dei pensieri suicidi.

 

Il normaloide accetta che gli ospedali, teoricamente luoghi di cura, uccidano grandi e piccini, magari pure con un pratico soffocamento via cuscino.

 

Il normaloide accetta che i bambini siano fatti non più in quel modo tanto bello (forse le sensazioni forti non fanno per lui?), ma con le provette, con uno (magari a caso) che si masturba e una (magari a caso) che si fa estrarre, con un processo doloroso quanto pericoloso, le cellule uovo. L’utero può essere di un’altra donna ancora, oppure di una donna ma trapiantato in un’altra donna, oppure trapiantato in un uomo, oppure un utero artificiale: tutto normale, normalissimo, normaloide.

 

Quanto potremmo andare avanti, quanti esempi possiamo fare: del resto, e ciò che su Renovatio 21 annotiamo quotidianamente come Necrocultura, che è inscindibile dal concetto di un’umanità che progredisce al di là del bene e del male. Destra e sinistra, nel mondo normaloide, sono completamente fuse con l’idea del Progresso, del processo spontaneo, inarrestabile, per cui l’umanità si spinge oltre ogni limite, perdendo ogni senso morale.

 

La storia va in quella direzione, no? «Ce lo chiede il mondo moderno», verrebbe da dire. E sappiamo bene cosa diceva il poeta Rimbaud (che di pedofili e drogati sapeva qualcosa): «Il faut être absolument moderne». Bisogna assolutamente essere moderni.

 

Ed è chiaro che se resisti, prima o poi verrai punito, piegato, normalizzato, normaloidizzato. Perché, come abbiamo ripetuto, se non vi siete sottomessi negli ultimi anni, e continuate a farlo, fate parte di un segmento della società che lo Stato e il Capitale non vogliono più mantenere, che hanno calcolato come sacrificabile: non hanno bisogno dei vostri soldi, del vostro voto, del vostro lavoro. Per questo vi censurano e vi squalificano, vi tolgono la libertà di parola e il lavoro – in attesa dei campi di concentramento, che, a pensarci bene, hanno anche loro fatto capolino di recente tra le «democrazie» moderne.

 

E quindi, cosa volete fare? Volete davvero vivere questa separazione sempre più evidente con l’umanità normaloide?

 

«Il faut absolument être normaloïde», sussurra il poeta decadente che è in tutti noi. Il richiamo normaloide è fortissimo, siamo tanti piccoli Zanna Bianca in difficoltà.

 

Saprete resistervi?

 

In realtà, se state leggendo questo sito, la risposta la sapete già.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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