Spirito
Leone XIV e la speranza prima del giudizio

Habemus Papam. L’eco di queste parole, a poche ore dall’extra omnes, risuona nelle orecchie di tutto il mondo, insieme all’immagine di quel comignolo estemporaneo in San Pietro, che dopo due sole fumate nere, ha emanato il fumo bianco, il fumo di un nuovo papa eletto, dopo un Conclave – unica cosa ormai rimasta al mondo a toglierci dal feed dei nostri social.
Leone XIV, un nome forte, certamente in una sorta di almeno formale rottura con il predecessore, così come l’abbigliamento, l’anello e la benedizione impartita con l’indulgenza plenaria.
Un discorso ed un saluto iniziale, almeno nei primi quaranta secondi, a mio avviso impeccabile: augurio di pace citando il primo saluto del Cristo Risorto, il saluto del Buon Pastore, come ha detto il neo eletto pontefice.
Si tratta di un primo impatto, a margine di un discorso in cui certo si è parlato di «sinodalità nella Chiesa» — ovvero la morte del papato e del potere reale e stesso dei vescovi, fortemente voluto dal Vaticano II — e di «pace universale» leggermente decontestualizzata dal senso cristiano, ma un impatto che deve lasciarci speranzosi che qualcosa possa cambiare.
Forse saremo smentiti già domani mattina, ma questo e non altro deve essere l’atteggiamento del cattolico. Oggi, ma anzi già a pochi minuti dall’uscita dal balcone, piovevano già commenti di ogni tipo, come che tutti già conoscessero tutto su questo papa e come se l’azione dello Spirito Santo fosse solo una cosa da citare per pro-forma, con novene che a questo punto parrebbe pure quasi inutile, date le premesse.
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Il grave problema oggi è che i cattolici cosiddetti tradizionalisti peccano contro la virtù della Speranza, non credendo più realmente che Dio possa cambiare le cose con i modi e i tempi che preferisce, ma, perché no, anche da un momento all’altro.
La crisi nella Chiesa prima o poi passerà, e per passare ci sarà l’azione di Dio, che certo nella Terza Persona della Santissima Trinità agirà, nella Chiesa, sul Conclave, sul papa.
D’altronde per sanare il peccato di Adamo è sceso Egli stesso, nella Seconda Persona del Figlio, sulla terra.
Ai fedeli, ovvero a quelli che davvero restano fedeli a Cristo in tempi di grande difficoltà, è chiesto di «conservare il buon seme»; ma possiamo star certi che Dio porterà i suoi cambiamenti dall’alto, gerarchicamente, e non dal basso. Il buon seme sarà l’indispensabile strumento per attuare la rinascita, ma Dio ristabilirà sicuramente le cose dall’alto, e quindi essenzialmente attraverso la Sposa di Cristo, unica vera guida sicura.
Come? Non possiamo saperlo. Ma dobbiamo assolutamente sperarlo e crederlo, nella Carità verso il prossimo, e quindi anche nella fiducia in qualche cardinale.
Dei 133 cardinali presenti al Conclave 133 sono figli del Concilio Vaticano II. Era una novità? Assolutamente no. Eppure tutti abbiamo pregato. E perché, dunque, lo abbiamo fatto? Perché sappiamo che Dio è Onnipotente e può ogni cosa. L’azione dello Spirito Santo è vera e reale, può agire e plasmare. Inutile dunque perdersi nelle biografie, negli studi precedenti del papa, nelle tesi per le quali si è speso.
Capiremo sicuramente dagli atti, ma non possiamo affrettarci a demolire ogni cosa.
Qualcuno si straccia poi le vesti perché ha citato il predecessore, evidenziando così che questo pontefice è certamente in perfetta linea con lui. Ma cosa avrebbe dovuto dire, anche nel caso del tutto improbabile che detestasse la linea di Francesco? Avrebbe dovuto gioire in mondo visione per la sua morte e per averlo finalmente potuto succedere?
Non vedremo un tradizionalista sul Soglio di Pietro, ovviamente, eppure nulla ci vieta di pensare e soprattutto sperare che magari questo pontefice potrà spostare qualche tassello verso la giusta causa. Chissà.
Magari Dio si servirà di un papa che viene dal «fuori Conclave» per sistemare le ferita della Sposa di Cristo, ma per fare questo serviranno comunque cardinali in linea con la Tradizione, e per questo servirà per forza di cose tempo.
Attendiamo ad appendere etichette. Aspettiamo a giudicare: ci sarà tutto il tempo, ed è la cosa che, purtroppo, ci riesce meglio e con grande rapidità.
E, se anche dovremo soffrire ancora, confidiamo in Dio senza scadere in facili fariseismi fin troppo diffusi nei nostri cuori e poi, di conseguenza, nei nostri ambienti.
Cristiano Lugli
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Spirito
Il cardinale Parolin ripercorre l’elezione di Leone XIV

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Spirito
«Una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, fermento per un mondo riconciliato»: omelia di inizio papato di Leone XIV

Renovatio 21 pubblica il testo integrale dell’omelia di papa Leone XIV durante la celebrazione eucarestica per l’inizio del ministero petrino.
Cari fratelli Cardinali,
fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinte Autorità e Membri del Corpo Diplomatico!
Un saluto ai pellegrini venuti in occasione del Giubileo delle Confraternite!
Fratelli e sorelle, saluto tutti voi, con il cuore colmo di gratitudine, all’inizio del ministero che mi è stato affidato. Scriveva Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1, 1.1).
In questi ultimi giorni, abbiamo vissuto un tempo particolarmente intenso. La morte di Papa Francesco ha riempito di tristezza il nostro cuore e, in quelle ore difficili, ci siamo sentiti come quelle folle di cui il Vangelo dice che erano «come pecore senza pastore» (Mt 9,36).
Proprio nel giorno di Pasqua abbiamo ricevuto la sua ultima benedizione e, nella luce della Risurrezione, abbiamo affrontato questo momento nella certezza che il Signore non abbandona mai il suo popolo, lo raduna quando è disperso e «lo custodisce come un pastore il suo gregge» (Ger 31,10).
In questo spirito di fede, il Collegio dei Cardinali si è riunito per il Conclave; arrivando da storie e strade diverse, abbiamo posto nelle mani di Dio il desiderio di eleggere il nuovo successore di Pietro, il Vescovo di Roma, un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi. Accompagnati dalla vostra preghiera, abbiamo avvertito l’opera dello Spirito Santo, che ha saputo accordare i diversi strumenti musicali, facendo vibrare le corde del nostro cuore in un’unica melodia.
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Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia.
Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù.
Ce lo narra il brano del Vangelo, che ci conduce sul lago di Tiberiade, lo stesso dove Gesù aveva iniziato la missione ricevuta dal Padre: «pescare» l’umanità per salvarla dalle acque del male e della morte. Passando sulla riva di quel lago, aveva chiamato Pietro e gli altri primi discepoli a essere come Lui «pescatori di uomini»; e ora, dopo la risurrezione, tocca proprio a loro portare avanti questa missione, gettare sempre e nuovamente la rete per immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo, navigare nel mare della vita perché tutti possano ritrovarsi nell’abbraccio di Dio.
Come può Pietro portare avanti questo compito? Il Vangelo ci dice che è possibile solo perché ha sperimentato nella propria vita l’amore infinito e incondizionato di Dio, anche nell’ora del fallimento e del rinnegamento. Per questo, quando è Gesù a rivolgersi a Pietro, il Vangelo usa il verbo greco agapao, che si riferisce all’amore che Dio ha per noi, al suo offrirsi senza riserve e senza calcoli, diverso da quello usato per la risposta di Pietro, che invece descrive l’amore di amicizia, che ci scambiamo tra di noi.
Quando Gesù chiede a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16), si riferisce dunque all’amore del Padre. È come se Gesù gli dicesse: solo se hai conosciuto e sperimentato questo amore di Dio, che non viene mai meno, potrai pascere i miei agnelli; solo nell’amore di Dio Padre potrai amare i tuoi fratelli con un «di più», cioè offrendo la vita per i tuoi fratelli.
A Pietro, dunque, è affidato il compito di «amare di più» e di donare la sua vita per il gregge. Il ministero di Pietro è contrassegnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù.
Lui – afferma lo stesso Apostolo Pietro – «è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo» (At 4,11). E se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate (cfr 1Pt 5,3); al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro: tutti, infatti, siamo costituiti «pietre vive» (1Pt 2,5), chiamati col nostro Battesimo a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità. Come afferma Sant’Agostino: «La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo» (Discorso 359, 9).
Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato.
In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui!
Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno. E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace.
Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo.
Fratelli, sorelle, questa è l’ora dell’amore! La carità di Dio che ci rende fratelli tra di noi è il cuore del Vangelo e, con il mio predecessore Leone XIII, oggi possiamo chiederci: se questo criterio «prevalesse nel mondo, non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace?» (Lett. enc. Rerum novarum, 21).
Con la luce e la forza dello Spirito Santo, costruiamo una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità.
Insieme, come unico popolo, come fratelli tutti, camminiamo incontro a Dio e amiamoci a vicenda tra di noi.
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Spirito
L’ambasciatore russo in Vaticano incontra Papa Leone XIV

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