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Geopolitica

Lavrov, il presidente serbo Vucic rivela le pressioni e l’«isteria» attorno alla visita del ministro russo

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Dopo il sabotaggio da parte della NATO del viaggio programmato del ministro degli Esteri russo SergejLavrov a Belgrado, a il presidente serbo Aleksandar Vucic è andato sul canale della televisione di stato serba RTS per rivelare le straordinarie pressioni a cui era stato sottoposto il suo governo, nonché l’«isteria» vista ad Occidente intorno al viaggio programmato di Lavrov.

 

«Non vedevo da molto tempo il tipo di isteria a cui la piccola Serbia è stata esposta in Europa e nel mondo a causa dell’arrivo di Lavrov», ha detto.  «Non potete credere quanta pressione ci sia stata sulla Serbia a causa di quella visita».

 

In definitiva, la cancellazione del viaggio non è stata una sorpresa, ha detto Vučić, rivelando le pressioni che provenivano da vari portavoce o rappresentanti dell’UE come l’ex primo ministro svedese e ministro degli Esteri Carl Bildt.

 

Il 2 giugno il Bildt ha minacciato la candidatura della Serbia all’adesione all’UE sul suo account Twitter ufficiale come «copresidente del Consiglio europeo per le relazioni estere» . «Ho sentito che la Serbia ha invitato il ministro Esteri russo Lavrov a visitare Belgrado nei prossimi giorni. Se il presidente Vucic dovesse affondare le sue prospettive con l’UE, questa è ovviamente una mossa perfetta. È una mossa in diretta contraddizione con il processo di adesione all’UE e dovrebbe essere trattata come tale».

 

Vucic ha chiesto perché alla Serbia viene detto che non può essere amica della Russia, ha riferito B92.

 

«Abbiamo condannato l’incursione in Ucraina, ma la Russia è un tradizionale amico della Serbia. Come direte ai serbi che la Russia non può più essere nostra amica?».

 

Vucic ha quindi dichiarato che aveva molte cose di cui avrebbe voluto discutere con Lavrov.

 

Polemicamente, ha chiesto se anche la Turchia sarebbe trattata allo stesso modo, perché Lavrov sta andando lì. : «Volete espellere la Turchia dalla NATO?»

 

Il ministro dell’Interno serbo, Aleksandar Vulin, ha affermato di «deplorare profondamente l’ostacolo alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia». Ha inoltre affermato che coloro che hanno impedito l’arrivo di Lavrov non volevano la pace e «sognavano la sconfitta della Russia».

 

Il presidente serbo ha anche sottolineato il ruolo dei «media e dei politici occidentali», riferendo che un numero molto elevato di rappresentanti dei media ha invaso il Paese negli ultimi anni, operando per «attaccare e infangare la Serbia. E cosa ha sbagliato la Serbia? A chi abbiamo fatto del male o è solo il nostro rifiuto di far parte del branco a causare mal di testa a qualcuno? Potreste guardare quell’isteria diretta alla Serbia. Si rendono conto che non possono fare nulla alla Russia, quindi stanno “sfogandosi” sulla Serbia».

 

Il presidente Vucic ha riferito che presto incontrerà il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che avrebbe dovuto visitare Belgrado dopo Lavrov. Il messaggio di Scholz può essere difficile, ha detto, «ma voglio parlare con qualcuno che vuole ascoltarci. Se non sei d’accordo con il nostro punto di vista, almeno dicci che comprendi la nostra posizione. Ho una pessima sensazione per la situazione nel mondo, ma spetta a noi combattere e salvare il nostro Paese e vivere il più normalmente possibile, non solo per sopravvivere».

 

Anche Lavrov ha parlato dell’isteria parossistica scattata per la sua visita in Serbia.

 

Durante una conferenza stampa online, ieri, il ministro degli Esteri russo  ha criticato i «burattinai di Bruxelles» per la loro riluttanza a dare alla Russia un forum a Belgrado per esporre le sue opinioni su alcune questioni regionali.

 

«Avevamo pianificato di discutere un’ampia agenda, compreso il partenariato strategico bilaterale in rapida espansione e gli affari internazionali. Chiaramente, i burattinai di Bruxelles non erano a proprio agio nel fornirci una piattaforma nella capitale della Serbia dove avremmo potuto confermare la posizione della Russia su Kosovo, Bosnia ed Erzegovina», ha affermato Lavrov.

 

In precedenza, nel suo discorso di apertura, Lavrov aveva dichiarato che «uno stato sovrano è stato privato del diritto di portare avanti la sua politica estera. Al momento le attività internazionali della Serbia, almeno sul binario russo, sono bloccate».

 

«Non giriamoci intorno. Questa è un’altra chiara e cautelativa dimostrazione di quanto la NATO e l’UE possano spingersi oltre l’uso dei metodi più scadenti per influenzare coloro le cui azioni sono fondate sugli interessi nazionali e che sono contrari a sacrificare i propri principi e la propria dignità per il bene delle “regole ‘ imposto dall’Occidente al posto del diritto internazionale».

 

«Se l’Occidente vede la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia quasi una minaccia su scala universale, allora, a quanto pare, le cose non vanno così bene» ha proseguito il Lavrov.

 

In seguito, rispondendo ad una domanda, ha affermato che «questo caso ha mostrato il valore dell’adesione alla NATO per il Montenegro e la Macedonia del Nord e le ragioni per cui la NATO ha bisogno di tali paesi, solo per punire la Russia, espandere la testa di ponte anti-Russia in Europa e creare minacce e meccanismi di contenimento».

 

«Dovevo partecipare a una cerimonia alla Fiamma Eterna in memoria dei liberatori di Belgrado. Avrei dovuto anche fare scrivere sul libro degli ospiti. Avevo programmato di scrivere quanto segue. Immaginate che ora lo mando al popolo serbo: “Siamo degni della memoria dei guerrieri sovietici e jugoslavi che morirono nella lotta contro il nazismo. La Serbia e la Russia sono solidali nei loro sforzi per preservare la verità sulla storia della seconda guerra mondiale. Non permetteremo la rinascita del nazismo. Per favore, considera queste parole il mio messaggio a tutti coloro che visitano questo monumento magistrale a Belgrado”».

 

 

 

 

 

 

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Scade il mandato di Zelens’kyj. Medvedev: «obiettivo legittimo», l’Ucraina è «un classico Stato fallito»

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Il mandato quinquennale di Volodymyr Zelens’kyj come presidente dell’Ucraina si è concluso lunedì 20 maggio. I suoi critici, specie russi, ora sollevano dubbi sulla sua legittimità come capo di Stato.

 

Il 31 marzo avrebbero dovuto svolgersi in Ucraina le elezioni presidenziali. Tuttavia, Zelens’kyj ha annunciato nel dicembre 2023 che non si sarebbero svolte elezioni presidenziali o parlamentari finché sarà in vigore la legge marziale.

 

La legge marziale è stata imposta dopo l’inizio del conflitto con la Russia nel febbraio 2022 e da allora è stata più volte prorogata dalla Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale ucraino.

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All’inizio dell’anno lo Zelens’kyj aveva ribadito che le elezioni sono «premature» a causa della guerra e della mobilitazione nazionale. Mercoledì scorso i legislatori hanno prolungato le misure di emergenza di altri tre mesi.

 

Non è tardata la reazione del capo del Consiglio di sicurezza russo, il sempre più fumantino, sempre meno diplomatico, sempre più apocalittico Dmitrij Medvedev.

 

Ieri l’ex presidente della Federazione Russa ha sostenuto che annullando le elezioni il leader ucraino ha «sputato» sulla costituzione nazionale, ha ignorato la Corte costituzionale e ha optato per «l’usurpazione del potere supremo».

 

Parlando all’agenzia di stampa TASS, Medvedev ha suggerito che lo Zelens’kyj teme di dover affrontare una competizione con l’ex capo militare ucraino, generale Valerij Zaluzhny e con l’ex presidente Pyotr Poroshenko, poiché avrebbero «troppe carte vincenti».

 

«Tutte queste manipolazioni con le leggi significano solo una cosa: la morte dello stato fallito dell’Ucraina, la sua trasformazione in un classico stato fallito, per usare il vocabolario americano», ha dichiarato il Medvedev all’agenzia russa.

 

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sostenuto gli sforzi di Zelens’kyj per rimanere al potere perché temevano «la vergognosa caduta del suo regime criminale», ha sottolineato l’alto funzionario del Cremlino.

 

«Ecco perché c’è un’alta probabilità che Zelenskyj avrebbe perso miseramente queste elezioni, e i cittadini del suo Paese inesistente avrebbero voluto un nuovo presidente nella speranza che avviasse i negoziati di pace con la Russia», ha tuonato sempre più incontenibile l’ex presidente russo.

 

Medvedev ha proseguito la tirata dicendo ai giornalisti che Zelens’kyj è «un parvenu politico» che ha vinto nel 2019 proprio perché ha condotto una campagna «sulla retorica della pace». Tuttavia, i sostenitori occidentali del regime di Kiev non potevano permettere la pace perché «guadagnano bene con i sanguinosi baccanali», ha sentenziato.

 

In quanto leader di un «regime politico ostile», lo Zelens’kyj sarebbe un obiettivo militare legittimo, ha continuato Medvedev nelle dichiarazioni alla TASS, spiegando come la questione della legittimità di Zelens’kyj come presidente non rivesta particolare importanza per Mosca.

 

«Per la Russia, la definitiva perdita di legittimità da parte dello pseudopresidente dell’ex Ucraina non cambierà nulla», ha dichiarato l’ex presidente russo, sottolineando che i leader dei Paesi che fanno la guerra sono «sempre considerati» un obiettivo militare legittimo.

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Medvedev è arrivato a definire Zelens’kyj come «criminale di guerra», che dovrebbe essere catturato e assicurato alla giustizia o «liquidato come terrorista» per i suoi crimini contro russi e ucraini, riporta il sito governativo russo RT, e non ha lesinato discorsi piuttosto minacciosi come quando ha parlato del destino del vertice ucraino che, secondo le parole di Medvedev può essere catturato e processato, oppure incontrare la stessa sorte del «maestro spirituale» Stepan Bandera, leader dei nazionalisti integralisti ucraini collaborazionisti hitleriani assassinato da agenti sovietici a Monaco nel 1959.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Medvedev aveva dichiarato il mese scorso che a complottare per l’eliminazione di Zelens’kyj sarebbero le stesse forze occidentali sue alleate.

 

Zelens’kyj è apparso sulla lista dei ricercati del Ministero degli Interni russo all’inizio di questo mese, anche se non sono stati rilasciati dati sui procedimenti penali contro di lui.

 

Ad ogni modo, il Medvedev, ha respinto l’idea che qualcosa di sostanziale cambierà in Ucraina dopo il 21 maggio. Gli ucraini «non vivevano comunque in uno Stato di diritto», ha detto, sostenendo che «la legge e la giustizia sono state dimenticate dieci anni fa», con il colpo di Stato di Maidan sostenuto dagli Stati Uniti a Kiev e l’inizio del conflitto nel Donbass.

 

Come riportato da Renovatio 21, usando la legge marziale per rimandare le elezioni, l’anno scorso Zelens’kyj era arrivato a far capire all’Europa che avrebbe tenuto le elezioni se gliele avessero pagate. Alcuni sostengono che la visita canterina del segretario di Stato Blinken a Kiev la scorsa settimana significhi il semaforo di verde di Washington all’assenza di consultazioni popolari: del resto, la democrazia si difende così, saltando le elezioni.

 

Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha recentemente affermato che «verrà presto il momento in cui molte persone, comprese quelle in Ucraina, metteranno in dubbio la legittimità» dello Zelens’kyj.

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato venerdì, durante la sua visita di Stato in Cina, che la questione della legittimità di Zelens’kyj è qualcosa che «il sistema politico e giuridico dell’Ucraina» deve affrontare, «prima di tutto la Corte Costituzionale», osservando che la Costituzione di Kiev consente «diverse opzioni».

 

«Per noi questo è importante perché se si tratta di firmare qualsiasi documento, sicuramente dovremmo firmare documenti su una questione così importante con le autorità legittime», ha spiegato Putin, rivelando che il Cremlino aveva mantenuto contatti regolari con il presidente Zelenskyj prima dello scoppio delle ostilità.

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Geopolitica

Gli israeliani negano il coinvolgimento nella morte del presidente iraniano

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Il governo israeliano non ha nulla a che fare con la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero domenica, ha riferito Reuters, citando un funzionario anonimo.   Raisi e molti altri funzionari iraniani, tra cui il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, sono rimasti uccisi quando l’elicottero su cui viaggiavano è precipitato nella provincia montuosa dell’Azerbaigian orientale, nel nord-ovest dell’Iran. Dopo più di dieci ore di ricerche – ostacolate dalla nebbia e dalla pioggia – il presidente e il suo entourage sono stati confermati morti.   Sabato il capo dello Stato si era recato nella regione di confine dopo essersi unito al presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev per inaugurare una diga. Raisi si era impegnato a visitare ciascuna delle 30 province dell’Iran almeno una volta all’anno, e quindi viaggiava regolarmente per il paese.

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La sua morte ha fatto ipotizzare che dietro l’incidente potrebbe esserci Israele, nemico di lunga data dell’Iran, scrive RT.   Lunedì un funzionario israeliano, che ha chiesto l’anonimato, ha negato il coinvolgimento della nazione nell’incidente, dicendo a Reuters «Non siamo stati noi».   L’ultima ondata di tensioni tra Israele e Iran è iniziata il 1° aprile, dopo che un presunto attacco aereo israeliano ha colpito il consolato iraniano nella capitale siriana Damasco. L’attacco ha ucciso sette ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), tra cui due generali di alto rango.   In risposta, Teheran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, che in seguito ha reagito con una manciata di droni e missili lanciati dall’aria.   La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», come chiama Israele.   Il ministro israeliano del Patrimonio, Amichai Eliyahu – noto per aver dichiarato la possibilità di nuclearizzare Gaza – ha reagito alla notizia della morte di Raisi pubblicando l’immagine di un bicchiere di vino su X, accompagnata da un «cin-cin» nella didascalia.   Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e leader del partito di opposizione di destra Yisrael Beiteinu, ha dichiarato al sito di notizie Ynet che Israele «non verserà una lacrima per la morte del presidente iraniano».   Il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato cinque giorni di lutto nel Paese per le vittime dell’incidente. Il vice di Raisi, Mohammad Mokhber, ha assunto la presidenza dopo l’approvazione di Khamenei lunedì. Mokhber manterrà la carica per 50 giorni fino allo svolgimento delle elezioni.

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Solo poche settimane fa il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.   «Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», aveva detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.   Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.   Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiarato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.   Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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Immagine di President of Russia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
     
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Geopolitica

La Spagna richiama l’ambasciatore dopo che Milei dice che la moglie del primo ministro è «corrotta»

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La Spagna ha richiamato il suo ambasciatore in Argentina e ha chiesto scuse dopo che il presidente argentino, Javier Milei, ha fatto commenti sprezzanti sulla moglie del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez durante una manifestazione politica nella capitale Madrid.

 

Intervenendo domenica a un evento organizzato dal partito spagnolo di estrema destra Vox – dove ha partecipato in teleconferenza anche il premier italiano Giorgia Meloni, habitué degli eventi di Santiago Abascal – il Milei ha bollato Begona Gomez, consorte del premier Sanchez, come «corrotta» e ha descritto il socialismo come «maledetto e cancerogeno».

 

Le osservazioni arrivano dopo che un tribunale di Madrid il mese scorso ha avviato un’indagine sul presunto spaccio di influenza e corruzione di Gomez. Sotto inchiesta anche il PSOE, Partito Socialista Operaio spagnuolo guidato dal marito ora al potere in Ispagna.

 


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«Le élite globali non si rendono conto di quanto possa essere distruttivo attuare le idee del socialismo… anche se hai una moglie corrotta, diciamo, si sporca e ti prendi cinque giorni per pensarci», ha affermato Milei, riferendosi alla pausa di cinque giorni dai pubblici uffici che Pedro Sanchez ha preso in seguito alle accuse contro la moglie.

 

«Non lasciamo che il lato oscuro, nero, satanico, atroce, orribile e cancerogeno che è il socialismo prevalga su di noi», ha aggiunto promuovendo i suoi libri sul libertarismo a una festa dopo la manifestazione.

 

Il ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Albares ha immediatamente chiesto scuse pubbliche a Milei per i commenti, sostenendo che il suo comportamento «ha portato il rapporto tra Spagna e Argentina al suo stato più serio nella storia recente».

 

«È inaccettabile che un presidente in carica in visita in Spagna insulti la Spagna e il primo ministro spagnolo, un fatto che rompe con tutte le consuetudini diplomatiche e le regole più elementari di convivenza tra paesi», ha detto Albares in una dichiarazione video pubblicata su X domenica.

 

«Per questo motivo ho appena richiamato per consultazioni il nostro ambasciatore a Buenos Aires “sine die“», ha aggiunto il ministro.

 

Non è previsto che Milei incontrerà il primo ministro spagnolo o il re Felipe VI durante la sua visita, il che va contro il protocollo diplomatico. Il presidente sudamericano ha quindi rifiutato di scusarsi per le sue osservazioni, con un portavoce che ha detto che i funzionari spagnoli dovrebbero invece ritrattare i presunti insulti che hanno fatto contro il presidente argentino.

 

I rapporti tra Spagna e Argentina sono in declino dall’ascesa al potere di Milei a dicembre. Il premier Sanchez aveva sostenuto alle elezioni il rivale di Milei, Sergio Massa, e, secondo quanto riportato, non è stato in contatto con il leader argentino dopo la sua vittoria.

 

All’inizio di questo mese, il ministro dei trasporti spagnolo Oscar Puente aveva affermato che il presidente argentino aveva «ingerito sostanze» durante la sua campagna elettorale, alla quale Milei ha risposto con una dichiarazione in cui criticava le politiche del PSOE e indicava le accuse di corruzione contro la moglie di Sanchez.

 

Il Sanchez sostiene che non c’è verità nelle accuse mosse alla moglie e ha chiesto l’archiviazione del caso.

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La Spagna si accoda ad una serie di Paesi che hanno in questo momento gravi problemi diplomatici con Buenos Aires.

 

La Repubblica Popolare Cinese ha risposto pubblicamente ai piani annunciati da Milei in campagna elettorale di rompere i legami (perlomeno commerciali) tra l’Argentina e Pechino.

 

La Colombia ha espulso tutti i diplomatici argentini dopo che Milei ha definito il presidente colombiano Petro «assassino terrorista». Da notare come due settimane fa la Bogotá abbia rotto tutti i rapporti con Israele, Paese nel cuore del presidente argentino.

 

Come riportato da Renovatio 21, scorso mese Milei – che è consigliato da rabbini lubavitcher e sarebbe sul punto di «convertirsi» al giudaismo – ha offerto dichiarazioni di «chiaro e inflessibile sostegno a Israele» contro l’Iran, arrivando ad invitare l’ambasciatore dello Stato Ebraico a partecipare a una riunione del «gabinetto di crisi» argentino. La mossa, secondo quanto riferito, ha mandato in subbuglio i diplomatici argentini.

 

A fine 2023, prima di salire sul palco di una trasmissione TV di capodanno e limonare pubblicamente con la presentatrice all’epoca sua fidanzata, Milei aveva dichiarato l’intenzione di far uscire l’Argentina dai BRICS.

 

C’è da dire che in tutto questo marasma, una relazione internazionale il Milei pare averla sanata: quella con il Vaticano, dove ha abbracciato il papa suo connazionale dopo averlo chiamato, tra gli altri epiteti, «imbecille», «rappresentante del maligno», «affine ai comunisti assassini».

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