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Geopolitica

L’Aja, rabbino pacifista: «contrariato» per il mancato cessate il fuoco a Gaza

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Jeremy Milgrom contro la decisione dei giudici della Corte internazionale di giustizia che non mette a tacere le armi. Il tribunale chiede misure a Israele per risparmiare ulteriori morti e ad Hamas di rilasciare gli ostaggi. L’attacco del premier Netanyahu e dei ministri dell’ala religiosa e radicale. La soddisfazione del fronte palestinese.

 

«Sono contrariato per la mancata imposizione di un cessate il fuoco» a Gaza, che «avrebbe salvato molte altre vite palestinesi e israeliane». È quanto sottolinea ad AsiaNews Jeremy Milgrom, rabbino israeliano e membro dell’ong Rabbis for Human Rights, commentando la decisione della Corte internazionale di giustizia (CIG) nel procedimento intentato dal Sudafrica a Israele per la guerra a Gaza. Una situazione «terribile» che «continua» e la sentenza odierna non sembra poter fermare. «Persone innocenti – prosegue – soffrono e non vi è alcuna giustificazione» se non quella perseguita «da [Benjamin] Netanyahu che viole continuare la guerra: una enorme sofferenza, per sfuggire» ai procedimenti in atto ed «evitare la prigione».

 

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Il tribunale, chiamato a giudicare su iniziativa di Pretoria, ha stabilito oggi che lo Stato ebraico deve adottare con effetto immediato «misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere» atti di «genocidio» verso i palestinesi. E pur non ordinando il cessate il fuoco, con una misura pilatesca chiede di prendere provvedimenti perché siano garantite le misure umanitarie, oltre a dove presentare una relazione «entro un mese» sulla situazione e i provvedimenti adottati. I giudici hanno affermato che la Cig non respingerà il caso come chiesto da Tel Aviv, ma auspicato al contempo il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi.

 

Immediate le reazioni sul fronte israeliano e palestinese, con il premier Benjamin Netanyahu che rivendica il diritto alla «difesa», mentre il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir che accusa la Corte di posizione «antisemita» e di «perseguitare il popolo ebraico». Per Hamas quello dell’Aja è un passo importante per isolare Israele ed evidenziarne «i crimini a Gaza», mentre il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Riyad al Maliki plaude alla sentenza. «La Palestina – afferma – accoglie con favore le misure provvisorie» perché pronunciate «a favore dell’umanità e del diritto internazionale».

 

I 17 giudici, di cui 15 permanente e uno ciascuno di Sudafrica e Israele, dovevano rispondere a due domane: se Pretoria ha fornito elementi sufficienti perché l’accusa sia trattata ai sensi della Convenzione sul genocidio Onu del 1948 e se vi è un rischio plausibile di danni irreparabili al popolo palestinese a Gaza in caso di continuazione dell’operazione militare di Israele.

 

Nella sua introduzione la presidentessa Joan Donoghue ha ricordato come la competenza del caso è «limitata», pur sottolineando che il tribunale è «molto preoccupato» per le continue perdite in termini di vite umane. Inoltre ha subito chiarito che vi erano «prove sufficienti» nella disputa perché alcuni atti sembrano «rientrare nella convenzione sul genocidio», per questo ha negato la richiesta di Israele di respingere l’intero caso, esaminando ciascuna delle nove misure provvisorie chieste dal Sudafrica. E riprendendo le parole del coordinatore degli aiuti di emergenza Onu Martin Griffiths, ha definito la Striscia «un luogo di morte e disperazione».

 

Nel frattempo, in queste ore Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo di base su molti dei termini riguardanti un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. A riferirlo è il quotidiano Haaretz, secondo cui le parti hanno concordato un periodo di 35 giorni durante il quale tutti gli ostaggi saranno rilasciati, probabilmente in tre o quattro fasi. In cambio, Israele rilascerà i prigionieri palestinesi e amplierà considerevolmente l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia.

 

La controversia giudiziaria è iniziata il 29 dicembre scorso, con la presentazione su iniziativa del Sud Africa di una denuncia alla Corte internazionale di giustizia (CIG) – il tribunale delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie fra Stati – per «genocidio». Un’accusa respinta con forza da Israele che considera legittima l’operazione militare nella Striscia.

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La denuncia era accompagnata da una richiesta di iniziative di emergenza per mettere fine alla guerra lanciata dallo Stato ebraico contro Hamas, in risposta all’attacco (terrorista) del movimento che controlla la Striscia che ha ucciso 1200 persone in Israele ferendone oltre 5mila. Un conflitto che ha già causato la morte di oltre 26mila persone, la maggior parte delle quali civili comprese donne e bambini.

 

Pretoria, che sostiene i palestinesi, ha chiesto alla Corte di emettere nove misure provvisorie, tra cui la sospensione dell’attività militare da parte di Israele.

 

Nel documento di oltre 80 pagine vi è l’accusa di azioni e omissioni di carattere «genocida» per eliminare la popolazione palestinese, in violazione dell’Articolo II. Esso contiene anche dichiarazioni di alti funzionari – fra cui ministri della destra ultra-ortodossa e radicale Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir – che invocava la ricollocazione della popolazione della Striscia. E le dichiarazioni del ministro della Difesa Yoav Gallant che ha definito i palestinesi «animali umani» e del Patrimonio di Gerusalemme Amichai Eliyahu che ha invocato la «bomba atomica su Gaza».

 

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Geopolitica

Orban: l’UE annega nella corruzione

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L’UE continua a rivendicare la sua «superiorità morale» nonostante sia «annegata» nella corruzione, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, accusando Bruxelles e Kiev di proteggersi a vicenda dagli scandali di corruzione.   Venerdì Orban ha attaccato duramente la leadership dell’UE in un’intervista a Kossuth Radio, evocando l’ultimo scandalo di corruzione che ha colpito l’Unione all’inizio di questa settimana. La Procura europea (EPPO) ha formalmente accusato tre sospettati di alto profilo, tra cui l’ex responsabile della politica estera dell’Unione e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, di frode, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale.   Il primo ministro ungherese ha tracciato parallelismi tra la vicenda e la serie di scandali di corruzione che hanno colpito l’Ucraina, tra cui il sistema di tangenti da 100 milioni di dollari legato alla cerchia ristretta di Volodymyr Zelens’kjy. Nonostante lo scandalo, Bruxelles ha cercato di ottenere 135 miliardi di euro per sostenere Kiev nel corso del prossimo anno.

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L’UE non è riuscita a fornire una risposta adeguata allo scandalo di corruzione in Ucraina, ha affermato Orban, accusando la leadership dell’Unione di voler coprire Kiev. «L’UE sta annegando nella corruzione. I commissari sono accusati di gravi reati, la Commissione e il Parlamento sono travolti dallo scandalo, eppure Bruxelles continua a rivendicare la superiorità morale. La corruzione in Ucraina dovrebbe essere denunciata dall’UE, ma ancora una volta è la solita vecchia storia: Bruxelles e Kiev si proteggono a vicenda invece di affrontare la verità», ha scritto Orban su X, condividendo un estratto dell’intervista.   Le sue osservazioni seguono le dichiarazioni rilasciate all’inizio di questa settimana dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha accusato l’UE di essere riluttante a denunciare la corruzione ucraina «perché anche Bruxelles è costellata da una rete di corruzione simile».   «Nessuno ha chiesto conto agli ucraini delle centinaia di miliardi di euro di aiuti dell’UE dopo che è stato rivelato che in Ucraina si stava verificando corruzione ai massimi livelli statali», ha detto lo Szijjarto ai giornalisti, aggiungendo che il denaro dei contribuenti europei finisce in ultima analisi nelle «mani di una mafia di guerra».  

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Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»

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Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.

 

Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».

 

Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.

 

Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».

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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».

 

A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.

 

Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.

 

In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.

 

Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento.

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Geopolitica

Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini

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Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.   La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.   Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.

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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.   L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.   Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.   Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.   Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.   Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.   Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.

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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.   Come riportato da Renovatio 21le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.   Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.   Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.  

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