Cina
La riunificazione con Taiwan è «inevitabile»: il discorso di fine anno di Xi Jinping

Il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la riunificazione di Taiwan e della Cina continentale è una «inevitabilità storica». Lo riporta l’agenzia Reuters.
Xi ha fatto questi commenti mentre l’isola si prepara a tenere elezioni parlamentari e presidenziali non prive di controversie.
«La riunificazione della madrepatria è un’inevitabilità storica», ha detto domenica Xi nel suo discorso di Capodanno, secondo una traduzione dell’agenzia di stampa. «I compatrioti su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan dovrebbero essere legati da un comune senso di scopo e condividere la gloria del ringiovanimento della nazione cinese».
Una traduzione ufficiale del quotidiano statale Xinhua tuttavia utilizza una frase più semplice, con Xi che avrebbe invece affermato che «la Cina sarà sicuramente riunificata e tutti i cinesi su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan dovrebbero essere vincolati da un comune senso di scopo».
Lo Xi ha fatto un riferimento più breve all’unificazione nel messaggio dello scorso anno, affermando solo che le persone su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan sono «membri della stessa famiglia». Tuttavia, a Taiwan si terranno le elezioni presidenziali e parlamentari a metà gennaio, e i sondaggi d’opinione attualmente mostrano il vicepresidente Lai Ching-te del Partito Democratico (DPP) al potere in testa alla presidenza.
Il politico, che si fa chiamare WIlliam Lai, si è descritto come un «lavoratore per l’indipendenza di Taiwan», mentre Pechino lo vede come un «distruttore della pace attraverso lo Stretto di Taiwan”» secondo l’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan.
Taiwan si è governata da sola da quando le forze nazionaliste guidate da Chiang Kai-shek fuggirono sull’isola nel 1949, dopo aver perso una guerra civile contro i comunisti guidati da Mao Tse-tung. La posizione ufficiale di Pechino è che si impegnerà a riunificare pacificamente l’isola con la Cina continentale, riservandosi il diritto di usare la forza militare se necessario.
Xi non ha fatto menzione della forza militare nel suo discorso di Capodanno. Il mese scorso, il governo cinese ha chiarito che una dichiarazione di indipendenza da parte di Taipei «significa guerra».
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Nel 1971, le Nazioni Unite riconobbero il governo di Pechino come governo legittimo della Cina, portando molti paesi a rimuovere il riconoscimento di Taiwan. Dal 1972, gli Stati Uniti hanno accettato, ma non appoggiato, la posizione di Pechino secondo cui «esiste una sola Cina e Taiwan è una parte della Cina».
Sinora, lo status quo nella questione tra Pechino e Taipei è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwan, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei.
La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese. La collaborazione tra Taiwan e UE riguardo ai microchip, nonostante la volontà espressa da Bruxelles, non è mai davvero decollata.
Come riportato da Renovatio 21, il colosso del microchip TSMC ha dichiarato l’anno scorso che la produzione dei microchip si arresterebbe in caso di invasione cinese di Formosa.
I microchip taiwanesi sono un argomento centrale nella attuale tensione tra Washington e Pechino, che qualcuno sta definendo come una vera guerra economica mossa dall’amministrazione Biden contro il Dragone, che riprendono politiche della precedente amministrazione Trump.
Come riportato da Renovatio 21, durante il suo discorso per la celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese nel 2021 lo Xi, mostrandosi in un’inconfondibile camicia à la Mao, parlò della riunificazione con Taipei come fase di un «rinnovamento nazionale» e della prontezza della Cina a «schiacciare la testa» di chi proverà ad intimidirla.
Nelle ultime settimane in Cina vi sono stati i festeggiamenti per i 130 anni dalla nascita del Mao, che secondo alcuni sono un modo per rilanciare la presidenza divenuta eterna per riforma (stranamente non contestata da giornalisti e politici occidentali) di Xi, il quale ebbe il padre picchiato ed internato durante la Rivoluzione Culturale.
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Cina
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Cina
COVID, blogger cristiana cinese condannata ad altri quattro anni di carcere

Una blogger cristiana cinese già condannata a quattro anni di carcere per aver documentato le prime fasi della pandemia di COVID da Wuhan è stata condannata ad altri quattro anni di carcere.
Zhang Zhan, 42 anni, è stata condannata in Cina con l’accusa di «aver attaccato briga e provocato disordini», la stessa accusa che ha portato alla sua prima incarcerazione nel dicembre 2020. L’accusa viene spesso utilizzata per perseguire i giornalisti che si esprimono contro il governo cinese o rivelano verità imbarazzanti.
Zhang ha pubblicato i resoconti di testimoni oculari di Wuhan sulla diffusione iniziale del COVID-19, compresi video, di strade vuote e ospedali affollati che dimostravano che la situazione a Wuhan era molto peggiore di quanto affermassero le autorità cinesi. I filmati della Zhanga sono stati visualizzati centinaia di migliaia di volte.
Il suo avvocato dell’epoca, Ren Quanniu, aveva affermato che Zhan credeva di essere stata «perseguitata per aver violato la sua libertà di parola». Dopo la prigionia, aveva iniziato uno sciopero della fame e fu alimentata forzatamente tramite un sondino.
Come riportato da Renovatio 21, cinque anni fa erano emerse notizie della sua cattiva salute e di una sua possibile tortura in carcere.
Era stata rilasciata nel maggio 2024. Secondo Quanniu, è stata nuovamente arrestata perché aveva commentato su siti web stranieri, tra cui YouTube e X.
🚨🇨🇳CHINA TO RELEASE JOURNALIST JAILED OVER COVID REPORTING
After spending four years behind bars for her reporting of the Covid outbreak and lockdowns in Wuhan, Zhang Zhan is set to be released today after completing her sentence.
— Kacee Allen (@KaceeRAllen) May 14, 2024
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Un portavoce del governo cinese ha dichiarato: «il caso riguarda la sovranità giudiziaria della Cina e nessuna forza esterna ha il diritto di interferire. I suoi diritti legittimi saranno pienamente rispettati e tutelati».
«Questa è la seconda volta che Zhang Zhan viene processata con accuse infondate che non rappresentano altro che un palese atto di persecuzione per il suo lavoro giornalistico», ha affermato Beh Lih Yi, direttore per l’area Asia-Pacifico del Comitato per la protezione dei giornalisti con sede a Nuova York.
«Le autorità cinesi devono porre fine alla detenzione arbitraria di Zhang, ritirare tutte le accuse e liberarla immediatamente». La Cina costituisce la prigione per giornalisti più grande del mondo. Si ritiene che attualmente vi siano detenuti oltre 100 giornalisti.
Come riportato da Renovatio 21, il nuovo processo era iniziato sei mesi fa.
Prima della pandemia di COVID, l’attivista e giornalista cristiana era già stata arrestata nel settembre 2019 per aver sfilato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, in segno di solidarietà con le proteste di Hong Kong. Con le prime notizie della pandemia, si era recata a Wuhan per documentare gli eventi, pubblicando circa cento video in tre mesi e rispondendo alle domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020, è stata la prima blogger a essere condannata per le informazioni diffuse sulla pandemia.
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