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La religione di Stato. Considerazioni di Mons. Viganò sul culto globalista

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Renovatio 21 pubblica questo testo di Mons. Carlo Maria Viganò.

 

 

 

Inoltre obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, 

a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. 

Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio,

 cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome.

Ap 13, 16-17

 

 

In un interessante intervento su Fox News dal titolo La chiesa dell’ambientalismo, il giornalista Tucker Carlson ha messo in evidenza una contraddizione che a molti può essere sfuggita ma che ritengo estremamente rivelatrice. 

 

Carlson ricorda che la Costituzione Americana vieta la religione di Stato, ma da qualche tempo i governi Dem hanno imposto al popolo americano il culto globalista, con la sua agenda green, i suoi dogmi woke, le sue condanne con la cancel culture, i suoi sacerdoti dell’OMS, i profeti del WEF. Una religione a tutti gli effetti, totalizzante non solo per la vita dei singoli che la praticano, ma anche nella vita della Nazione che pubblicamente la confessa, vi adegua le leggi e le sentenze, vi ispira l’istruzione e ogni azione di governo. 

 

In nome della religione globalista i suoi adepti pretendono che tutti i cittadini si comportino conformemente alla morale del Nuovo Ordine Mondiale, accettando acriticamente – e con atteggiamento di devota sottomissione all’autorità religiosa – la dottrina definita ex cathedra dal sinedrio di Davos. 

 

Ai cittadini non è richiesta condivisione delle motivazioni che giustificano le politiche sanitarie, economiche o sociali imposte dai governi, ma un assenso cieco e irrazionale, che va ben oltre la fede. Per questo non è ammesso contestare la psicopandemia, criticare la gestione della campagna vaccinale, argomentare l’infondatezza degli allarmi sul clima, opporre l’evidenza della provocazione della NATO alla Federazione Russa con la crisi ucraina, chiedere indagini sul laptop di Hunter Biden o sulla frode elettorale che ha impedito al Presidente Trump di rimanere alla Casa Bianca, o rifiutarsi di veder corrompere i bambini con le oscenità LGBTQ.

 

Dopo tre anni di follie incomprensibili a una mente razionale ma ampiamente giustificabili in un’ottica di cieco fideismo, la proposta formulata da una clinica americana di chiedere ai pazienti di rinunciare a parte dell’anestesia per ridurre la propria traccia di anidride carbonica e «salvare il Pianeta» non andrebbe dunque letta come un grottesco pretesto per ridurre le spese ospedaliere a danno dei pazienti, ma come un atto religioso, come una penitenza da accettare di buon grado, come un atto eticamente meritorio.

 

L’indole penitenziale è indispensabile in questa operazione di conversione forzata delle masse, perché essa controbilancia l’assurdità dell’azione con il premio di un bene promesso: indossando la mascherina (che non serve a nulla) il fedele-cittadino ha compiuto il proprio gesto di sottomissione, si è «offerto» alla divinità (lo Stato? la collettività?); una sottomissione confermata con l’atto altrettanto pubblico della vaccinazione, che ha rappresentato una sorta di “battesimo” nella fede globalista, la iniziazione al culto. 

 

I gran sacerdoti di questa religione giungono a teorizzare il sacrificio umano con l’aborto e l’eutanasia: un sacrificio richiesto dal bene comune, per non sovrappopolare il pianeta, per non gravare sulla Sanità pubblica, per non essere di peso alla previdenza sociale. Anche le mutilazioni cui si sottopongono quanti professano la dottrina gender e la privazione delle facoltà riproduttive indotte dall’omosessualismo non sono altro che forme di sacrificio e di immolazione di sé, del proprio corpo, della propria salute, fino alla vita stessa (assumendo ad esempio una terapia genica sperimentale dimostratamente pericolosa e spesso mortale). 

 

L’adesione al globalismo non è facoltativa: esso è religione di Stato, e lo Stato “tollera” i non praticanti nella misura in cui la loro presenza non impedisce alla società di esercitare questo culto. Anzi, nella sua presunzione di essere legittimato da principi “etici” a imporre ai cittadini ciò che rappresenta un “bene” superiore incontestabile, lo Stato obbliga anche i dissenzienti a compiere gli atti basilari della “morale globalista”, punendoli se non si conformano ai suoi precetti. 

 

Mangiare insetti e non carne, iniettarsi farmaci invece di praticare una vita sana; usare l’elettricità al posto della benzina; rinunciare alla proprietà privata, alla libertà di movimento; subire controlli e limitazioni dei diritti fondamentali; accettare le peggiori deviazioni morali e sessuali in nome della libertà; rinunciare alla famiglia per vivere isolati, senza ereditare nulla dal passato e senza trasmettere nulla ai posteri; cancellare la propria identità in nome del politically correct; rinnegare la Fede cristiana per abbracciare la superstizione woke; condizionare il proprio lavoro e la propria sussistenza al rispetto di regole assurde sono tutti elementi destinati a diventare parte della vita quotidiana del singolo, una vita impostata su un modello ideologico che, a ben vedere, nessuno vuole e nessuno ha chiesto e che giustifica la propria esistenza solo con lo spauracchio di un’apocalisse ecologica indimostrata e indimostrabile.

 

Ciò viola non solo la tanto decantata libertà di religione su cui questa società si fonda, ma vuole condurci per gradi, inesorabilmente, a rendere questo culto come esclusivo, come l’unico ammesso. 

 

La «chiesa dell’ambientalismo» si definisce inclusiva ma non tollera il dissenso e non accetta di confrontarsi dialetticamente con chi ne mette in discussione i dettami. Chi non accetta l’antivangelo di Davos è ipso facto eretico e va pertanto punito, scomunicato, separato dal corpo sociale, considerato nemico pubblico; va rieducato a forza, sia con un martellamento incessante dei media, sia tramite l’imposizione di uno stigma sociale e di vere e proprie forme estorsive del consenso, ad iniziare da quello «informato» per sottoporsi contro la propria volontà all’obbligo vaccinale e continuando nella follia delle cosiddette «città di 15 minuti», peraltro dettagliatamente anticipate nei punti programmatici dell’Agenda 2030 (che sono in definitiva canoni dogmatici al contrario).


Il problema di questo inquietante fenomeno di superstizione di massa è che questa religione di Stato non è stata imposta de facto solo negli Stati Uniti d’America, ma si è diffusa in tutte le Nazioni del mondo occidentale, i cui leader sono stati convertiti al verbo globalista dal grande apostolo del Great Reset, Klaus Schwab, autoproclamatosi «papa» e pertanto investito di un’autorità infallibile e incontestabile.

 

E come nell’Annuario Pontificio possiamo leggere l’elenco dei Cardinali, dei Vescovi e dei Prelati della Curia Romana e delle Diocesi diffuse nel mondo, così sul sito del World Economic Forum troviamo la lista dei «prelati» del globalismo, da Justin Trudeau a Emmanuel Macron, scoprendo che appartengono a questa «chiesa» non solo i Presidenti e i Primi Ministri di molti Stati, ma anche numerosi funzionari, capi di enti internazionali e delle maggiori multinazionali, dei media.

 

A costoro vanno aggiunti anche i «predicatori» e i «missionari» che operano per la diffusione della fede globalista: attori, cantanti, influencer, sportivi, intellettuali, medici, insegnanti. Una rete potentissima, organizzatissima, diffusa capillarmente non solo ai vertici delle istituzioni, ma anche nelle università e nei tribunali, nelle aziende e negli ospedali, negli organismi periferici e nei municipi locali, nelle associazioni culturali e sportive, sicché risulta impossibile sfuggire all’indottrinamento anche in una scuola primaria di provincia o in una piccola comunità rurale. 

 

Sconcerta – me ne darete atto – che nel numero dei convertiti alla religione universale si possano contare anche esponenti delle religioni mondiali, e tra costoro addirittura Jorge Mario Bergoglio – che pure i Cattolici considerano capo della Chiesa di Roma – con tutto il codazzo di ecclesiastici a lui fedeli.

 

L’apostasia della Gerarchia cattolica è giunta a rendere culto all’idolo della Pachamama, la «madre Terra», personificazione demoniaca del globalismo «amazzonico», ecumenico, inclusivo e sostenibile. Ma non fu proprio John Podesta a caldeggiare l’avvento di una «primavera della Chiesa» che ne sostituisse la dottrina con un vago sentimentalismo ambientalista, trovando pronta esecuzione ai suoi auspici nell’azione coordinata che portò alle dimissioni di Benedetto XVI e all’elezione di Bergoglio?

 

Ciò a cui assistiamo non è altro che l’applicazione all’inverso del procedimento che ha condotto alla diffusione del Cristianesimo nell’Impero Romano e poi in tutto il mondo, una sorta di rivincita della barbarie e del paganesimo sulla Fede di Cristo. Quanto cercò di fare Giuliano l’Apostata nel quarto secolo, ossia di ripristinare il culto degli dei pagani, oggi viene perseguito con zelo da nuovi apostati, tutti accomunati da un “sacro furore” che li rende tanto pericolosi quanto più sono convinti di poter riuscire nei loro intenti in ragione dei mezzi sterminati di cui dispongono. 

 

In realtà questa religione non è altro che una declinazione moderna del culto di Lucifero: la recente performance satanica ai Grammy Awards sponsorizzata da Pfizer è solo l’ultima conferma di un’adesione a un mondo infernale che sinora era stata taciuta perché considerata ancora inconfessabile. Non è un mistero che gli ideologi del pensiero globalista sono tutti indistintamente anticristiani e anticlericali, significativamente ostili alla Morale cristiana, ostentatamente avversi alla civiltà e alla cultura che il Vangelo ha plasmato in duemila anni di Storia.

 

Non solo: l’odio inestinguibile verso la vita e verso tutto ciò che è opera del Creatore – dall’uomo alla natura – rivela il tentativo (quasi riuscito, ancorché delirante) di manomettere l’ordine del Creato, di modificare piante e animali, di mutare lo stesso DNA umano tramite interventi di bioingegneria, di privare l’uomo della sua individualità e del suo libero arbitrio rendendolo controllabile e addirittura manovrabile tramite il transumanesimo.

 

In fondo a tutto questo, vi è l’odio di Dio e l’invidia per la sorte soprannaturale che Egli ha riservato agli uomini redimendoli dal peccato con il Sacrificio della Croce del Suo Figlio. 

 

Questo odio satanico si esprime nella determinazione a rendere impossibile ai Cristiani di praticare la propria religione, di vederne rispettati i principi, di poter portare il proprio contributo nella società e, in definitiva, nella volontà di indurli a compiere il male, o quantomeno di far sì che essi non possano compiere il bene, né tantomeno diffonderlo; e se lo compiono, di stravolgerne le motivazioni originali (amore di Dio e del prossimo) pervertendole con pietose finalità filantropiche o ambientaliste. 

 

Tutti i precetti della religione globalista sono una versione contraffatta dei Dieci Comandamenti, una loro grottesca inversione, un osceno capovolgimento. In pratica, costoro usano gli stessi mezzi che la Chiesa ha usato per l’evangelizzazione, però con lo scopo di dannare le anime e sottometterle non alla Legge di Dio, ma alla tirannide del demonio, sotto il controllo inquisitoriale dell’antichiesa di Satana.

 

In quest’ottica si inserisce anche la segnalazione dei gruppi di fedeli Cattolici tradizionali da parte dei servizi segreti americani, confermando che l’inimicizia tra la stirpe della Donna e quella del serpente (Gen 3, 15) è una realtà teologica in cui credono anzitutto i nemici di Dio, e che uno dei segni della fine dei tempi è proprio l’abolizione del Santo Sacrificio e la presenza dell’abominazione della desolazione nel tempio (Dn 9, 27).

 

I tentativi di sopprimere o limitare la Messa tradizionale accomunano deep church e deep state, rivelando la matrice essenzialmente luciferina di entrambe: perché entrambe sanno benissimo quali siano le Grazie infinite che si riversano sulla Chiesa e sul mondo con quella Messa, e le vogliono impedire perché non intralcino i loro piani. Ce lo dimostrano essi stessi: la nostra battaglia non è soltanto contro creature di carne e sangue (Ef 6, 12).

 

L’osservazione di Tucker Carlson evidenzia l’inganno a cui siamo quotidianamente sottoposti dai nostri governanti: l’imposizione teorica della laicità dello Stato è servita a eliminare la presenza del vero Dio dalle istituzioni, mentre l’imposizione pratica della religione globalista serve per introdurre Satana nelle istituzioni, con lo scopo di instaurare quel distopico Nuovo Ordine Mondiale in cui l’Anticristo pretenderà di essere adorato come un dio, nel suo folle delirio di sostituirsi a Nostro Signore. 

 

I moniti del Libro dell’Apocalisse prendono sempre maggior concretezza, quanto più prosegue il piano di sottoporre tutti gli uomini ad un controllo che impedisca qualsiasi possibilità di disobbedienza e di resistenza: solo ora comprendiamo cosa significhi non poter comprare né vendere senza il green pass, che altro non è se la versione tecnologica del marchio con il numero della Bestia (Ap 13, 17).

 

Ma se non tutti sono ancora pronti a riconoscere l’errore di aver abbandonato Cristo in nome di una libertà corrotta e ingannevole che nascondeva inconfessabili intenti, ritengo che oggi molti siano pronti – psicologicamente ancor prima che razionalmente – a prendere atto del colpo di stato con il quale una lobby di pericolosi fanatici sta riuscendo a prendere il potere negli Stati Uniti e nel mondo, determinata a compiere qualsiasi gesto, anche il più sconsiderato, pur di mantenerlo. 

 

Per uno scherzo della Provvidenza, la laicità dello Stato – che di per sé offende Dio in quanto Gli nega il culto pubblico cui Egli ha sovrano diritto – potrebbe essere l’argomento con cui porre fine al progetto eversivo del Great Reset.

 

Se gli Americani – e con loro i popoli di tutto il mondo – sapranno ribellarsi a questa conversione forzata, pretendendo che i rappresentanti dei cittadini rispondano del proprio operato ai titolari della sovranità nazionale e non ai capi del sinedrio globalista, sarà forse possibile porre un freno a questa corsa verso l’abisso. Ma per farlo occorre la consapevolezza che questa sarà solo una prima fase nel processo di liberazione da questa lobby infernale, al quale dovrà seguire la riappropriazione di quei principi morali propri al Cristianesimo che costituiscono le basi della civiltà occidentale e la più efficace difesa contro la barbarie del neopaganesimo. 

 

Da troppo tempo i cittadini e i fedeli subiscono passivamente le decisioni dei loro leader politici e religiosi, dinanzi all’evidenza del loro tradimento. Il rispetto dell’Autorità si basa sul riconoscimento di un fatto «teologico», ossia della Signoria di Gesù Cristo sui singoli, sulle Nazioni e sulla Chiesa. Se coloro che rivestono l’autorità nello Stato e nella Chiesa agiscono contro i cittadini e contro i fedeli, il loro potere è usurpato, e la loro autorità nulla.

 

Non dimentichiamo che i governanti non sono i proprietari dello Stato e i padroni dei cittadini, esattamente come il Papa e i Vescovi non sono i proprietari della Chiesa e i padroni dei fedeli.

 

Se essi non vogliono essere per noi come padri; se non vogliono il nostro bene e anzi fanno di tutto per corromperci nel corpo e nello spirito, è ora di scacciarli dai posti che ricoprono e di chiamarli a rispondere del loro tradimento, dei loro crimini, delle loro scandalose menzogne. 

 

 

Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

16 Febbraio 2023

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa omelia di Monsignor Viagnò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

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Economia

Draghi della distruzione: reloaded

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La verità è che vi eravate dimenticati di lui. Pensavate di averla fatta franca: del resto, gli italiani hanno votato la Meloni proprio in reazione ai due anni di suo governo. E poi ce lo siamo evitato come presidente della Repubblica con il bis a Mattarella, con nasi tappatissimi un po’ dappertutto. No?

 

Mario Draghi, invece, riappare. Intonso, pontificante: il suo potere, che non è facile capire bene da dove derivi, pare non essere scalfito in nessuna parte. Draghi invincibili. Draghi intrombabili. E dove trovarli.

 

E quindi, eccolo che dà, in italiano nel testo, il suo contributo per lanciare l’Italia nel suo futuro di guerra ipersonica e termonucleare.

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«Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti, e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale» ha detto in un’audizione al Senato l’ex premier.

 

Perché, le azioni di Trump – cioè dell’uomo che lavora per la pace mondiale – «hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile»: Washington ha votato con Mosca all’ONU sulla risoluzione a difesa dell’Ucraina, lasciando Bruxelles sola (e con il cerino in mano). I «valori costituenti» dell’Europa sono quindi «posti in discussione».

 

«La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea».

 

«Il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, L’Europa dovrà dunque agire come un solo Stato».

 

Il contorno di filosofia politica è gustosissimo, con tanto di aneddoti messi a ciliegina. «Diversi di voi mi hanno chiesto: questo significa cedere sovranità?» dice il Super Mario, rispondendo: «ebbehcerto!». Quindi parte la storiella: «guardate, vi racconto una cosa che riguarda il presidente Ciampi… molti anni fa eravamo insieme in uno degli ultimi negoziati sulla costruzione dell’euro. Lui mi diceva: “tutti mi dicono: ma perché vuoi fare l’euro, tu ora sei sovrano della tua politica monetaria… ma che sovrano, io non conto niente, oggi devo fare quello che fa la Bundesbank [la Banca Centrale tedesca, ndr]… domani sto intorno ad un tavolo ed avrò una fettina di sovranità… e questa è la storia, la politica monetaria italiana è stata fondamentalmente non una politica monetaria sovrana».

 

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Mario, qua la mano: e grazie della sincerità. Il re è nudo – e nemmeno è sovrano di nulla.

 

Queste affermazioni, tuttavia, non sono state fatte ad un evento incentrato sul ReArm UE dell’ex bundesministro della Difesa Von der Leyen, ora Commissario Supremo dell’Europa Unita. No: il contesto è quello dell’Audizione presso le Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea».

 

Cioè: in teoria, si parlava di economia, e nel suo discorso Draghi lo ha fatto, pure soffermandosi a lungo sulla questione della guerra, includendo «anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra».

 

Insomma si parlava di crescita economica, che ora, senza tanti infingimenti, finisce per identificarsi con l’industria delle armi. È evidente a tutti: la Germania – contro la cui rimilitarizzazione sono state create la NATO e forsanche la stessa UE – ora gode perché la Volkswagen, messa in ginocchio dai diktat green, ora può felicemente riconvertirsi alla costruzione di veicoli da guerra come faceva ai tempi di Adolfo – che in un contesto di guerra di droni, robot e missili ipersonici non sappiamo bene a cosa serviranno.

 

La crescita insomma passa per strumenti di offesa. La nuova creazione del valore passa per la distruzione. Non è che avevamo già sentito questa musica?

 

Sì. Renovatio 21 ne aveva parlato tre anni fa, quando Draghi, ancora a Palazzo Chigi, parlava di «ricostruzione» del «dopo-emergenza». L’articolo si chiamava «“Ricostruire l’Italia” con i draghi della distruzione», di cui ora bisogna fare il reload.

 

«La “ricostruzione” che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione» scrivevamo. Perché non si tratta mica di un’opinione nostra, ma di un concetto economico-filosofico abbracciato alla luce del sole. Eccoci ripiombati nell’idea della «distruzione creatrice».

 

Possiamo dire che Draghi la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che persino la teorizza e la invoca. Lo si capisce leggendo un testo fatto uscire dal cosiddetto Gruppo dei Trenta, un consorzio elitista transnazionale di finanzieri ed accademici creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation a Bellagio – un organismo, anche abbreviato in G30, di cui Draghi ha fatto parte come «membro senior».

 

A fine 2020 il Gruppo pubblicò saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID chiamato Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID. Nel testo il nome di Mario Draghi compare co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del libro Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

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Nel saggio compare apertis verbis la «distruzione creativa», un concetto coniato dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950), nominato nel 1919 a pochi mesi dalla fine dell’Impero degli Asburgo ministro delle finanze per la prima Repubblica d’Austria. Non seppe tenere il posto, andando quindi a dirigere una banca, per poi tornare all’accademia ed emigrare oltreoceano nel 1932 approdando alla prestigiosa università di Harvard – cuore intellettuale pulsante del patriziato transatlantico – dove fece il professore fino alla morte.

 

Qui compose il trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), dove lo Schumpeter lancia l’idea della distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) come «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».

 

La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Ora tornate a leggere la data di pubblicazione di questo inno alla distruzione: uscì in America quando la distruzione concreta della guerra si abbatteva sulla guerra, e gli USA di Roosevelt si armavano per entrare in Guerra su due fronti, riconvertendo la propria industria e, di fatto, uscendo così del tutto dalla Grande Depressione.

 

A questo punto vi viene in mente qualcosa, se guardate dalla finestra?

 

Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è menzionato una sol volta, tuttavia l’intero testo sembra girare intorno al suo concetto di distruzione creatrice.

 

«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione.» scrive il testo del Gruppo di Draghi. «Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria».

 

Insomma, il piano è noto. È noto anche ciò che lo anima: non la creazione – un concetto, se vogliamo, cristiano – ma la distruzione, che più che al Dio creatore e salvatore che ha informato l’Europa e legata a concetti oscuri dello shivaismo e del tantrismo, sistemi di pensiero gnostici trapelati nel codice sorgente dell’Occidente moderno.

 

Il sanscritista britannico Monier-Monier Williams (1819-1899) aveva per questo pensiero delle parole lucidissime: «la perfezione buddista è distruzione». Così: per le filosofie orientali, la scomparsa dell’io (in sanscrito, anatman) o l’estinzione del ciclo cosmico stesso (nirvana) sono i segni dell’illuminazione raggiunta. Illuminazione è distruzione.

 

Possiamo dire ciò è vero anche per gli arconti che ci governano: gli illuminati sono distruttori. I sapienti esperti ed intoccabili, saliti sulle loro torri ed eurotorri senza che si comprenda davvero perché, ci indicano la via della distruzione come l’unica da seguire.

 

Vedete come il quadro diviene perfettamente comprensibile: distruggere per procedere, procedere per distruggere. Solo così, comprendendo che la Cultura della Morte è un fondamento del mondo moderno e dei suoi padroni, è possibile spiegare la follia di questi anni, dai sieri genici allo scontro sempre più diretto con la maggiore superpotenza atomica mondiale.

 

Solo con la Necrocultura della distruzione è possibile spiegarsi la persistenza dei draghi.

 

Là fuori c’è chi vuole distruggervi – e ve lo dice in faccia, ed è pure pagato da voi. Non è una questione economica, ma materiale, metafisica: perché in gioco c’è la vostra stessa esistenza e quella dei vostri figli. Che sono minacciati di essere disintegrati in quindici minuti dalle scelte dei draghi distruttori.

 

Roberto Dal Bosco

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Dire «Cristo è re» è «antisemitismo»: studio firmato da Jordan Peterson

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Uno studio pubblicato da un’organizzazione no-profit liberale fondata da un intellettuale ebreo condanna come «antisemitismo» la frase «Cristo è Re» – un’espressione al centro di accese polemiche negli ultimi mesi. Lo riporta LifeSite.   Giovedì 13 marzo, il Network Contagion Research Institute (NCRI) ha pubblicato uno studio di 20 pagine intitolato «Il tuo nome in vano: come gli estremisti online hanno dirottato “Cristo è Re”».   L’NCRI è stato fondato nel 2018 da Joel Finkelstein, un ricercatore presso l’università Rutgers che in precedenza aveva lavorato per l’Anti-Defamation League, l’ente ebraico dedito alla censura di quello che ritiene «antisemita» e ora anche «razzista». L’NCRI si propone di denunciare «la diffusione di contenuti ideologici ostili” online lavorando per «identificare e prevedere minacce cyber-sociali».

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Finkelstein è coautore del paper con il celebre psicologo canadese Jordan Peterson (una star di YouTube negli ultimi anni), insieme ad altri 11 accademici, la maggior parte dei quali sono ebrei. Il Peterson ha difeso a gran voce il paper sui social media.   Lo studio sostiene che il termine «Cristo Re» è stato «strumentalizzato» da «estremisti politici» che lo stanno usando per promuovere «narrazioni escludenti e piene di odio».   «Gli estremisti in America hanno iniziato a distorcere il significato della frase e la stanno sfruttando come un simbolo in codice … per destabilizzare la politica americana, infiammare le tensioni all’interno della società civile e incoraggiare l’odio verso le minoranze», si legge nello studio.   Per sostenere la sua tesi, il rapporto include screenshot di X post pubblicati da personalità pubbliche note in rete come Candace Owens, Jack Posobiec e Nick Fuentes (tutti e tre cattolici) tra gli altri.   Come noto, la Owens – ora cattolica partecipante al pellegrinaggio tradizionalista Parigi-Chartres – era stata licenziata dal gruppo The Daily Wire (un conglomerato «conservatore» di programmi YouTube fondato dall’opinionista ebreo Ben Shapiro) l’anno scorso per aver promosso la frase. Andrew Klavan, conduttore di una delle trasmissioni del Daily Wire sedicente cristiano convertito, ha sostenuto che si trattava di un «tropo antisemita» e che era come «sputare addosso» a Ben Shapiro, che porta sempre la kippah.   Nello studio viene menzionato pure il vescovo Joseph Strickland, che – a riprova di una certa ignoranza sulle questioni religiose sulle quali la dozzina di autori vuole discettare – viene descritto in modo inesatto come un «ex» vescovo cattolico. Sebbene Strickland sia stato rimosso da Bergoglio dal suo incarico di vescovo di Tyler, Texas, nel novembre 2023, non è stato scomunicato né privato dell’ordine sacerdotale. È noto inoltre che secondo la dottrina cattolica il titolo di vescovo non può essere tolto.   Tra gli autori di fatto non vi sono cattolici e vi è forse un solo cristiano, l’evangelico Johnnie Moore, già capo di alcune commissioni ed enti con la parola «libertà» nel titolo, nonché premiato con una medaglia al valore dal Simon Wiesenthal Center, l’organizzazione ebraica intitolata al celebre «cacciatore di nazisti».   Il protestante Moore ha assunto un ruolo attivo nella promozione dello studio dell’NCRI sui social media, difendendolo di fronte al massiccio contraccolpo della Owens e decine di altri commentatori cristiani.   «Il termine CRISTO È RE… viene dirottato dagli estremisti antisemiti per manipolare i cristiani», ha affermato Moore giovedì.   Come scrive LifeSite, lungi dall’essere un centro di ricerca «neutrale» di terze parti, l’NCRI è legato a diversi gruppi di sinistra e ha promosso molti punti di discussione del Deep State sin dal suo inizio.   Nel 2021, ol Finkelstein è apparso sulla trasmissione di inchiesta americana 60 Minutes per criticare la «disinformazione» sui vaccini anti-COVID e sull’uso delle mascherine. Il suo gruppo ha anche affermato che i «propagandisti russi» erano da biasimare per la «disinformazione» in atto.   Nel 2019, l’NCRI ha stretto una partnership con la radicale anti-Defamation League (ADL), potente ente che funge da «inquisizione» di idee non allineate, che di recente dalle questioni ebraiche si è spostato su temi come razzismo e omofobia, cercando di colpire anche figure del calibro di Tucker Carlson e Elon Musk. Un comunicato stampa emesso all’epoca spiegava che avrebbero «prodotto una serie di report che analizzassero in modo approfondito il modo in cui l’estremismo e l’odio si diffondono sui social media».   L’ADL consiste de facto in un gruppo di pressione ebraico che ha diffamato i cattolici tradizionali e attaccato la Santa Messa tradizionale per molti anni. Il Finkelstein ha lavorato come Research Fellow per l’ADL dal 2018 al 2020. Moore stesso ha prestato servizio come membro del Board of Trustees dell’ADL a Los Angeles. Moore ha anche lavorato con la Middle East Task Force dell’ADL.   L’NCRI è stato sostenuto da altri gruppi di sinistra e sionisti. La testata di sinistra Mint News riferisce che avrebbe ricevuto oltre 1 milione di dollari dalla Israel on Campus Coalition (ICC), un gruppo che cerca di diffondere il sionismo nei college statunitensi. La testata di sinistra Grayzone ha anche scoperto che l’NCRI ha elencato la Open Society Foundation di George Soros come affiliata fino a quando non ha eliminato quella sezione dal suo sito web nel 2021.   L’attuale sito web dell’NCRI include un elenco di consulenti strategici. Tra questi c’è il professor Robert George di Princeton. George è cattolico e ha legami con molti gruppi influenti e importanti cattolici coinvolti nella politica a Washington DC. Ha trascorso molti anni a promuovere il dialogo tra cattolici ed ebrei.

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Membro del Council on Foreign Relations (CFR), il George sembra aver incontrato Finkelstein durante gli anni del college, quando Finkelstein frequentò Princeton, scrive LSN. Il Finkelstein fu anche visiting scholar per il James Madison Program di Princeton, di cui George è a capo.   Il George ha condiviso un articolo sul suo account X questa settimana, invitando i cattolici a «1essere solidali con i nostri fratelli ebrei». Sebbene non abbia condiviso il rapporto del NCRI, ha condiviso un saggio scritto dal cardinale Timothy Dolan di New York. Il saggio è stato pubblicato un giorno prima della pubblicazione dello studio del NCRI e rimproverava «coloro che sui social media si definiscono cristiani ma diffondono odio contro gli ebrei». La tempistica della pubblicazione dell’articolo solleva la questione se sia stato coordinato per amplificare il messaggio del NCRI.     Da tempo Renovatio 21 aveva in cuore la stesura di un articolo intitolato «Basta con Jordan Peterson», per porre argine all’immeritata popolarità che l’ex accademico canadese ha in tanti ambienti conservatori e non solo. Solo chi non conosce la sua figura può essere colpito dal fatto che l’uomo che ha basato la sua fama sul rifiuto di sottomettersi al linguaggio altrui opponendosi ai pronomi gender all’università ora firma saggi per condannare chi usa una propria espressione religiosa.   L’espressione «Cristo Re» ha le sue radici nella Bibbia dove Gesù è detto Re (basileus), Re dei Giudei (basileus ton Iudaion), Re d’Israele (basileus Israel), Re dei re (basileus basileon) per un totale di 35 volte.   La regalità di Cristo,e la necessità di principi e governanti di sottomettersi ad essa, è ribadita consistentemente nell’enciclica Quas Primas del 1925 di Papa Pio XI : «non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria».   Va quindi considerata come pura spazzatura e manipolazione tutta la serie di video lezioni che il Peterson ha dedicato alla Bibbia e alla figura di Cristo, che riesce ad intendere, secondo la mentalità junghiana che emerge dal suo lavoro universitario, come simbolo, più che come realtà vivente ed eterna.   Renovatio 21, che lotta costantemente contro la piaga dell’uso degli psicofarmaci, ricorda anche come il Peterson mentre dava al mondo i suoi consigli per vivere meglio (con libri tradotti in italiano anche da Mondadori) in realtà assumeva benziodiazepine sino a divenirne dipendente. Sparito per un periodo dalla circolazione, si raccontò poi che i famigliari lo avevano portato in Russia e in Serbia per curarsi.   Di lì a poco sarebbe stato assunto dal Daily Wire, il gruppo mediatico dell’ebreo Ben Shapiro, che gestiva stelle di YouTube a fior di milioni di dollari (Stephen Crowder, che doveva entrare nel gruppo ma rifiutò, parlò di un contratto da 60 milioni di dollari), arrivando a finanziare persino la creazione di un polo cinematografico che si voleva alternativo ad Hollywood: da dove arrivassero tutti quei soldi, piovuti improvvisamente in ambiente conservatore, in molti se lo sono chiesti più volte.

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Uscito dalla crisi psicofarmaceutica e dall’università, il Peterson riemerse in un incredibile video in cui pranzava in Israele assieme a Ben Shapiro e al premier dello Stato Ebraico Beniamino Netanyahu. Osservando il video, si possono notare persone che mangiano sullo sfondo, a indicare che il video era stato concepito per sembrare il più casuale e naturale possibile (si può mangiare nella stessa stanza di Netanyahu, una delle persone più minacciate al mondo? Davvero?).   Già quel video faceva capire il disegno complessivo, che rivela una verità profonda e risalente: l’intero movimento conservatore è infiltrato dagli interessi di un etno-Stato, con le icone e le vedette intellettuali concupite e messe a libro paga (e forse, qualcuno sussurra pensando al caso Epstein, ricattate).   Il conservatorismo, ha detto E. Michael Jones (un altro che ha avuto i suoi problemi con ADL e compagni) è un meccanismo creato «per farti rimanere stupido».   L’industria culturale, anche ai tempi di YouTube, anche per la destra, funziona così: narcosi e manipolazione pura.

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Pensiero

Ecco il reato di femminicidio. E la fine del diritto

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Femminicidio, tanto tuonò che piovve. Di questa ennesima «conquista di civiltà» si era già tanto sentito a fasi intermittenti, e i giochi sembravano fatti da tempo.

 

Il termine sgangherato circolava da quando quella idea distorta era già stata inoculata di soppiatto in quel capolavoro di brigantaggio legislativo che aveva assunto da solo il titolo onorifico di «Buona scuola». Infatti, faceva corpo unico col pacchetto avvelenato del gender per tutti, da distribuire nelle scuole di ogni ordine e grado per la formazione adeguata delle inermi giovani generazioni.

 

Un pacchetto confezionato nientemeno che a Istanbul, nel 2011 con la Convenzione stilata lì, chissà perché, dal Consiglio Europeo. Dunque farina del sacco di Bruxelles, come tutto il ciarpame che viene prodotto e distribuito da anni nella indifferenza o nella ignoranza di popoli da esso contaminati e oppressi. Infatti, tutto viene metabolizzato e alla fine legittimato in un processo di adeguamento passivo che sembra non dare scampo.

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Il DDL accolto trionfalisticamente dalle signore (ma anche dai signori) della politica, è lo specchio di un degrado culturale e in particolare giuridico che potrebbe diventare inarrestabile, di cui essi non arrivano minimamente a valutare le conseguenze, per grossolana ignoranza in alcuni casi, ma forse per mirata malafede in altri.

 

Di certo, ancora una volta si va ad intaccare il meccanismo sapiente e coerente, e per questo delicato, del sistema penale, ignorando o mettendo in programma conseguenze capaci di minare gli stessi assetti, peraltro già traballanti, dell’ordinamento giuridico e istituzionale.

 

Per mettere a fuoco correttamente quale sia veramente la posta in gioco, occorre lasciare da parte il contorno folkloristico del piagnisteo fuori tempo massimo e fuori luogo in cui il politicume di ogni colore cerca di ritagliare una propria aggiornata credibilità.

 

Tra Sette e Ottocento, menti illuminate e sostenute da una solidissima cultura umanistica, sentirono l’urgenza di dedicarsi allo studio della legge penale, con la speranza e la volontà di apportare ad essa quel contributo di conoscenza e di pensiero con cui gettare le basi dei moderni sistemi penalistici.

 

Era stato messo a fuoco come il problema eterno del delitto e della pena, da sempre fondamentale per la vita di una comunità organizzata, in un tempo in cui la tortura era ancora uno strumento per «rendere giustizia», portava con sé quello di un nuovo rapporto tra cittadino e potere che doveva essere e poteva essere riformulato sulla scia degli eventi rivoluzionari.

 

Si trattava di fondare lo «stato di diritto», dove il cittadino possa ottenere la protezione della legge anche nei confronti del potere costituito, e in cui tutte le moderne società sedicenti «democratiche» aspirano a sentirsi incastonate (va detto per onore di cronaca che per nostra signora di Bruxelles lo stato di diritto significa dovere dei sudditi di obbedire simul ac cadaver alle «regole» UE).

 

Ci si è resi conto che il diritto penale deve dunque difendere la società dai comportamenti antisociali dei singoli, ma anche dall’arbitrio del giudice e del legislatore. Ma queste finalità possono venire raggiunte attraverso l’elaborazione di un sistema di norme ordinate secondo una logica precisa e articolata. Con una tecnica legislativa capace di garantire il più possibile quegli obiettivi attraverso una precisa rete concettuale, che non deve lasciare spazio alla distorsione dei principi e della loro vocazione ordinatrice.

 

Anzitutto debbono essere individuati i valori che assicurano le condizioni di conservazione e sviluppo della società e che, come tali, vengono chiamati «beni giuridici».

 

Il reato è il comportamento lesivo che, offendendo quei valori predeterminati, mette in pericolo queste condizioni, e deve essere combattuto attraverso la minaccia prima, e l’applicazione poi, della pena da parte dello Stato. Questo assume il ruolo di chi subisce l’offesa in quanto espressione della intera collettività, e dispone del potere di infliggere la sanzione utilizzando i mezzi necessari allo scopo.

 

Se il reato è dunque la violazione di un valore meritevole di tutela, quello che viene punito è il fatto che viola il bene giuridico, indipendentemente dalle qualità di chi sia vittima del reato, qualità che incidono soltanto sulla gravità e quindi eventualmente sulla quantità della pena.

 

I fatti lesivi del valore tutelato vengono «tipizzati» cioè indicati in schemi astratti predeterminati che limitano l’oggetto dell’accertamento del fatto concreto da parte del giudice. La tipizzazione garantisce all’individuo di non essere esposto ad una incriminazione e ad un giudizio arbitrari, e al tempo stesso definisce il valore oggettivo tutelato, ovvero il bene giuridico violato dal fatto indipendentemente dal soggetto che ne sia portatore particolare.

 

Così, se ad essere tutelata è la vita umana, o la proprietà, o la fede pubblica, il valore offeso rimane il medesimo chiunque sia la persona offesa, salvo la graduazione della pena, come si diceva, se il fatto è stato commesso ai danni ad esempio di un minore o di persona in condizioni di menomazione fisica o psichica.

 

La tecnica normativa non si manifesta dunque come un informe catalogo di divieti e di minacce, ma come una rete concettuale determinata volta a comporre le esigenze contrapposte di difesa della società e di difesa da un uso arbitrario del potere punitivo. Si tratta di un sistema che risponde ad una logica che garantisce nei limiti del possibile l’applicazione corretta della legge e il soddisfacimento di quelle esigenze di tutela.

 

Così ad esempio, per venire al caso in questione, se il reato venisse calibrato sulle caratteristiche della persona offesa, avremmo un sistema penale basato su discriminazioni e privilegi, cioè esattamente in opposizione con quella che riconosciamo come una conquista di civiltà giuridica, ovvero di civiltà tout court.

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Un ritorno al tempo che pensavamo seppellito per sempre nella modernità, in cui l’uccisione di un feudatario era ritenuto più grave di quella del servo della gleba, e punito di conseguenza. E viene in mente in proposito la tremenda pena per squartamento, peraltro non proprio eccezionale, inflitta all’attentatore di Francesco I qualche secolo fa.

 

Ma tutto questo sfugge evidentemente ai virtuosi promotori, ai propagandisti di regime, ai mestatori di ogni risma, a politici impegnati per definizione, non si sa bene in cosa, fino alla Presidenza del Consiglio e dintorni, dove si fa sfoggio di qualche carenza formativa almeno sul piano dei concetti giuridici più elementari. Carenza che peraltro non andrebbe sottovalutata.

 

Infatti, in questa nuova forma di reato di genere, si potrebbe vedere, in fondo, il rovescio di quell’ «uccidere un fascista non è reato» che spopolava nei tempi d’oro della guerra per bande politiche. Perché il principio è lo stesso: il reato dipende dalla qualità della vittima. Ma su una base del genere si possono aprire scenari di ogni tipo nel grande varietà in movimento di cui siamo spettatori spesso attoniti.

 

Non occorre spendere ancora parole sulla disperante campagna fumogena che viene alimentata sul tema e che è ormai sotto gli occhi di tutti. Ma basterebbe che si acquisisse coscienza anche della estrema pericolosità dello slittamento di un intero sistema normativo che, con inaudita irresponsabilità da parte degli organi di governo, viene intaccato nei suoi cardini e nelle sue chiavi di volta.

 

Perché senza una presa di posizione fortissima contro questa deriva da parte di giuristi e politici oculati, le conseguenze potranno diventare incontrollabili.

 

Patrizia Fermani

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