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Storia

La grande tradizione americana di sparare ai candidati presidenziali. E ai presidenti

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Il tentato assassinio di Donald J. Trump non costituisce una grande novità negli Stati Uniti d’America.

 

In tre cicli elettorali consecutivi durante gli anni Sessanta e i primi anni Settanta, i candidati alla presidenza furono bersaglio di assassini, ricorda il New York Times in una breve nota. Due, tra cui un presidente in carica, furono uccisi. Uno fu gravemente ferito.

 

L’ultimo episodio del genere risale al 1972, quando il governatore dell’Alabama George C. Wallace fu colpito a morte mentre era in campagna elettorale in un centro commerciale fuori Washington, DC. Il Wallace rimase parzialmente paralizzato a causa della sparatoria e dovette usare una sedia a rotelle fino alla sua morte, avvenuta nel 1998.

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Quattro anni prima, Robert F. Kennedy, senatore ed ex procuratore generale degli Stati Uniti, aveva appena vinto le primarie democratiche in California nel 1968 quando fu colpito a morte dopo aver pronunciato un discorso di vittoria all’Ambassador Hotel di Los Angeles. Suo figlio Robert F. Kennedy Jr. è attualmente in corsa per la presidenza come candidato indipendente e ha cercato senza successo la protezione del Secret Service, l’agenzia americana preposta alla sicurezza dei presidenti.

 

Il presidente John F. Kennedy, fratello maggiore di Robert F. Kennedy, fu colpito a morte da Lee Harvey Oswald durante una visita a Dallas nel novembre 1963 per rafforzare il sostegno alla sua candidatura alla rielezione nel 1964. Non tutti sanno che il termine «conspiracy theory» – cioè teorico del complotto, o «complottista» – fu coniata dalla CIA proprio per sviare l’attenzione da chi notava che molti particolari nella ricostruzione del presidenticidio non collimavano.

 

Meno noto è un altro tentativo di uccidere JFK: l’11 dicembre 1960, durante una vacanza a Palm Beach, in Florida, il Kennedy, allora presidente eletto, fu minacciato da Richard Paul Pavlick, un ex impiegato delle poste di 73 anni spinto dall’odio verso i cattolici. Il Pavlick intendeva far schiantare la sua Buick del 1950 carica di dinamite contro il veicolo di Kennedy, ma cambiò idea dopo aver visto la moglie e la figlia di Kennedy salutarlo. L’uomo anticattolico fu arrestato tre giorni dopo dai servizi segreti dopo essere stato fermato per infrazione alla guida; la polizia trovò la dinamite nella sua macchina e lo rinchiuse.

 

Secondo il Congressional Research Service, prima di sabato si erano verificati almeno 15 attacchi diretti a presidenti, presidenti eletti e candidati alla presidenza, cinque dei quali avevano causato vittime.

 

Nel 1975, ci furono due tentativi di assassinio del presidente Gerald R. Ford in meno di tre settimane. Nel primo, Lynette A. Fromme, un’accolita della setta di Charles Manson, cercò di sparare con una pistola al Ford mentre camminava dal suo hotel al Campidoglio di Sacramento, ma la camera non aveva proiettili.

 

Diciassette giorni dopo, Sara Jane Moore, che era stata coinvolta in diversi gruppi di sinistra, cercò di sparare al presidente fuori da un hotel a San Francisco, ma mancò il bersaglio quando un marine che era in piedi accanto a lei le fece alzare il braccio mentre sparava.

 

Nel marzo 1981, circa due mesi dopo il suo insediamento, il presidente Ronald Reagan fu colpito e gravemente ferito fuori da un hotel di Washington, DC, da John W. Hinckley Jr., che sosteneva di voler attirare l’attenzione dell’attrice Jodie Foster dopo averla vista nel film Taxi Driver. Il ragazzo aveva seguito la Foster iscrivendosi all’università di Yale, quella dove, peraltro, è attiva la società segreta studentesca Skull and Bones, dalla quale, secondo una vulgata storica finita in film come The Good Shepherd, sarebbe nata la CIA. Degli Skull and Bones sono membri riconosciuti i Bush.

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Poco noto il fatto che Hinkely fosse il figlio di John Hinckley Sr., politico e sostenitore finanziario della campagna elettorale di George H. W. Bush – che a quel tempo ricopriva la carica di vicepresidente – nelle primarie contro Ronaldo Reagan, fu riportato anche il loro legame d’affari nel settore petrolifero. Il fratello maggiore di Hinckley, Scott, era amico di Neil Bush, uno dei figli di George H. W. Bush; i due avevano in programma di pranzare insieme il giorno della sparatoria. Inoltre, Neil Bush ha vissuto per un periodo a Lubbock, in Texas, la stessa città dove John Hinckley risiedette verso la fine degli anni settanta.

 

Se Reagan fosse morto nell’attentato, il vicepresidente dell’epoca, George H. W. Bush, sarebbe diventato presidente. Lo Hinckley, dopo anni di manicomio criminale, è stato rilasciato senza condizioni nel 2022.

 

È noto che Reagan, attore hollywoodiano con un debole per le barzellette (era eccezionale a raccontare quelle societiche), fece una battuta ai chirurghi una volta entrato in sala operatoria per l’intervento di urgenza: «spero siate tutti repubblicani».

 

Andando indietro nel tempo, troviamo altri esempi di attentati ed omicidi politici di rilievo.

 

Il 14 ottobre 1912, l’ex gestore di tavera John Schrank (1876-1943) tentò di assassinare l’ex presidente degli Stati Uniti Teodoro (1858-1919) mentre faceva campagna per la presidenza a Milwaukee, nel Wisconsin. Il proiettile di Schrank conficcò nel petto di Roosevelt dopo essere penetrato nella custodia in acciaio degli occhiali di Roosevelt e aver attraversato una copia spessa 50 pagine (piegata una sola) del suo discorso intitolato La causa progressista più grande di qualsiasi individuo, che portava nella tasca della giacca.

 

Lo Schrank fu immediatamente disarmato e catturato; avrebbe potuto essere linciato se Roosevelt non avesse gridato a Schrank di rimanere illeso. Roosevelt ha assicurato alla folla che stava bene, quindi ha ordinato alla polizia di prendersi cura di Schrank e di assicurarsi che non gli fosse stata fatta violenza.

 

In quanto esperto cacciatore e anatomista, Roosevelt concluse correttamente che, poiché non stava tossendo sangue, il proiettile non aveva raggiunto il suo polmone. Quindi rifiutò il suggerimento di recarsi immediatamente in ospedale per pronunziare il suo discorso esattamente programmato.

L’assassinio presidenziale più storico rimane quelli di Abramo Lincoln (1809-1865), ucciso mentre si trovava a teatro dall’attore John Wikes Booth (1838-1865). Il Booth al momento di premere il grilletto sulla nuca del presidente avrebbe proferito la formula latina «sic semper tyrannis» («così sempre per i tiranni», che è il motto dello Stato della Virginia. Curiosamente, si era detto che la moglie di Tony Blair, Cherie Booth, fosse sua discendente, ma la cosa sembra smentita.

 

Il Lincoln aveva subito tentativi di assassinio anche il 23 febbraio 1861 e nell’agosto 1864.

 

Un altro assassinio presidenziale riuscito fu quello del presidente James A. Garfield (1831-1881), il ventesimo presidente degli Stati Uniti, presso alla stazione ferroviaria di Baltimora e Potomac a Washington, alle 9:20 di sabato 2 luglio 1881, meno di quattro mesi dopo il suo insediamento. Tale Charles J. Guiteau fu condannato per l’omicidio di Garfield e giustiziato per impiccagione un anno dopo la sparatoria. Il Guiteau credeva di aver svolto un ruolo precipuo nell’elezione del Garfield, per il quale sentiva di dover essere premiato con l’assegnazione di un consolato a Parigi o Vienna.

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Venti anni dopo, fu assassinato il presidente William McKinley (18403-1901) venerdì 6 settembre 1901 al Temple of Music di Buffalo, New York. McKinley, mentre partecipava all’Esposizione Panamericana, è stato colpito due volte all’addome a distanza ravvicinata da Leon Czolgosz, un anarchico, armato con un revolver calibro 32 nascosto sotto un fazzoletto. Il primo proiettile rimbalzò su un bottone o su una medaglia premio sulla giacca di McKinley e si conficcò nella sua manica; il secondo colpo gli ha trapassato lo stomaco. Sebbene inizialmente McKinley sembrasse in fase di ripresa, le sue condizioni peggiorarono rapidamente a causa della cancrena attorno alle ferite e morì il 14 settembre 1901 alle 2:15.

 

Vi sono altresì casi di morte di presidenti che si sospettano siano stati assassini.

 

Il 9 luglio 1850, il presidente Zaccaria Taylor (1784-1950) morì a causa di una malattia diagnosticata come colera morbus, che presumibilmente venne dopo aver mangiato ciliegie e latte durante una celebrazione del 4 luglio. Quasi immediatamente dopo la sua morte, iniziarono a circolare voci secondo cui Taylor era stato avvelenato dai meridionali pro-schiavitù, e teorie simili sono persistite nel 21° secolo.

 

Nel giugno 1923, durante un viaggio nella parte nordoccidentale degli Stati Uniti, il presidente Warren G. Harding (1865-1923) fu vittima di una intossicazione alimentare, che divenne polmonite subito dopo portandolo alla morte.

 

Il 30 gennaio 1835 un tentativo di uccidere il presidente Andrea Jackson (1767-1845) fu eseguito da un imbianchino del Campidoglio, ma ambo le pistole usate si incepparono. Più tardi qualcuno ha provato le due pistole ed entrambe hanno funzionato bene. Lawrence è stato arrestato dopo che Jackson lo ha picchiato duramente con il suo bastone. Lawrence fu dichiarato non colpevole per pazzia e rinchiuso in un istituto psichiatrico fino alla sua morte nel 1861.

 

Nel 1909 il presidente Guglielmo Taft (1857-1930) fu obbiettivo di un tentativo di assassinio mentre incontrava il presidente massone del Messico Porfirio Diaz. La sua sicurezza trovò un uomo che nascondeva una pistola lungo il percorso della processione presidenziale a El Paso, in Texas. Un’altra cospirazione per uccidere il Taft sarebbe saltata fuori nel 1919.

 

Anarchici argentini, guidati da Severino di Giovanni, pianificarono di far saltare il treno del presidente americano Erberto Hoover (1874-1964) mentre era in visita nel Paese il 19 novembre 1928.

 

Il 15 febbraio 1933, diciassette giorni prima della prima inaugurazione presidenziale di Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), Giuseppe Zangara sparò cinque colpi a Roosevelt a Miami, in Florida. I colpi di Zangara hanno mancato il presidente eletto, ma Zangara ha ferito mortalmente il sindaco di Chicago Anton Cermak e ferito altre quattro persone. Zangara si dichiarò colpevole dell’omicidio di Cermak e fu giustiziato sulla sedia elettrica il 20 marzo 1933. Non è mai stato stabilito in modo definitivo chi fosse l’obiettivo di Zangara, ma la maggior parte inizialmente presumeva che avesse sparato al presidente eletto. Un’altra teoria è che l’attentato potrebbe essere stato ordinato dall’incarcerato Al Capone e che Cermak, che aveva condotto una repressione contro il Chicago Outfit e la criminalità organizzata di Chicago più in generale, fosse il vero obiettivo.

 

Secondo i servizi segreti sovietici dell’NKVD – agenzia antesignana del KGB – piani di assassinio del Roosevelt sarebbero stati concepiti dalle Waffen-SS naziste, che avrebbero voluto colpire oltre al presidente USA anche Winstone Churchill e Giuseppe Stalin alla conferenza di Teheran nel 1943.

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Nel 1947 presidente Enrico Truman (1884-1972) fu invece al centro di un complotto di assassinio ordito da terroristi ebrei. Durante l’insurrezione ebraica in Palestina prima della formazione dello Stato di Israele, l’organizzazione paramilitare sionista Lehi avrebbe inviato una serie di lettere bomba indirizzate al presidente e al personale di alto rango della Casa Bianca.

 

Il 1 novembre 1950, due attivisti indipendentisti portoricani, Oscar Collazo e Griselio Torresola, tentarono di uccidere il presidente Truman alla Blair House, dove Truman viveva mentre la Casa Bianca era sottoposta a importanti lavori di ristrutturazione. Nell’attacco, Torresola ha ferito il poliziotto della Casa Bianca Joseph Downs e il poliziotto della Casa Bianca Leslie Coffelt ferito a morte.

 

Il presidente Riccardo Nixon (1913-1994) fu oggetto di un tentato assassinio mentre si trovava in Canada il 13 aprile 1972. Un uomo armato, Arthur Bremer, si avvicinò al corteo presidenziale, ma non riuscì a sparare. Il mese dopo il Bremer sparò e ferì gravemente il governatore dell’Alabama Giorgio Wallace, che rimase paralizzato.

 

Il 22 febbraio 1974 tale Samuel Byck progettò di uccidere Nixon facendo schiantare un aereo di linea commerciale contro la Casa Bianca. Ha dirottato un DC-9 all’aeroporto internazionale di Baltimora-Washington dopo aver ucciso un agente di polizia della Maryland Aviation Administration e gli è stato detto che non poteva decollare con i blocchi delle ruote ancora al loro posto. Dopo aver sparato a entrambi i piloti (uno dei quali morì in seguito), un ufficiale di nome Charles “Butch” Troyer sparò a Byck attraverso il finestrino della porta dell’aereo. È sopravvissuto abbastanza a lungo da uccidersi sparandosi.

 

Anche Jimmy Carter, George Bush padre e figlio, Bill Clinton, Obama e lo stesso Trump hanno subito le attenzioni di attentatori.

 

Questa grande tradizione made in USA sembra non dare cenni di voler terminare.

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Intelligence

Gehlen, la superspia da Hitler alla CIA

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«È legittimo usare Belzebù per scacciare Satana». Con questa semplice frase, veniva riassunto dal giornalista del New Republic in un articolo dell’aprile 1972, il particolare rapporto venutosi a creare tra i servizi statunitensi e l’Intelligence tedesca dalla fine della guerra in avanti. L’uomo che fece da collante tra i due universi prima e dopo la conferenza di Potsdam fu Reinhard Gehlen (1902-1979) o anche conosciuto come la superspia di Hitler.    Iniziò la sua rapida ascesa nell’esercito tedesco sul fronte polacco del 1939. Successivamente prese parte allo staff del generale Franz Halder (1884-1972), comandante in capo del Comando Supremo dell’Esercito Tedesco e ne divenne in breve uno degli assistenti principali. Ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle operazioni in Grecia, Yugoslavia e Unione Sovietica e nella primavera del 1942 venne incaricato di gestire la FHO, Fremde Heere Ost, una nuova entità nata con lo scopo di ottenere informazioni sull’Armata Rossa e sul fronte orientale in generale.   Si ritrovò a lavorare molto vicino alla Abwehr di Willelhm Canaris (1887-1945), l’Intelligence tedesca nata dopo la fine della Grande Guerra e soppressa in seguito alla scoperta di un complotto ordito per assassinare Adolf Hitler (1889-1945). Il lavoro preparatorio svolto dalla Abwehr per l’operazione Barbarossa si rivelò essere approssimativo e concorse al disastro di Stalingrado. La fine dei servizi gestiti da Canaris lasciò la strada spalancata al giovanissimo Gehlen che a soli quarantanni si ritrovo in carico della gestione della nuova Intelligence tedesca. 

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Gehlen rinforzò immediatamente la struttura dei servizi portando professionisti in grado di studiare i nemici sovietici come mai prima era stato fatto. Prima di lui, la hybris della Abwehr sulla convinzione della superiorità ariana sopra quella slava non aveva mai permesso l’approfondimento perché considerato uno sporcarsi le mani ad un livello non consono. Gehlen, tra gli altri, assunse un antropologo, un esperto in slavistica, un geografo, un avvocato, con l’obiettivo di raccogliere più materiale possibile.    Gehlen si ritrovo ben due volte contro il favore di Hitler. La prima quando stilò un prospetto in cui dichiarava perso il fronte orientale e l’armata Rossa militarmente superiore a quella tedesca. La seconda volta quando il suo studio mostrava persa Berlino e proponeva come unico modo di difesa finale l’attivazione dei Werewolf, gruppi paramilitari nazisti che avrebbero dovuto operare in assetto di guerriglia dietro le linee. Con questo documento, nell’aprile 1945, Hitler lo depose con l’accusa di disfattismo.   Da quel momento in avanti, in anticipo sui tempi e sui suoi colleghi, cominciò la sua preparazione personale per il dopo guerra. Radunò, copiò in microfilm e sotterrò in diversi punti delle Alpi bavaresi oltre cinquanta barili stagni, colmi dell’archivio dell’Intelligence tedesca. Si arrese agli americani e portato nel campo di concentramento Camp King, dichiarò che avrebbe potuto fornire informazioni fondamentali sull’Armata Rossa sovietica. Oltre ai documenti avrebbe potuto informare su dove si stesse nascondendo la maggioranza degli ufficiali nazisti in ottica di reclutamento per la causa anti comunista.    Nel mondo post conferenza di Potsdam del 2 agosto 1945, la presenza dell’Intelligence dell’Asse nei paesi al di là della cortina di ferro era stata completamente azzerata. Gli unici ad avere ancora delle informazioni rimanevano i membri degli apparati nazisti. Gehlen stesso la corsa dell’Armata Rossa verso Berlino aveva impiantato una rete di agenti doppi dentro i futuri Paesi a influenza sovietica. In questa situazione di nebbia totale ma anche di grande sopravvalutazione delle forze sovietiche, venne considerato da Allen Dulles (1893.1969), il modo più veloce per recuperare una forma di presenza nell’Europa del dopoguerra. Bedell-Smith (1895-1961) a capo dell’ufficio di Berna in quel momento e futuro direttore della prima CIA, lo reclutò e lo spedì a Washington dove lavorò per formare quella che venne da quel momento chiamata la Gehlen Organization.    Il gruppo di persone, chiamato in seguito dei «realisti» e che comandò la politica estera statunitense per un quarto di secolo, lo portò subito dalla propria parte offrendogli, negli anni e in forma segreta, duecento milioni di dollari. Allen Dulles stesso, quando Gehlen ottenne di tornare in Germania per formare il BND, Bundesnachrichtendienst, i Servizi Segreti Federali, lo incensò con una buonuscita da duecento cinquantamila marchi come ricompensa per tutto ciò che aveva fatto per la CIA. 

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L’organizzazione di Gehlen ottenne la vecchia dimora di Martin Bormann (1900-1945), ufficiale e primo consigliere di Hitler, a Pullach, nella Baviera meridionale, quale edificio da dove operare. Da questa base nascerà la BND, i servizi segreti della Germania Ovest, dentro la quale inserì tutti quegli ex SS e membri della Wermacht di sua preferenza. Uno dei ruoli principali di Gehlen, soprattutto grazie ai doppi agenti attivati nei Paesi dell’Est, fu quello di strutturare la rete Stay Behind o anche detta operazione Gladio, gruppi paramilitari coperti antisovietici, messa in piedi in tutta Europa    Una situazione simile accadde anche in Italia. James Jesus Angleton (1917-1987), a capo dell’ufficio italiano della OSS, organizzò la fuga di Valerio Junio Borghese (1906-1974) da Salò assieme all’archivio della SIM, il Servizio d’Informazione Militare italiano. In questo modo pose le basi, per incorporare nell’Italia del dopoguerra gli apparati dell’Intelligence fascista in funzione anti sovietica. Assieme a questo, il fratello maggiore di Reinhard, Johannes, fisico nucleare, venne messo a capo dell’ODEUM una sussidiaria della organizzazione del fratello. Roma divenne centro di diversi interessi e luogo per eccellenza di miscellaneo incontro di spie internazionali.   Nonostante l’impegno profuso da Allen Dulles per ottenere le informazioni sui sovietici attraverso Gehlen e il suo esercito di nazisti, le montagne di documenti e le migliaia di informazioni che la CIA ottenne e lavorò in quegli anni si rivelarono però quasi completamente inutili. Sempre secondo l’articolo del New Republic, la parte ancora più inquietante non fu tanto l’inutilità finale delle informazioni portate ma scoprire in seguito come la sua organizzazione fosse stata infiltrata fin dall’inizio dai Sovietici. Proprio Gehlen una volta in auge a Washington, indicò tra i migliori prospetti a disposizione proprio Igor Orlov (1923-1982), l’uomo che due decenni dopo venne scoperto essere la famigerata talpa «Sasha».   Lev Bezymenskij (1920-2007), giornalista e storico russo di base a Bonn, pubblicò una recensione del libro di memorie di Gehlen. Il russo racconta come la versione iniziale del libro non avendo molto brio e novità da raccontare a fronte di un anticipo dato a Gehlen di un milione e mezzo di marchi si decise in fase editoriale di arricchirlo. Venne inviato David Irving, un giornalista inglese esperto in materia di Seconda Guerra Mondiale che su aiuto di Gehlen stesso organizzò una serie di interviste nella casa del tedesco sulle rive del lago di Starnberg in Baviera. Quello che ne venne fuori, venne considerato altamente non pubblicabile. La versione americana venne mondata dagli aggiornamenti di Irving, una copia invece non si sa come finì tra i tipi dello Spiegel di Amburgo che non perse un secondo a pubblicarlo.    Oltre alla parte in cui si raccontava il fatto che l’organizzazione mantenesse il controllo anche sui fatti interni tedeschi, cosa assolutamente contro il suo senso formale di esistenza. Interessante era la parte in cui veniva spiegato come all’inizio degli anni Cinquanta, l’organizzazione tedesca avesse inviato diversi ufficiali in Egitto per tentare di infiltrare la polizia e i servizi egiziani senza riuscirci. Dopo questo tentativo decisero di puntare dunque sull’addestrare il Mossad ad inviare agenti doppi negli Emirati Arabi. Proprio Gehlen raccontò successivamente che Dulles e la CIA spinsero perché si prendessero in mano il Medio Oriente. In seguito alla guerra di Suez però, l’organizzazione, racconta sempre Gehlen, si concentrò solamente nell’addestrare il Mossad, l’appena nato, piccolo ma efficientissimo, servizio segreto israeliano, in modo da aiutare l’infiltrazione di spie nei Paesi arabi.    Marco Dolcetta Capuzzo

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Immagine di Bundesarchiv, Bild 183-27237-0001 via Wikimedia pubblicata su licenza CC-BY-SA 3.0; immagine modificata
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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha

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Nonostante il successo nelle fasi finali del conflitto, il dilettantismo statunitense nel mondo dell’Intelligence globale rimase un tratto dominante dall’entrata in guerra fino a tutta la prima parte del dopoguerra. La volontà di volersi avvicinare all’esperienza del MI6 inglese o della struttura messa in piedi ancora da Pietro il grande e utilizzata in seguito dai sovietici, si accompagnò alla enorme quantità di denaro a disposizione durante e soprattutto dopo il conflitto.

 

Nella foga di dimostrare al pianeta che la repubblica del nuovo mondo avesse finalmente raggiunto il tavolo di chi conta entrando dalla porta principale, venne trascurata non poca cautela. Caratteristica di quel periodo fu proprio la fretta e l’esuberanza nel voler arrivare il prima possibile a un risultato saltando livelli necessari di precauzione. Sia il mondo dell’intelligence americano appena nato con l’OSS e soprattutto in seguito con la CIA, per la frenesia di trovare informatori, trascurò le più necessarie pratiche di controspionaggio, con il risultato di riempire l’America di agenti doppi sovietici.

 

Uno dei casi più eclatanti, descritto bene nell’opera di Joseph Trento The Secret History of the CIA, fu quello di Igor Orlov, nome in codice «Sasha», per la vera identità di Aleksander Ivanovich Navratilov (1918-1982). Figlio di un importante famiglia russa, discendente diretta della aristocrazia, divenne fondamentale in un momento in cui Lavrentij Berija (1899-1953) zelante e potentissimo direttore della polizia segreta sotto il georgiano Iosif Stalin (1878-1953) stava percependo di perdere la fiducia del dittatore cosa che avrebbe significato morte certa, non solo politica.

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Fino a quel momento, gli agenti scelti per le missioni speciali venivano per lo più dall’Ucraina o dalla Georgia per la mancanza di fiducia di Stalin verso i Russi. Di questo «vezzo» erano a conoscenza anche i servizi tedeschi, che utilizzavano questo schema per stanarli con maggiore, relativa, facilità. Berija, dunque, mostrò a Stalin un fascicolo con la scheda di tal Aleksander Grigoryevich Kopatzky. Nome fittizio di chiaro stampo non russo bensì polacco, donato a Navratilov per riuscire a passare sotto il controllo del georgiano e accedere al livello successivo.

 

Aleksander spiccò tra tanti altri agenti guadagnandosi la sua occasione attraverso un atto considerato da Berija eccezionale per il ruolo che avrebbe dovuto interpretare. Suo padre, Ivan, aveva scalato le gerarchie ottenendo una posizione di tutto rilievo nella Ceka, la polizia segreta sovietica. La sua famiglia conosceva talmente bene il modus operandi degli ufficiali di Berija durante le purghe che quando due ufficiali bussarono alla porta di casa in piena notte, avevano già capito a cosa sarebbero dovuti andare incontro.

 

La moglie Anna, chiese immediatamente chi l’avesse denunciato. La risposta sconvolse i due genitori in quanto la denuncia era arrivata dal figlio Aleksander che sottolineò subito di averlo sentito chiamare Stalin un traditore. Era esattamente questo tipo di lucida follia di cui aveva bisogno Berija per portare a termine lo spregiudicato progetto in rampa di lancio.

 

Il suo compito, ben oltre il limite del suicidio, sarebbe stato quello di farsi paracadutare oltre le linee per guadagnarsi la fiducia dei nazisti come disertore. L’obiettivo, oltre a creare una nuova rete di spionaggio, avendo Stalin purgato quella eccezionale realtà costruita da Pietro il Grande una volta conosciuta come i migliori servizi segreti del mondo, era quello di avvicinare l’armata disertrice dell’ex generale dell’armata rossa, passato dall’altro lato del fronte, Andreevič Vlasov (1901-1946).

 

Stalin, che avrebbe potuto conoscere in anticipo le volontà d’invasione tedesche se, paradossalmente, non avesse azzerato l’Intelligence con le purghe, temeva l’utilizzo dell’armata di Vlasov composta da oltre cento cinquantamila elementi visceralmente anti sovietici. Riuscire a sapere prima del tempo dove sarebbe stata impiegata avrebbe aiutato enormemente la logistica sovietica durante l’operazione Barbarossa.

 

Aleksander venne mandato in aereo nella regione polacca occupata dai nazisti vicino alla posizione di Vlasov. Nel volo uccise i piloti come prova della sua diserzione. Nel salto con il paracadute dovette sperare di non venir ferito mortalmente e di riuscire ad arrivare in ospedale senza morire dissanguato. La parte da recitare ai tedeschi l’aveva ripetuta un milione di volte e anche se ferito da tre proiettili riuscì a mantenere il ruolo fino ad arrivare ancora vivo anche se in stato d’incoscienza.

 

Una volta dentro la clinica riuscì a convincere gli ufficiali nazisti della sua lealtà denunciando varie talpe russe infiltrate da tempo all’interno degli apparati tedeschi. Questi agenti sovietici facevano comunque parte della lunga lista della purga di Stalin e dunque erano tutte carte che avrebbe dovuto giocarsi a sua discrezione.

 

L’operato di «Sasha» fu talmente eccezionale che si guadagnò completamente la fiducia nazista e divenne l’informatore principale dei tedeschi. Per non farsi scoprire anche dalle altre spie sovietiche in terra tedesca dovette iniziare un terribile doppio gioco volto a creare dei nuovi agenti solamente per poterli sacrificare alla bisogna.

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La sua consegna costante di agenti sovietici presenti nell’armata di Vlasov, contribuì a rendere la stessa armata inutilizzabile. I nazisti per via delle continue denunce di nuove spie da parte di Sasha, non impiegarono mai l’armata nell’Operazione Barbarossa, contribuendo in questo modo alla disfatta nazista.

 

Con la gara verso Berlino dei sovietici in corsa sul tempo contro con gli alleati, Orlov riuscì sempre a restare a galla nel suo prezioso ruolo di informatore. Inizialmente riuscì a ingraziarsi Reinard Gehlen (1902-1979), la super spia nazista, in carico dell’armata di Vlasov prima e in seguito dell’intelligence nazista dalla Repubblica di Weimar alla corte statunitense. Successivamente, sfruttò la ricerca furiosa degli yankee di nuove informazioni sui russi, attraverso l’ingorda, e spesso dozzinale, presa delle risorse tedesche, tra cui buona parte dell’Intelligence nazista di Gehlen. In breve Sasha, divenne uno dei principali e longevi agenti dell’agenzia americana, prima a Monaco di Baviera e in seguito nella fondamentale base operativa di Berlino.

 

L’ufficio di Berlino venne preso in mano da Allen Dulles proprio nel finire della guerra e lo tenne fino al 1945, ritornandosene a New York quando venne a sapere che l’OSS non sarebbe stato portato avanti. L’ufficio passò di mano per qualche anno e venne abbandonato dal governo americano che ne taglio i fondi e ne limitò l’operato. In questa condizione di disuso Orlov potè sguazzare rimanendone appiccicato grazie alla nomea di miglior agente in mano agli americani. Questa nomea rimase indisturbata per i molti anni successivi.

 

La sua mansione principale era quella di gestire i bordelli aperti dalla CIA a Karlshorst, la piccola Mosca di Berlino, il principale centro di tutte le operazioni fuori dall’Unione Sovietica. Secondo la logica americana, Orlov avrebbe potuto, attraverso fotografie compromettenti, ricattare gli agenti dell’Unione e creare nuovi elementi utili per la causa a stelle e strisce. Quello che gli americani non avevano considerato era che quelle foto per gli agenti russi non avrebbero creato nessun fastidio, ma questo chiaramente Sasha, non lo confidò mai. In questo ruolo potè convivere tranquillamente per anni a Berlino, mantenere i contatti con la madre patria e scalare le gerarchie militari dell’intelligence sovietica.

 

Nei primi anni Sessanta Anatoliy Golitsyn (1926-2008) uno dei più importanti disertori russi in suolo americano confidò a James Jesus Angleton (1917-1987) il potentissimo capo del controspionaggio americano che nelle precedenti decadi aveva sentito parlare di un agente infiltrato ad altissimi livelli a Washington. Le uniche cose che ricordava erano il nome in codice Sasha e il fatto che avesse un cognome polacco che iniziasse con la K e terminasse con ski. Angleton, dal dopo guerra in avanti, tormentato come fu dalle sue paranoie antisovietiche per tutta la sua carriera, si chiuse in stanza con il disertore per oltre tre mesi, controllando l’intero archivio della CIA.

 

Vennero formulate diverse ipotesi su chi potesse essere il fantomatico Sasha. Vennero colpiti in molti e non tutti i sospettati ritornarono a lavorare per la CIA. Infine nel 1964 arrivarono a identificare Orlov come Aleksandr Kopatskyi. Sasha infatti dopo aver ricevuto nel 1958 un addestramento negli Stati Uniti ed essere stato palleggiato un altra volta dalla Germania all’America venne fatto atterrare con tutta la famiglia definitivamente negli States. Gli venne offerto un risarcimento per l’importante cifra per l’epoca di 2500 dollari per ogni anno passato nella CIA.

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Sasha, venendo rimbalzato da ogni richiesta di nuovo incarico nell’intelligence americana, non volle darsi per vinto e rifiutò il premio alla carriera, accettando un lavoro da conducente del camion dei giornali per 60 dollari alla settimana. In qualche anno di grandi sacrifici assieme alla moglie Eleanor, riuscirono ad aprire un negozio di cornici e a crescere i loro due figli in America.

 

Nonostante le pressioni di Angleton, le accuse di Golitsyn, non riuscirono mai a trovare la smoking gun che Orlov/Kopatskyi/Navratilov fosse Sasha. Orlov, durante tutti gli anni del suo incarico, sempre in contatto con la madre patria, chiedeva notizie sulla madre e provava a capire se potesse un giorno arrivare il momento del ritorno a casa. Quel momento, per via anche della sua abilità come spia, non arrivò mai, ma venne sempre rimandato in nome di un bene più grande.

 

Nonostante la sua morte nel 1982 per cancro, l’FBI continuò a mettere pressione alla sua famiglia. Lo si può leggere in un articolo pubblicato nel 1989 dal Washington Post sempre di Joseph Trento con sua moglie Susan.

 

Un altro supposto disertore, Yurchenko, proprio come Golitsyn e Kitty Hawk, ebbe a modo di spendere molte energie su Orlov e tra le varie anche che avesse reclutato i suoi figli perché continuassero la tradizione «Sasha» di famiglia. George Orlov, si vedeva pedinato nelle sue corse pomeridiane a Princeton mentre seguiva i corsi di fisica nucleare. Eleanor dovette sottoporsi a diverse prove della macchina della verità, passandole tutte, e pregando che l’ultima fosse davvero l’ultima.

 

Marco Dolcetta Capuzzo

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Le origini della CIA e la nascita delle operazioni coperte

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Nel suo saggio storico Disciples lo scrittore e giornalista Douglas Waller racconta come Richard Helms (1913-2002), agente segreto e futuro direttore della CIA, spiegasse come la lega dei gentleman – come William J. «Wild Bill» Donovan (1883-1959) amava chiamarla – conteneva vari disadattati sociali e diversi annoiati uomini d’affari di Wall Street in cerca d’azione.   Secondo Helms probabilmente il servizio segreto americano OSS aveva avuto un minimo effetto sulla guerra, si sarebbe potuta vincere anche senza di esso ma nonostante questo Donovan aveva dato prova di essere un leader e un visionario. Il generale aveva avuto il merito di far conoscere il Pentagono e gli americani nel difficile mondo della guerra non convenzionale.   Con la fine della seconda guerra mondiale, il presidente Harry S. Truman (1884-1972) sciolse l’OSS. La battaglia per la gestione dell’Intelligence nel mondo tra Donovan e J. Edgar Hoover (1895-1972) si risolse in un pareggio a reti inviolate. Ne trasse vantaggio Allen W. Dulles (1893-1969) che inizialmente formò la parte più clandestina con l’aiuto di Frank Wisner (1909-1965) ed infine ne prese formale controllo diventandone direttore.

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Allen Dulles, assieme anche a suo fratello John Foster Dulles (1888-1959) che ricoprì parallelamente l’incarico di segretario di Stato con Dwight D. Eisenhower (1890-1966), concorse a determinare quasi due decenni di politica estera americana. La sua esperienza come spia però venne plasmata agli ordini di Donovan a capo dell’ufficio svizzero e come molti altri colleghi ebbe un rapporto difficile con Wild Bill nonostante la stima reciproca.    Un editorialista scrisse che Donovan aveva avuto una vita da cavaliere medievale, o forse quello che più poteva avvicinarsi per il mondo americano a quell’ideale romantico di stampo prettamente europeo. Scappato dalla povertà della comunità irlandese di Buffalo, visse gli anni del college come quarterback della squadra di football, si laureò alla Columbia in classe con Franklin Roosevelt (1882-1945), venne insignito della medaglia al valor militare per eroismo durante la Grande guerra e divenne miliardario come avvocato di Wall Street.   All’alba della seconda guerra mondiale Roosevelt gli diede l’incarico di formare i servizi segreti americani, quello che poi venne chiamato OSS. Sotto il suo comando assemblò una macchina da più di 10 mila spie, organizzazioni paramilitari, propagandisti e analisti che combatterono l’Asse ovunque nel mondo.   Donovan considerava Dulles, nell’immediato dopoguerra, la sua migliore spia. Ma allo stesso modo aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di poter gestire meglio l’OSS di quanto non stesse facendo lui, e non a torto. Inoltre Donovan aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di volergli prendere il posto prima o poi, e anche qui non a torto.    Allo stesso modo di Donovan, Dulles, era convinto che il fine giustificasse i mezzi ed era necessario violare le rigide strutture etiche della società per una giusta causa. Dulles reclutò le menti più brillanti, più idealiste, più avventurose d’America e le spedì in giro per il mondo a combattere il comunismo come Donovan aveva fatto per il nazismo qualche anno prima. Li accomunava lo stesso trasporto per le spericolate missioni clandestine e la stessa insofferenza per quelle che non reputavano interessanti. Nonostante non l’avrebbe mai ammesso, l’esperienza nell’OSS durante la guerra l’aveva formato per la vita.    Successivamente alla resa tedesca, Donovan mandò Dulles a Wiesbaden con l’ordine di gestire Germania, Svizzera, Austria e Cecoslovacchia. L’americano stabilì la sede centrale nella fabbrica della Henkell Trocken Champagne a Wiesbaden che, nonostante bombardata, oltre a mantenere attiva la produzione, aveva ancora le cantine sufficientemente gremite di spumante.    Dulles in Wiesbaden portò vari agenti dei servizi e organizzò un sistema di raccolta informazioni e di reclutamento di nuovi agenti esteri a tempo pieno. L’idea dell’americano era quella di mantenere l’intelligence in vita sotto al suo comando. Per questo si circondò di analisti come Arthur M. Schlesinger Jr. (1917-2007) all’epoca agente dell’OSS, vari agenti del controspionaggio e in più tutta una serie di ufficiali esperti in medicina, comunicazioni e amministrazione. Helms e Ides Van der Gracht gestivano la sezione spionaggio, dopo il rifiuto al ruolo di capo dell’intelligence di William J. Casey (1913-1987) la posizione venne affidata a Frank Wisner (1909-1965).    La conferenza di Potsdam nell’estate del 1945 sancì l’inizio della guerra fredda. La paranoia di Stalin sulla rinascita della Germania e delle elezioni libere nei Paesi dell’Est Europa andava di pari passo con la sua profonda sfiducia verso le mosse americane. Gli States non avrebbero potuto capire quel momento senza mantenere una presenza fissa in Europa. Berlino divenne il centro di gravità permanente dell’intelligence del dopoguerra e così da Wiesbaden l’ufficio venne traslocato nella capitale tedesca. 

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Spiare i Russi divenne la priorità per tutta l’agenzia di Dulles a Berlino. Ma venne il giorno in cui Truman avvisò che sarebbe stata creata una nuova agenzia e che l’OSS sarebbe stata soppressa. I fondi a Berlino vennero tagliati e il morale allo stesso modo calò in maniera direttamente proporzionale al passare del tempo finché Dulles per primo non rassegnò le dimissioni e ritornò in America.   Allen Dulles ritornato alla sua carriera da avvocato non riuscì ad abbandonare l’entusiasmo per gli affari internazionali. Crebbe la sua vicinanza con Truman che gli offrì un ruolo da ambasciatore ma venne convinto dal fratello Foster a non accettare seguendo in questo modo la sua aspirazione maggiore. In seguito a un rapporto che scrisse per Truman dove delineò i problemi che stava avendo la CIA nella sua breve nuova vita, gli venne richiesto, in risposta, di gestire le operazioni clandestine.   Il passaggio successivo, dopo un breve periodo, divenne quello di ottenere il ruolo di vice direttore della CIA sotto il generale Walter Bedell Smith (1895-1961). La disciplina marziale richiesta ai suoi subordinati non si accostava al giovane Dulles con il quale nacquero diverse incomprensioni. Nel momento in cui Dwight Eisenhower divenne presidente, nominò sottosegretario il generale Bedell Smith sotto John Foster Dulles che divenne il nuovo segretario di stato.   La potenza di fuoco di John Foster consegnò in mano al fratello il ruolo tanto agognato di direttore della CIA. Bedell Smith, si oppose alla nomina di Dulles considerando la sua passione per le operazioni coperte nociva per l’agenzia e l’intera politica estera americana. Donovan, che si era speso moltissimo con «Ike» Eisenhower per ottenere la carica, allo stesso modo predisse che il suo sottoposto al tempo dell’OSS avrebbe mandato tutto all’aria.   Nonostante le gufate dei suoi ex colleghi, Allen assieme al fratello condussero per un’intera decade la politica estera americana fino all’ascesa politica di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza e al disastro della Baia dei Porci del 1962.    Marco Dolcetta Capuzzo  

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