Economia
La Germania ha scampato di poco un blackout del gas

Senza che nessun media mainstream ne abbia fatto menzione, lo scorso mese si è verificato un incidente che avrebbe potuto causare un blackout del gas in Germania, se il governo tedesco non fosse intervenuto con una somma di centinaia di milioni per garantire la fornitura di gas.
L’incidente, riportato in un articolo del 9 gennaio sul sito web della rete di esperti di energia non verde dell’Istituto Europeo per il Clima e l’Energia (EIKE), fa luce sulla situazione sempre più drammatica nel settore energetico tedesco.
La città di Berlino ha subito un blackout nel fine settimana dell’8-9 gennaio, in cui 90.000 utenti hanno perso l’elettricità.
A dicembre, il ministero dell’Economia tedesco ha incaricato la Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) di trasferire una somma di un centinaia di milioni a Trading Hub Europe GmbH (THE) al fine di garantire la fornitura di gas della Germania.
La società commerciale non sarebbe stata altrimenti in grado di pagare il gas necessario per mantenere i gasdotti sotto pressione a dicembre.
THE GmbH è l’organismo centrale responsabile del mercato del gas in Germania. THE presidia il sistema elettrico ad alta pressione di 40.000 km che trasporta il gas naturale ai consumatori in Germania e ne organizza l’espansione e, soprattutto, l’approvvigionamento.
Dal 1 giugno dello scorso anno THE controlla l’intero mercato tedesco del gas ed è responsabile dell’acquisto e del trasporto del gas.
Fino ad allora il mercato del gas era stato diviso tra due «market area manager».
L’incidente mette in luce anche la situazione precaria dell’approvvigionamento energetico creata in più di 20 paesi dal processo di liberalizzazione e deregolamentazione decretato dalla Commissione UE. Prima erano le utilities a produrre e trasportare il gas; questo è stato sostituito da un modello che separa le due attività, e inoltre ha creato un mercato speculativo di società commerciali che non erano nemmeno responsabili del trasporto e della garanzia degli approvvigionamenti, né erano proprietarie di alcun gas naturale reale.
«Questo sistema folle che il presidente russo Putin ha recentemente esposto per quello che è, rende possibile che le riserve di gas che un Paese dell’UE non siano utilizzate per rifornire i propri cittadini in questa crisi del gas, ma siano vendute a commercianti in un altro Paese dove si può ottenere un profitto maggiore: ad esempio, il gas tedesco viene venduto alla Svezia o alla Polonia in questi giorni» scrive EIR.
Come riportato da Renovatio 21, la Germania da tempo sta preparando la sua popolazione alla possibilità di blackout, con tanto di spot video sul tema realizzato dal Bundesamt für Bevölkerungsschutz und Katastrophenhilfe (BBK), l’ufficio federale tedesco della protezione civile e dell’assistenza in caso di catastrofi.
Anche altri Paesi come l’Austria e la Romania hanno dato comunicazioni pubbliche di questo tipo.
In Italia, a parlare di possibile blackout è stato il ministro per lo sviluppo economico Giorgetti.
Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese è emerso che in Germania non vi è stato abbastanza vento per far funzionare le pale eoliche, con conseguente aumento dell’uso del carbone.
Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Economia
Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

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Cina
Trump: gli USA imporranno dazi del 100% alla Cina

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che, a partire dal 1° novembre 2025, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 100% sui prodotti cinesi, in reazione a quelle che ha definito restrizioni commerciali «straordinariamente aggressive» introdotte da Pechino.
Giovedì, la Cina ha reso noti nuovi controlli sulle esportazioni di minerali strategici con applicazioni militari, giustificando la misura come necessaria per tutelare la sicurezza nazionale e adempiere agli obblighi internazionali, inclusi quelli legati alla non proliferazione.
In un messaggio pubblicato venerdì su Truth Social, Trump ha accusato la Cina di aver assunto «una posizione estremamente ostile in materia di commercio», annunciando l’intenzione di imporre «controlli su larga scala sulle esportazioni di quasi tutti i prodotti che producono, inclusi alcuni non realizzati da loro», secondo una comunicazione inviata a livello globale. Tali misure, ha sottolineato il presidente, avrebbero impatto su tutti i paesi «senza eccezioni».
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«In risposta a questa posizione senza precedenti della Cina, gli Stati Uniti imporranno un dazio del 100% sui prodotti cinesi, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente in vigore», ha scritto Trump, specificando che, dalla stessa data, saranno introdotti controlli sulle esportazioni di «qualsiasi software critico».
Ad agosto, Stati Uniti e Cina avevano concordato una tregua tariffaria di 90 giorni, che ha ridotto i dazi americani sui prodotti cinesi dal 145% al 30% e quelli cinesi sui prodotti americani dal 125% al 10%. Questa tregua scadrà a novembre. Trump ha definito la mossa di Pechino «assolutamente inaudita nel commercio internazionale» e «una vergogna morale nei rapporti con altre nazioni», precisando di parlare esclusivamente a nome degli Stati Uniti, non di altre nazioni similmente minacciate.
L’annuncio ha provocato un forte impatto sui mercati globali, con un crollo delle borse statunitensi nella giornata di venerdì. Come visibile nella finance card sopra, l’indice S&P 500 ha registrato un calo del 2,7%, segnando la peggiore perdita giornaliera da aprile, mentre il Dow Jones Industrial Average è sceso di circa 900 punti, pari all’1,9%.
Il NASDAQ, fortemente legato al settore tecnologico, ha subito un ribasso del 3,6%, con gli investitori che hanno venduto titoli ad alta crescita, particolarmente vulnerabili alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento cinesi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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