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La decadenza della teologia morale per Joseph Ratzinger, in occasione delle accuse

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In questi giorni lo studio legale Westpfahl Spilker Wastl ha pubblicato un rapporto sugli abusi sui minori nella diocesi di Monaco-Frisinga tra il 1945 e il 2019. In questo rapporto Ratzinger, che fu arcivescovo di Monaco dal 1977 al 1981, è accusato di negligenza in quattro precisi casi. Dettagli e prove di quanto affermato non sono stati resi noti al pubblico, ma l’ex-papa ha rigettato ogni accusa in una dichiarazione scritta.

 

Non sta certo a noi accusare o difendere il vescovo Ratzinger, consci tuttavia della difficoltà di dare per scontata la totale attendibilità di questo tipo di «rapporti» e il loro tempismo. Nemmeno pensiamo che l’allora arcivescovo di Monaco abbia voluto essere complice di questi gravissimi mali, né possiamo giudicare la portata o la gravità della «negligenza» di cui viene accusato. 

 

La lettera di Ratzinger del 2019: la denuncia della decadenza teologica post-conciliare

Il nostro commento qui vuole riprendere quanto il teologo bavarese affermò nella sua nota lettera dell’aprile 2019, dove cercava di esaminare le cause della decadenza morale del clero in questi ultimi decenni. Furono molti a lodare la denuncia della mondanizzazione del pensiero ecclesiastico avvenuta nel post-concilio, nella temperie sessantottina, per cui tutto diventava lecito.

 

Il clima di libertà sessuale, dice l’ex-papa nella sua lettera di allora, aveva fatto particolare danno tra le file del clero in quel periodo proprio perché era al tempo stesso stato rigettato il vecchio impianto della teologia morale, ma non si era ancora capito come sostituirlo.

 

Egli parla dei vari tentativi di sostituire il concetto di «diritto naturale» con una morale unicamente biblica o con altri sistemi, finiti nel nulla. Per fortuna però, a detta di Ratzinger, staremmo uscendo da questa nebbia teologica grazie alla nuova teologia morale elaborata sotto Giovanni Paolo II e agli interventi di Papa Francesco (sic)

Egli parla dei vari tentativi di sostituire il concetto di «diritto naturale» con una morale unicamente biblica o con altri sistemi, finiti nel nulla. Per fortuna però, a detta di Ratzinger, staremmo uscendo da questa nebbia teologica grazie alla nuova teologia morale elaborata sotto Giovanni Paolo II e agli interventi di Papa Francesco (sic). Vedremo tra poco che pensarne.

 

Fin qui, il vecchio teologo bavarese pone il problema in termini corretti, e sicuramente la sua analisi è una testimonianza «interna» della situazione ecclesiale del post-concilio estremamente autorevole. Il fronte conservatore e perfino quello tradizionalista possono trovarsi confermati nel loro pensiero da questi elementi di prima mano.

 

La decadenza della teologia ha sicuramente contribuito (pur non essendo l’unico fattore) alla crisi degli abusi.

 

 

Una nuova concezione morale sostituisce quella tradizionale

Il problema però viene nel seguito dell’analisi e nei rimedi che il vescovo-che-fu-Papa ritiene siano stati trovati per rimettere la morale in piedi.

 

La prima cosa che colpisce nel leggere l’analisi è quanto l’autore sembri estraneo agli eventi che racconta: eppure, parlando di crisi dottrinale, Ratzinger dovrebbe ricordare di essere stato per quasi tre decenni Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e successivamente Papa per otto anni.

 

La tesi fondamentale dell’emerito si può riassumere così: prima del Concilio c’era una morale di tipo giusnaturalista (sic), che si è voluto rifondare secondo le esigenze della mentalità e filosofia contemporanea. Ne è seguito un periodo di caos, con diversi tentativi abortiti (come quello di rifondare la morale unicamente sulla Santa Scrittura)

Ma le cose sorprendenti che emergono dal testo sono ben altre. La tesi fondamentale dell’emerito si può riassumere così: prima del Concilio c’era una morale di tipo giusnaturalista (sic), che si è voluto rifondare secondo le esigenze della mentalità e filosofia contemporanea. Ne è seguito un periodo di caos, con diversi tentativi abortiti (come quello di rifondare la morale unicamente sulla Santa Scrittura).
 

Finalmente, Giovanni Paolo II ha rifondato la morale cattolica in una prospettiva nuova con l’enciclica Veritatis splendor. Quale sia questa nuova prospettiva, Ratzinger lo aveva già detto nel libro-intervista con Seewald dal titolo menzognero Ultime conversazioni: si tratta del personalismo, che ha superato quella che già allora Ratzinger chiamava la visione «giusnaturalista» precedente, che era ancora presente (secondo lui) in Humanae vitae.

 

Tralasciamo il fatto che Ratzinger qualifichi la morale cattolica tradizionale di «giusnaturalismo», quasi riducendola a una scuola fra le altre, e pure tralasciamo di discutere quanto un tale termine sia appropriato.

 

Le affermazioni di Ratzinger fanno capire quel principio chiave del suo modernismo, per cui la rivelazione deve (ri)prendere forma a seconda del destinatario, in questo caso l’uomo moderno con le sue filosofie, pena il non essere più adeguata. 

Le affermazioni di Ratzinger fanno capire quel principio chiave del suo modernismo, per cui la rivelazione deve (ri)prendere forma a seconda del destinatario, in questo caso l’uomo moderno con le sue filosofie, pena il non essere più adeguata

Sulle implicazioni e conseguenze di questo «personalismo», abbiamo spesso avuto occasione di scrivere; ci basti vedere qui quale formidabile assist Ratzinger dà a Francesco, dicendogli che Humanae vitae non è ancora aggiornata al nuovo sistema. 

 

L’autorità morale della Chiesa messa in discussione da Ratzinger

Ratzinger poi ci spiega che in quella gravissima crisi della teologia morale del post-concilio qualcuno arrivò a dire che la Chiesa non aveva autorità magisteriale infallibile sulle questioni di costumi ma solo su quelle di fede. Come dire che la Chiesa non avrebbe autorità nel definire quali sono i comportamenti corretti.

 

Forse che il nostro custode della fede si senta di condannare una tale aberrante visione, direttamente contraria al Vaticano I? No. Ratzinger dice semplicemente che «in questa tesi c’è senz’altro qualcosa di giusto che merita di essere ulteriormente discusso e approfondito». Non è perfetta, certo, ma c’è qualcosa di giusto: infatti per Ratzinger si deve dire che «c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta». Un minimum.

Il minimum di Ratzinger getta un’oscura luce sulla famosa espressione «valori non negoziabili», tanto cara ai conservatori in morale: vorrebbe sostanzialmente dire che a parte quel minimum, tutto il resto è negoziabile

 

Se la Chiesa può definire infallibilmente solo un minimum di morale, questo comporta che ci sono azioni umane non connesse con il fine eterno; o che ci sono situazioni in cui i princìpi non bastano, e ciascuno deve valutare secondo la propria coscienza, il che ci porta esattamente alla teologia di Papa Bergoglio in Amoris laetitia; o comunque che la morale è evolutiva, e che tranne un minimum il resto può sempre essere ridiscusso.
 

Il minimum di Ratzinger getta un’oscura luce sulla famosa espressione «valori non negoziabili», tanto cara ai conservatori in morale: vorrebbe sostanzialmente dire che a parte quel minimum, tutto il resto è negoziabile.

 

E il minimum, a quanto pare, si stabilisce volta per volta.

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news

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In corso la beatificazione del missionario che fondò i cistercensi in Vietnam

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Chiusa a Roma la fase diocesana del processo di beatificazione del sacerdote francese che nella diocesi di Hue diede vita nel 1918 al monastero di Nostra Signora di Phuoc Son. Un’esperienza che oggi conta centinaia di monaci in Vietnam.

 

«Un momento di festa per tutta la Chiesa», a Roma come in Vietnam. Così oggi nel Palazzo Lateranense il vicegerente della diocesi di Roma, mons. Baldassare Reina, ha definito la sessione di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione di padre Benoit Thuan, al secolo Henri François Denis (1880-1933), missionario francese in Vietnam dal 1903 e fondatore nel 1918 della prima comunità monastica maschile del Paese, il monastero di Nostra Signora di Annam a Phuoc Son, nell’arcidiocesi di Hue.

 

Come prevedono le procedure canoniche gli atti dell’inchiesta sulla santità di questo servo di Dio tuttora veneratissimo in Vietnam sono stati sigillati per essere trasmessi al dicastero per le Cause dei santi, in una cerimonia a cui erano presenti anche dom Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine cistercense, e dom Giovanni XXIII, l’abate presidente della Congregazione cistercense della Sacra Famiglia, il ramo fondato in Vietnam da padre Benoit Thuan.

 

Nativo di Boulogne-sur-Mere, in Francia, padre Henri François Denis fu ordinato sacerdote per le Mission Etrangeres de Paris il 7 marzo 1903. Partito pochi mesi dopo per il Vietnam fu destinato alla missione di Hue, dove assunse il nome «Thuan», che in vietnamita significa obbedienza. Si nella cultura locale ponendosi davanti alle persone che incontrava non con uno stile di superiorità ma di servizio. Finché in questo suo apostolato missionario avvertì forte però la chiamata a testimoniare il Vangelo con uno stile monastico. Così nel 1918 – in accordo con il suo vescovo e ottenuta il permesso da Propaganda Fide – diede vita in estrema povertà e inizialmente con un solo compagno al monastero di Nostra Signora di Annam.

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«Al tempo – ha ricordato mons. Reina – in Vietnam vi erano solo i due monasteri femminili che il Carmelo di Lisieux aveva fondato a Saigon e Hanoi. Ed è significativa una lettera che il 2 dicembre 1922, madre Agnese di Gesù – la sorella di santa Teresa di Lisieux che appena l’anno prima era stata dichiarata venerabile dalla Chiesa – scrisse a padre Benoit, ricordando il desiderio della grande carmelitana di partire per il Vietnam e indicandola come l’”angelo custode” di quella nuova comunità monastica maschile».

 

I monaci iniziarono subito a coltivare il riso come i contadini poveri del Vietnam. E nonostante la durezza di quella vita (uno dei primi novizi morì sbranato da una tigre), quell’ideale attrasse subito decine di giovani. Ed è un seme che – nonostante la storia estremamente dolora vissuta dal Vietnam nel Novecento – continua a fiorire ancora oggi, con centinaia di monaci in cinque comunità cistercensi in diverse zone del Paese.

 

Padre Benoit Thuan morì il 25 luglio 1933. Due anni dopo il suo grande desiderio di vedere accogliere la sua comunità religiosa nella famiglia cistercense sarebbe stato accolto.

 

A quasi un secolo di distanza l’abate Lepori ha sottolineato nella cerimonia di oggi la forza tuttora «profetica di questo missionario fattosi monaco per andare al fondo della sua missione». «Padre Benoit – ha aggiunto – aveva capito che non basta portare l’annuncio di Cristo redentore fino ai confini geografici della terra; è necessario spingerlo fino agli estremi confini dei cuori. Là dove ogni uomo giace abbandonato in una vita senza senso se non incontra Gesù Cristo».

 

«Per promuovere un rinnovamento monastico e missionario nella Chiesa – ha concluso – più che di parole abbiamo bisogno di queste figure che hanno saputo affrontare il bisogno di Cristo del loro tempo con fedeltà creatrice».

 

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La storia epica della cristianità in Giappone: una mostra

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Dal 15 marzo al 13 luglio 2024, le Missioni Estere di Parigi (MEP) organizzano una mostra dal titolo: «Da Samurai a Manga: l’epica cristiana in Giappone». Un’occasione per scoprire questo capitolo delle missioni cattoliche e per conoscere meglio le Missioni Estere di Parigi. Questo articolo riassume la presentazione fatta sul suo sito web.   La storia dell’evangelizzazione del Giappone presenta inizialmente due aspetti: a volte una rapida espansione, a volte una serie di battute d’arresto e disastri sfociati in tragedie.  

Il «secolo cristiano»

San Francesco Saverio sbarcò in Giappone a Kagoshima (Satsuma) nel 1549, durante i primi tentativi di unificazione del Paese. L’espansione del cattolicesimo fu notevole e portò alla conversione di numerosi governatori (daimyo). Grazie al permesso di evangelizzare, i missionari gesuiti aumentarono gradualmente il numero dei battezzati.   Il gesuita Alessandro Valignano arrivò nel 1579 come visitatore delle missioni. Nel 1582 organizza la prima ambasciata in Europa, che incontra papa Gregorio XIII nel 1585. Ma una prima messa al bando del cristianesimo fu imposta dallo shogun Toyotomi Hideyoshi nel 1587 con l’esilio dei missionari. Il 5 febbraio 1597 furono crocifissi a Nagasaki 26 martiri.

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Segretezza

A partire dal 1614 gli shogun cercarono di eliminare il cattolicesimo: a partire da questa data ogni famiglia doveva essere registrata presso un tempio buddista. Poi, a partire dal 1619, nelle città e nei villaggi di tutto il Paese furono affissi cartelli che ricordavano la messa al bando del cristianesimo, offrendo cospicue ricompense per la denuncia dei cristiani.   Scene di martirio furono testimoniate a Kyoto nel 1619, a Nagasaki nel 1622 e a Edo (Tokyo) nel 1623. La tortura sistematica apparve intorno al 1630 per promuovere l’apostasia. Fu in questo contesto che nel 1613 il daimyo di Sendai inviò un’ambasciata presso il viceré del Messico per ottenere l’apertura di una via commerciale transpacifica. In cambio, la religione cristiana sarebbe tollerata.   L’ambasciata fu affidata al samurai Hasekura Tsunenaga, accompagnato dal francescano spagnolo Luis Sotelo. Il viceré inviò messaggeri al re di Spagna, Filippo III. Il re inviò infine gli ambasciatori a papa Paolo V, che li ricevette nel novembre 1615. Ma Paolo V restituì la decisione finale al monarca spagnolo, che rifiutò di rivedere gli inviati del daimyo di Sendai.   Il fallimento dell’ambasciata provocò la messa al bando del cristianesimo e la caccia ai cristiani. Riuscito a tornare segretamente in Giappone, Luis Sotelo fu bruciato vivo a Tokyo nel 1623. Iniziava il periodo delle grandi persecuzioni. La popolazione cristiana, stimata in 650.000 persone, fu decimata. Furono inflitte terribili torture.   La ribellione di Shimabara (1637-1638), organizzata dai contadini cristiani sotto lo shogunato Tokugawa, fu repressa ferocemente, con l’appoggio della marina olandese, che sparò con i suoi cannoni sul castello di Hara, dove si erano rifugiati i ribelli, per sostenere la rivolta. truppe lealiste. Il massacro di 30.000 cristiani durò tre giorni.

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Il cristianesimo emerge dall’ombra

Nel XIX secolo la Francia voleva recuperare il tempo perduto nella corsa per l’Asia. La Santa Sede non aveva rinunciato a rifondare una missione in Giappone. Infine, le Missioni Estere di Parigi aspiravano a riconquistare il prestigioso campo missionario del Giappone. Il primo trattato franco-giapponese fu firmato nel 1858, ma la presenza dei ministri religiosi era consentita solo agli occidentali; il cristianesimo rimase proibito ai giapponesi. I missionari si stabilirono in concessioni riservate agli stranieri a Hakodate, Kanagawa e Nagasaki.   Il 17 marzo 1865 un gruppo di giapponesi si presentò come cristiano a padre Bernard Petitjean (1829-1884) delle Missioni Estere di Parigi, che si erano stabilite a Nagasaki e vi avevano costruito una chiesa, consacrata nel 1865. I missionari scoprirono organizzazione, riti ed elementi dottrinali trasmessi segretamente per 250 anni, senza sacerdoti e con pochissimi scritti. Ma la persecuzione, con arresti ed esecuzioni, era ancora in corso, soprattutto nel 1856 a Urakami, vicino a Nagasaki.   La persecuzione più lunga e più dura ebbe luogo tra il 1867 e il 1873, anni che videro il crollo del regime Tokugawa e la restaurazione del regime imperiale. Il regime instauratosi con il periodo Meiji (1868) portò avanti un’opera trasformativa: la modernizzazione delle strutture politiche ed economiche. Ma nei confronti dei cristiani è stata adottata una linea dura.   Fu promossa una teocrazia imperiale fondata sullo shintoismo. I leader erano a disagio riguardo alle vere intenzioni degli occidentali e il sentimento anticristiano era al suo culmine. La nomina di padre Petitjean come vescovo nel 1866 scatenò la persecuzione: nel 1868 si decise di deportare i cristiani di Urakami in 60 diversi feudi in tutto il Giappone.   Nel 1872 iniziò una distensione: la politica anticristiana fu finalmente sepolta. I cartelli che vietavano il cristianesimo, in vigore dal XVII secolo, furono rimossi nel febbraio 1873. I cristiani di Urakami poterono tornare a casa e fu loro concessa la libertà religiosa.  

Libertà sotto sorveglianza

Le missioni itineranti venivano organizzate grazie ad una certa libertà di movimento. Il passaporto interno, limitando la permanenza nello stesso luogo a tre giorni, spingeva i missionari a percorrere vaste regioni. Dal punto di vista politico, emerse uno Stato shintoista, nazionalista e guidato dall’imperatore: prese le distanze dal buddismo e rimase diffidente nei confronti del cristianesimo o addirittura ostile ad esso.   La prima Costituzione del Giappone, nel 1889, concedeva la libertà religiosa, anche se molto limitata. Alla fine era solo ciò che il governo aveva effettivamente consentito dal 1873. Ciò consentiva la creazione di diocesi e l’istituzione della Chiesa al di fuori delle enclavi in ​​cui era stata relegata. Le Missioni Estere di Parigi chiesero quindi alle suore di prendersi cura di orfanotrofi, scuole e dispensari.

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Altre congregazioni si ristabilirono sul suolo giapponese: domenicani, francescani e gesuiti, che erano stati espulsi due secoli e mezzo prima. Ma con il Rescritto Imperiale del 30 ottobre 1890 la fedeltà all’Imperatore divenne fondamentale. Si riteneva che ciò presentasse l’urgente necessità di formare un clero autoctono nel caso in cui i missionari fossero stati nuovamente scacciati.   L’aumento della potenza militare dell’arcipelago – le vittorie contro Cina, Taiwan e Russia, l’annessione della Corea, l’invasione della Manciuria – spinsero il regime verso l’esercito. La Chiesa si adattò al Giappone e si raggiunse un accordo sulla questione dei riti dovuti all’Imperatore. Con la seconda guerra mondiale la situazione degli stranieri all’interno della Chiesa in Giappone divenne sempre più difficile.   Dopo la sconfitta, la Costituzione del 1946, ancora in vigore, consentiva la totale libertà del cattolicesimo.  

La Chiesa in Giappone dal 1945 ad oggi

Secondo le statistiche del 2023, i cattolici sono 431.100, tra cui 6.200 seminaristi, sacerdoti e religiosi, che costituiscono lo 0,34% della popolazione giapponese. Ma questo numero tiene conto solo dei cattolici «registrati», un sistema ereditato dal tempo della persecuzione. Tra i migranti – soprattutto persone provenienti dall’America Latina, dalle Filippine e dal Vietnam – la popolazione cattolica è stimata all’1%.   Tuttavia, la Chiesa ha molte istituzioni – ospedali, scuole, centri assistenziali e persino università – che danno al cattolicesimo una presenza significativa nella società giapponese.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.  

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«Scie di uomini malvagi e spietati avvelenano l’aria che respiriamo». Omelia di mons. Viganò nell’Ascensione del Signore

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò del 9 maggio 2024, Ascensione di Nostro Signore.

 

 

 

Et inimici domini domestici ejus.
E i famigliari del padrone saranno i suoi nemici.

Mt 10, 36

 

Troppo spesso guardiamo a questo mondo con l’atteggiamento e le speranze di chi lo ritiene un luogo di permanenza e non di passaggio verso la meta celeste, mentre sappiamo che il nostro pellegrinaggio su questa terra ha come destinazione ineluttabile l’eternità: un’eternità di beatitudine nella gloria del Paradiso o un’eternità di dannazione nella disperazione delle fiamme dell’Inferno.

 

E per questa nostra inclinazione al voler credere in un illusorio Hic manebimus optime consideriamo l’Ascensione di Nostro Signore quasi come un fatto anomalo, un abbandono da parte del Salvatore che ci lascia soli dopo nemmeno quaranta giorni dalla Sua Resurrezione.

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La fiamma del Cero pasquale che al canto del Vangelo viene spenta – a significare proprio il ritorno del Figlio Incarnato alla destra del Padre – ci sembra per così dire in contraddizione con quanto pochi giorni fa, per le Rogazioni, chiedevamo alla Maestà divina: di concedere, conservare e benedire i frutti della terra, di risparmiarci dal flagello del terremoto, di allontanare la folgore e la tempesta, la peste, la carestia, la guerra.

 

È difficile – dobbiamo riconoscerlo – riuscire ad essere di passaggio in un luogo che vorremmo felice e prospero, fertile e generoso, sereno e privo di conflitti. Ancor più difficile quando alzando gli occhi al cielo spesso lo vediamo solcato di scie con cui uomini malvagi e spietati avvelenano l’aria che respiriamo, inquinano i campi e le fonti, fanno marcire o seccare i raccolti, giungono addirittura ad offuscare la luce del sole.

 

L’inimicus homo non sparge solo la zizzania dove cresce il grano: egli vuole che la zizzania sia seminata e coltivata, e che sia il grano ad essere estirpato e gettato nel fuoco; che il vizio trionfi e la virtù sia calpestata; che la morte e la malattia siano celebrate, e la vita – anche nel sacrario del ventre materno o nell’innocenza dei bambini e dei deboli – sia colpita, sfregiata, amputata, manomessa.

 

Noi rimaniamo increduli e sconvolti dinnanzi a questo sovvertimento, perché non vogliamo accettare l’idea che alla natura ostile dopo la nostra caduta si sia ora aggiunta l’insidia ulteriore dell’homo iniquus et dolosus, che quella natura manipola, replica, imita in grotteschi surrogati artificiali, in cibi transgenici, in imitazioni senz’anima della Creazione, per l’odio che Satana nutre nei confronti del Creatore di tanta perfezione gratuita.

 

Il Signore si alza da questa valle di lacrime, ascende al cielo in jubilatione et in voce tubæ, quasi le schiere angeliche fossero felici di veder tornare il Figlio di Dio nel luogo d’origine, in quella dimensione eterna e immutabile in cui la Santissima Trinità è l’unico principio e fine degli spiriti eletti. Ma vi ascende dopo esser anch’Egli disceso propter nos homines et propter nostram salutem, incarnandoSi nel seno virginale di Maria Santissima, assumendo natura e carne umana, affrontando la Passione e la Morte su quella Croce che Lo ha elevato quale Pontifex futurorum bonorum (Ebr 9, 11), Sommo Sacerdote dei beni futuri, a metà strada proprio tra la terra e il cielo, a creare un mistico ponte tra noi e Dio.

 

E quell’umanità assunta da Nostro Signore nell’Incarnazione viene portata come insegna di trionfo del Victor Rex al cospetto dell’Eterno Padre, ed è per questo che il Suo Corpo santissimo porta ancora splendenti le Piaghe della Redenzione.

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Questo deve farci comprendere due concetti estremamente importanti.

 

Il primo: il senso della nostra vita terrena, che è pellegrinaggio verso l’eternità, esilio che speriamo con la Grazia di Dio essere temporaneo, prima di tornare alla vera Patria. E con questa persuasione, dobbiamo anche capire che i beni di questa terra – le ricchezze, il successo, il potere, i piaceri – sono zavorra della quale è indispensabile liberarci se vogliamo essere capaci di ascendere verso l’alto, di librarci in volo come la biblica aquila vola verso il Sole divino.

 

Il secondo: la necessità di fare tesoro di questo esilio, di questo peregrinare nel deserto verso la terra promessa, usando i doni e facendo fruttare i talenti che il Signore ci ha donato non per rendere più confortevole e duratura la lontananza dal Cielo, ma per accumulare quei tesori spirituali che né tignola né ruggine consumano, e che i ladri non scassinano e non rubano (Mt 6, 20).

 

Ciò non significa disprezzare la vita che la Provvidenza ci ha dato, ma piuttosto usarla per lo scopo che essa ha: la gloria di Dio, da ottenere mediante la nostra e altrui santificazione nell’obbedienza alla Sua volontà: fiat voluntas tua – recitiamo nel Padre Nostro – sicut in cœlo et in terra, ossia nella prospettiva dell’eternità che ci attende, e nella temporalità del passare dei giorni.

 

Così, mentre l’armonia divina del cosmo scandisce i giorni e le stagioni in cui si dipanano gli anni della nostra vita terrena – e per questo invochiamo dal Cielo le benedizioni sui nostri raccolti – nell’ordine soprannaturale abbiamo i ritmi cadenzati della Liturgia, che ci permettono di contemplare i divini Misteri e di godere di uno sprazzo di quell’eternità nella quale l’Agnello Immacolato celebra la Liturgia celeste, circondato dalle schiere degli Angeli e dei Santi.

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Oggi la nostra anima è chiamata a guardare il Signore che ci precede in Paradiso. Domani, risorti nel corpo e condotti al Giudizio, Lo vedremo tornare nella gloria: Hic Jesus, qui assumptus est a vobis in cœlum, sic veniet quemadmodum vidistis eum ascendentem in cœlum (At 1, 11): Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo, dicono i due Angeli ai Discepoli.

 

E sarà un ritorno in cui il tempo, come lo conosciamo, cesserà di essere ed entrerà nell’eternità divina proprio perché il consummatum est pronunciato dal Salvatore agonizzante sulla Croce quel Venerdì Santo di 1991 anni orsono varrà anche per il mondo e per l’umanità intera, giunti al termine della prova, dell’esilio, del pellegrinaggio terreno.

 

Il Cero pasquale rappresenta, come ci istruisce il Diacono nel solenne canto dell’Exsultet, il lumen Christi, Cristo vera Luce: come la colonna di fuoco che precedeva gli Ebrei nell’attraversare – sicco vestigio – il Mar Rosso, così Egli precede anche noi nel nostro passaggio in questo mondo, e nella fuga dai malvagi che ci inseguono.

 

Preghiamo di essere trovati degni di giungere in salvo, per non essere travolti dalle acque come i soldati del Faraone.

 

Che in questo esodo la Santissima Eucaristia sia nostro Viatico, e la Vergine Immacolata nostra Stella.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

9 Maggio 2024
In Ascensione Domini

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Immagine: Benvenuto Tisi detto il Garofalo, Ascensione di Cristo (1510-1520), Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma. 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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