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La Corte di Tokyo stabilisce che in Giappone il divieto di nozze omofile è costituzionale
Un tribunale di Tokyo ha sentenziato che il divieto nipponico sul «matrimonio» omosessuale è conforme alla Carta fondamentale, in una pronuncia atipica che contrasta con una sequela recente di verdetti giudiziari nazionali. Lo riporta Japan Today
Preservare l’istituzione matrimoniale tradizionale favorisce l’educazione dei figli, ha argomentato il giudice Ayumi Higashi nella motivazione, rilevando altresì che «risulta logico intendere» il richiamo normativo a «marito e moglie» come unione tra un uomo e una donna.
Higashi ha stabilito che la tutela del matrimonio sancita dall’articolo 24 della Costituzione del Giappone non si estende alle unioni omosessuali. Tale articolo recita: «Il matrimonio si fonda unicamente sul consenso reciproco di entrambi i sessi».
A giudizio del quotidiano Mainichi Shinbun, il magistrato ha indicato che le norme sul «matrimonio» omosessuale meritano un dibattito parlamentare. Gli interessati preannunciano un appello contro il dispositivo, che approderà verosimilmente alla Corte suprema nel corso del prossimo anno.
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Al contrario, cinque pronunce recenti delle corti d’appello nazionali hanno giudicato incostituzionale la mancata parificazione giuridica del «matrimonio» omosessuale. Tali sentenze, nondimeno, hanno tutte rigettato le istanze di indennizzo, e le corti superiori giapponesi carenti di potestà abrogativa delle leggi vigenti, le rendono meramente simboliche.
Tra le 12 decisioni emesse finora da corti d’appello e di primo grado, un ulteriore collegio – il tribunale distrettuale di Osaka – ha sancito la legittimità costituzionale del divieto sul «matrimonio» omosessuale.
Come riportato da Renovatio 21, la neopremier giapponese Sanae Takaichi si oppone al cosiddetto «matrimonio» omosessuale, tuttavia il Paese parrebbe orientato all’approvazione delle nozze omofile in maggioranza la pratica deviante: un sondaggio Pew del 2023 attesta che circa il 70% dei giapponesi vi è favorevole, il tasso di consenso più elevato tra i Paesi asiatici esaminati.
Diverse municipalità e province del Giappone emettono «certificati di partnership» per le relazioni omosessuali. Ad esempio, il quartiere di Shibuya a Tokyo ha varato nel 2015 una norma che equipara gli omosessuali «a coppie coniugali per legge».
Il Giappone figura tra i pochi Stati sviluppati – unitamente ad esempi come Corea del Sud e Repubblica Ceca – che non hanno legalizzato il cosiddetto «matrimonio» omosessuale.
Come riportato da Renovatio 21, il tema dell’ascesa LGBT fu al centro di una notevole frizione tra l’ambasciatore USA a Tokyo nel 2023, l’ebreo obamiano Rahm Emanuel, e la Shinseiren («Associazione Nazionale per la Guida Spirituale»), cioè la maggiore sigla della religione scintoista, che già l’estate precedente aveva distribuito un opuscolo di 94 pagine a una grande riunione per i membri affiliati della Dieta giapponese, appoggiandosi per lo più del Partito Liberal Democratico al governo. Il testo includeva la trascrizione di una conferenza che descriveva l’omosessualità come «un disturbo mentale acquisito, una dipendenza» che poteva essere risolta con la «terapia riparativa».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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La Santa Sede si oppone allo scioglimento della Chiesa Ortodossa Ucraina
La Santa Sede ha appena preso una posizione netta contro qualsiasi divieto assoluto nei confronti della Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC), un organismo ortodosso storicamente legato – sebbene non più legalmente dal 2022 – al Patriarcato di Mosca. Questo è un modo per la diplomazia vaticana di mantenere una posizione stabile tra le due parti in conflitto al fine di pianificare il periodo postbellico.
Il 20 novembre 2025, il cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, non ha usato mezzi termini durante l’incontro con Viktor Yelensky, presidente del Servizio statale ucraino per l’etnopolitica e la libertà di coscienza: «Non è accettabile punire collettivamente intere organizzazioni religiose», ha avvertito l’alto prelato.
Questa dichiarazione giunge mentre a Kiev è in corso un processo amministrativo: lo Stato ucraino chiede lo scioglimento totale della sede metropolitana della Chiesa ortodossa ucraina (UOC) e la messa al bando dei suoi organi centrali. Una tale decisione aprirebbe la strada a una serie di divieti locali e infliggerebbe un duro colpo a questo ramo dell’Ortodossia, che rimane il più numeroso del Paese, nonostante l’esodo di massa delle parrocchie dal 2022 sotto la pressione delle autorità.
Il cardinale Gugerotti ha attentamente distinto due realtà: da un lato, la necessità di sanzionare individualmente chierici o fedeli che hanno formalmente violato la legge o collaborato strettamente con la potenza nemica russa; dall’altro, il rifiuto di qualsiasi misura generale che colpisca un’intera comunità religiosa: «I responsabili devono rispondere delle loro azioni, ma non possiamo condannare un’intera Chiesa», ha insistito.
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Dall’adozione, nell’agosto 2024, della legge «sulla tutela dell’ordine costituzionale nel campo delle organizzazioni religiose», qualsiasi comunità che mantenga legami con strutture religiose russe rischia il divieto assoluto.
Sebbene la Chiesa ucraina abbia proclamato la propria autocefalia e abbia rotto canonicamente con Mosca il 27 maggio 2022, tre mesi dopo l’inizio dell’aggressione russa, le autorità ucraine ritengono che questi legami permangano e che questa Chiesa continui a essere influenzata dal Patriarca Kirill, un ardente sostenitore della guerra condotta da Vladimir Putin.
Ad oggi, i servizi di sicurezza ucraini hanno avviato 208 indagini penali contro membri del clero e dei laici dell’UOC per «attività anti-ucraine», collaborazione con il nemico o propaganda. Circa 40 sacerdoti e diversi vescovi sono già stati condannati a pene detentive; altri sono stati deportati in Russia o scambiati nell’ambito di operazioni di cattura di prigionieri di guerra.
Le autorità di Kiev ribadiscono che, anche se la sede centrale venisse sciolta, ogni parrocchia manterrebbe il diritto di esistere come comunità religiosa indipendente o potrebbe unirsi alla Chiesa ortodossa ucraina sotto la guida del Patriarcato di Kiev, che è autocefalo dal 2019. In pratica, diverse centinaia di parrocchie hanno già effettuato questo trasferimento dall’inizio dell’invasione , spesso sotto forte pressione locale.
Nonostante queste rassicurazioni, la scomparsa del centro metropolitano significherebbe la perdita dell’unità giuridica e amministrativa dell’UOC, nonché la fine della sua attuale identità canonica. Per molti fedeli e membri del clero rimasti fedeli alla propria gerarchia, ciò equivarrebbe alla vera e propria liquidazione della loro Chiesa.
Rifiutando il principio della punizione collettiva, il Cardinale Gugerotti segue la tradizionale linea della Santa Sede: mantenere una posizione di neutralità tra le parti in conflitto e distinguere chiaramente le responsabilità individuali dalle affiliazioni comunitarie. Questo intervento indiretto ma fermo costituisce il segnale più chiaro, ad oggi, della disapprovazione del Vaticano per la strada scelta dalle autorità ucraine per risolvere la questione dei legami storici con Mosca.
L’intervento romano non è affatto casuale: papa Leone XIV desidera ripristinare al più presto i rapporti di fiducia con il Patriarcato di Mosca, la principale confessione ortodossa al mondo, dopo che i rapporti si erano notevolmente tesi nell’ultima parte del pontificato di Francesco.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
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Telefonata segreta tra Maduro e Trump
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