Alimentazione
La «carne di origine vegetale» correlata alla depressione

Secondo un nuovo studio sulle abitudini alimentari dei vegetariani, il consumo di alternative trasformate alla «carne vegetale» è collegato a un rischio significativamente maggiore di depressione.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Food Frontiers, ha scoperto che i vegetariani che consumano alternative alla carne di origine vegetale hanno un rischio di depressione aumentato del 42% rispetto ai vegetariani che non le mangiano.
I ricercatori hanno anche scoperto un collegamento tra la «carne di origine vegetale» e i biomarcatori dell’ipertensione e dell’infiammazione, una risposta immunitaria che, se non controllata, può causare varie condizioni di salute croniche.
Un tempo le «carni di origine vegetale» venivano considerate il «futuro del cibo», un’alternativa sana, rispettosa degli animali e del pianeta rispetto alla carne tradizionale, ma negli ultimi anni produttori come Beyond Meat e Impossible Foods hanno visto crollare le loro vendite e i prezzi delle loro azioni.
L’entusiasmo dei consumatori per questi prodotti surrogati si è esaurito e la ricerca ha minato le loro affermazioni di essere buoni per i consumatori e per il pianeta. Una ricerca sui consumatori ha dimostrato che i clienti sanno che le alternative a base vegetale non sono migliori per loro e che non hanno un sapore migliore della cosa vera.
Un sondaggio condotto nel 2021 tra gli uomini australiani ha rilevato che oltre il 70% di loro preferirebbe morire dieci anni prima piuttosto che smettere di mangiare carne.
Dopo diversi cicli di licenziamenti l’anno scorso, Impossible Foods è stata costretta a pubblicare un annuncio a tutta pagina sul New York Times per respingere le affermazioni secondo cui il suo prodotto è solo una “moda passeggera».
Come riportato da Renovatio 21, la cosiddetta «carne vegetale» può produrre ai consumatori problemi che vanno dallo squilibrio biochimico alla deformazione vera e propria.
Un hamburger a base di soia contiene 18 milioni di volte più estrogeni rispetto ad un normale hamburger di carne bovina, e calcoliamo che «solo sei bicchieri di latte di soia al giorno hanno abbastanza estrogeni per far crescere le tette su un maschio», ha scritto il professor James Stangle, un medico di medicina veterinaria del Sud Dakota.
Un altro studio del 2008 ha scoperto che gli uomini che hanno mangiato più soia avevano una minore concentrazione di spermatozoi.
Due anni fa era emerso lo strano caso di un dirigente di Beyond Meat, azienda che produce l’hamburger «vegano», stato arrestato dopo un alterco che lo ha visto mordere il naso di un automobilista strappandone via le carni.
Come riportato da Renovatio 21, sulla carne vegetale e carne sintetica c’è stato l’interesse – e gli investimenti – dell’onnipresente Bill Gates, sempre più impegnato in quello che è stato definito «Grande Reset Alimentare». Aziende di carne sintetica, è emerso, sono state finanziate con milioni di dollari anche dal Pentagono.
Nel frattempo, affiliati del World Economic Forum sono arrivati a proporre idee allucinanti come la modifica genetica degli esseri umani per indurre in loro l’intolleranza al consumi di carne, così come quella di un’eugenetica per rendere l’umanità più bassa di statura.
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Alimentazione
Oltre 9 mila bambini intossicati coi pasti scolastici gratuiti in Indonesia

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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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Alimentazione
Carestia dichiarata a Gaza da un gruppo per la sicurezza alimentare legato alle Nazioni Unite

Famine declared by IPC in #Gaza Governorate is a direct result of actions by #Israel‘s Government that has unlawfully restricted entry & distribution of humanitarian aid.
It is a war crime to use starvation as a method of warfare, and the resulting deaths may also amount to a… pic.twitter.com/knqnRpe2yH — UN Human Rights (@UNHumanRights) August 22, 2025
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