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La candidata presidenziale USA Nikki Hailey chiede la fine dell’anonimato su internet

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La candidata presidenziale repubblicana Nikki Haley ha dichiarato in TV che i post anonimi sui social media rappresentano una minaccia per la «sicurezza nazionale».

 

La contendente repubblicana alla Casa Bianca ha fatto queste osservazioni martedì su Fox News, sostenendo la verifica obbligatoria dei social media e sostenendo che le sue riforme draconiane avrebbero sconfitto i robot.

 

Dopo aver detto che avrebbe costretto le società di social media a rivelare i loro algoritmi, Haley ha continuato dichiarando che «a seconda cosa è che ogni persona sui social media dovrebbe essere verificata tramite il proprio nome».

 

«Prima di tutto, è una minaccia alla sicurezza nazionale», ha detto. «Quando lo fai, all’improvviso le persone devono restare fedeli a ciò che dicono e questo si sbarazza dei bot russi, dei robot iraniani e del bot cinesi».

 

L’ex governatrice della Carolina del Sud ha addirittura suggerito che la sua idea potrebbe creare un’utopia sui social media, sostenendo che far sì che le persone si identifichino favorirebbe la civiltà tra gli utenti online.

 

«E poi otterrai un po’ di civiltà quando le persone sapranno che il loro nome è accanto a quello che dicono, e sapranno che il loro pastore e il loro familiare lo vedranno, aiuterà i nostri figli e aiuterà i nostri Paese».

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La proposta della Haley a vietare l’anonimato online non ha avuto molto successo tra i commentatori sui social media.

«Nikki è qui a fare il provino per il voto del WEF», dove WEF sta per World Economic Forum, ha osservato il giornalista Jordan Schachtel.

 

Anche il collega candidato alla presidenza Vivek Ramaswamy, che già aveva deriso pubblicamente la Hailey nell’ultimo dibattito televisivo dicendo che sarebbe stata un ottimo presidente per Israele, ha colto l’occasione per sottolineare che la proposta della candidata violerebbe di fatto il Primo Emendamento della Costituzione USA.

 

«Nikki Haley sta *apertamente* spingendo affinché il governo utilizzi società tecnologiche private per censurare la libertà di parola» ha scritto Ramaswamy su Twitter. «Questa è una flagrante violazione della Costituzione e viene direttamente dal programma dei Democratici. Qualsiasi politico che pensi che sia giusto che il governo utilizzi il settore privato come ufficio di censura non dovrebbe essere autorizzato ad avvicinarsi alla Casa Bianca».

 

«Bel tentativo, Nikki», ha commentato il fondatore dell’organizzazione giovanile Turning Point USA Charlie Kirk. «Il discorso anonimo è una parte fondamentale della libertà di parola, cosa che i fondatori saprebbero, dal momento che molti di loro (inclusi Alexander Hamilton e James Madison) scrivevano in modo anonimo».

 

Anche il collega candidato Ron De Santis aveva sottolineato questo aspetto: «sai chi erano gli scrittori anonimi ai tempi? Alexander Hamilton, John Jay e James Madison quando scrissero i Federalist Papers», ha scritto il governatore della Florida su Twitter.

 

Poche ore fa la Hailey ha già fatto marcia indietro, dicendo al network CNBC: «non mi importa che gli americani anonimi abbiano libertà di parola; quello che non mi piace è che i russi, i cinesi e gli iraniani anonimi abbiano la libertà di parola», ha detto Haley, senza spiegare come consiglierebbe alle società di social media di analizzare questi utenti.

 

Come riportato da Renovatio 21, enti come il World Economic Forum hanno lasciato capire chiaramente che la spinta verso la sorveglianza bioelettronica globale arriverà dietro la minaccia della «criminalità informatica», di cui il perseguimento dello psicoreato – cioè il motivo per cui domandano la fine dell’anonimato – è un ramo minore ma sempre più concretamente avviato dalle censure operanti su social media, motori di ricerca e altre piattaforme.

 

La Hailey, prima americana di origina indiana  (nome anagrafico Nimrata Randhawa) a ricoprire il ruolo di Rappresentante permanente degli Stati Uniti d’America alle Nazioni Unite nominata dal presidente Trump (di cui aveva dichiarato di non essere «una fan»), è considerata da tutti come un puro rappresentante dell’establishment profondo americano, cioè del Deep State, di cui segue tutte le direttive guerrafondaie, con i dovuti accenti antirussi e filoisraeliani, espressi dalla Hailey in modo molto marcato.

 

Un articolo del New York Times del 2018 intitolato «The Slut-Shaming of Nikki Haley» (traducibile come «Il dare della sgualdrina a Nikki Hailey») difendeva l’allora ambasciatrice USA presso l’ONU dalle insinuazioni sul suo conto dopo l’uscita del libro del giornalista Michael Wolf Fire and Fury.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Internet

Incredibili video realizzati con l’IA lanciata da pochi giorni

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Il generatore di video basato sull’Intelligenza Artificiale Sora 2 di OpenAI ha debuttato la scorsa settimana e ha conquistato i social media con clip incredibilmente iperrealistiche che hanno fatto sì che gli spettatori si interrogassero su ciò che vedono online e hanno fatto sbiancare gli studi di Hollywood.   Gli utenti sembrano averci preso gusto a fare video sul defunto fisico tetraplegico Stephen Hopkins, anche crudelmente.      

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Un altro modulo molto popolare è quello di esseri che vengono fermati dalla polizia – il filmato è come da una bodycam delle forze dell’ordine – e scappano via subito: ecco un gatto, Spongebob, Mario, un ammasso di prosciutto a fette.    

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Il CEO di OpenAI Sam Altman viene beccato a rubare in un negozio, tutto visto da una telecamera di sorveglianza. L’uomo poi cucina Pikachu alla griglia.    

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Animali che rubano alimentari nei supermercati.    

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Piace Hitler che fa stand-up comedy con l’altrettanto (teoricamente) defunto Tupac, rapper ammazzato una trentina di anni fa ma che tutti per qualche ragione ricordano.   Lo Hitlerro dimostra di saperci fare con lo skateoboardo, e pure di saper rispondere a muso duro a Michael Jackson in un ambiente che ricorda le trasmissione trash di Jerry Springer.  

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Pare che SoraAI abbia messo un filtro che impedisce di creare episodi di South Park, che gli utenti hanno generato automaticamente a bizzeffe.     Non manca la finta pubblicità degli anni ’90 per un giocattolo basato sull’isola dei pedofili di Jeffrey Epstein, con l’action figure del miliardario e di altri personaggi orrendi – l’aereo privato Lolita Express è incluso.  

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Ecco, infine, il futuro: le fake news, ma nel senso vero. Telegiornali fatti con l’IA. Un motivo in più per non credere nemmeno a quelli veri.     Quindi: non è solo Hollywood che sarà sostituita, disintermediata, distrutto: è tutto quanto. È la realtà stessa che sta per venire divorata da simulacri iperreali eruttati ad ogni minuto dall’IA.

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Cina

Pechino condanna a morte 16 gestori dei centri per le truffe online in Birmania

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il tribunale di Wenzhou ha giudicato colpevoli 39 imputati della famiglia Ming, originaria dello Stato Shan nel nord del Myanmar. Le accuse comprendono frode e traffico di droga con proventi stimati in oltre 10 miliardi di yuan. Tra i condannati a morte figurano il figlio e la nipote del patriarca Ming Xuechang, morto in circostanze controverse durante l’arresto. L’operazione si inserisce nella più ampia repressione di Pechino contro i gruppi criminali che operano in Myanmar.

 

Un tribunale cinese ha condannato a morte 16 membri della famiglia Ming, potente gruppo criminale della regione Kokang, nello Stato Shan del nord del Myanmar, coinvolto nei commerci illeciti legati ai centri per le truffe online, una questione a cui Pechino da tempo sta rispondendo con una dura repressione.

 

Secondo i media cinesi, il Tribunale intermedio di Wenzhou, nella provincia orientale di Zhejiang, ha riconosciuto colpevoli 39 imputati per 14 reati, tra cui frode, omicidio e lesioni volontarie. Le condanne sono state differenziate: 11 imputati hanno ricevuto la pena capitale immediata, cinque la condanna a morte con sospensione di due anni, 11 l’ergastolo e gli altri pene comprese tra i cinque e i 24 anni di carcere.

 

Per alcuni sono state inoltre disposte anche multe e la confisca dei beni.

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L’accusa ha ricostruito che, a partire dal 2015, la famiglia Ming ha sfruttato la propria influenza nella regione Kokang per costituire una fazione armata e creare diversi «parchi» composti da edifici dediti alle truffe online. I gruppi armati hanno stretto alleanze con altre bande per fornire protezione alle attività illecite del clan: truffe telefoniche, traffico di droga, prostituzione, gestione di casinò e giochi d’azzardo online. I proventi stimati da frodi e gioco d’azzardo superano i 10 miliardi di yuan, circa 1,4 miliardi di dollari, secondo l’accusa.

 

Al centro del processo è finita in particolare la «Crouching Tiger Villa», una base utilizzata per le truffe online di proprietà di Ming Xuechang, patriarca della famiglia. Il 20 ottobre 2023 le guardie del complesso aprirono il fuoco contro lavoratori che cercavano di fuggire: fra le vittime vi furono 14 cittadini cinesi, alcuni dei quali – secondo indiscrezioni non verificate – erano agenti di sicurezza sotto copertura inviati da Pechino.

 

Tra i condannati a morte figurano anche il figlio di Ming Xuechang, Ming Xiaoping (noto anche come Ming Guoping), e la nipote, Ming Zhenzhen. Non compare invece la figlia, Ming Julan, il cui arresto era stato annunciato in un primo momento ma non confermato nella successiva comunicazione ufficiale da parte della giunta birmana.

 

Il patriarca Ming Xuechang, 69 anni, era stato arrestato nel novembre 2023 insieme ad altri membri della famiglia, nel quadro della pressione esercitata da Pechino sul Myanmar per smantellare i sindacati criminali del Kokang.Secondo le autorità di Naypyidaw, Xuechang si sarebbe sparato durante l’arresto ed è morto in seguito per le ferite riportate. In passato era stato membro della Zona a statuto speciale del Kokang e deputato del parlamento statale dello Shan per l’Union Solidarity and Development Party (USDP), partito legato ai militari birmani.

 

Il caso della famiglia Ming si inserisce nella vasta campagna lanciata da Pechino contro le truffe telefoniche transnazionali. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dichiarato che, solo nel periodo del 14° Piano quinquennale (2021-25), la polizia cinese ha risolto 1,74 milioni di casi di frode, smantellato oltre 2mila centri di truffe all’estero e arrestato più di 80mila sospetti.

 

In parallelo, anche la milizia legata a Pechino che controlla il Wa State, un’area anch’essa al confine tra Cina e Myanmar, ha di recente intensificato i rimpatri forzati verso la Cina: solo negli ultimi nove mesi sono state deportate 448 persone sospettate di frodi online, in una dozzina di operazioni coordinate con Pechino.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Internet

Israele paga gli influencer 7000 dollari a post sui social media USA

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Israele ha finanziato influencer per pubblicare contenuti sui social media al fine di migliorare la propria immagine negli Stati Uniti. Lo riporta la testata online Responsible Statecraft.   Come riportato da Renovatio 21, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha recentemente evidenziato l’importanza dei creatori di contenuti per mantenere il supporto allo Stato Ebraico, incontrando, a margine della sua problematica apparizione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, gli influencer filosionisti.   Martedì, Responsible Statecraft ha riportato che documenti presentati in conformità al Foreign Agents Registration Act (FARA) degli Stati Uniti hanno svelato i dettagli di una «campagna di influencer» gestita da una società di consulenza con sede a Washington che collabora con il ministero degli Esteri israeliano.   Le fatture inviate ad un gruppo mediatico tedesco, che coordina la campagna, indicano un finanziamento di 900.000 dollari tra giugno e novembre 2025 per un gruppo di 14-18 influencer. I documenti stimano tra 75 e 90 post in quel periodo, con un costo per post tra 6.143 e 7.372 dollari, secondo Responsible Statecraft. Non è stato reso noto quali influencer siano coinvolti.

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La società statunitense avrebbe coinvolto un ex portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) e un ex rappresentante della società israeliana di spyware NSO Group, produttrice del celeberrimo software-spia per smartphone Pegasus.   La settimana scorsa, Netanyahu ha dichiarato in una conferenza stampa che è essenziale rafforzare la «base di sostegno di Israele negli Stati Uniti» attraverso gli influencer, soprattutto su piattaforme come TikTok – di cui si è beato per l’acquisto da parte del miliardario filo-israeliano Larry Ellison – e X, posseduto dall’«amico» Elone Musk.   La campagna d’immagine di Israele si colloca in un contesto di diminuzione del sostegno negli Stati Uniti, in particolare riguardo alla guerra di Gaza. Un recente sondaggio del New York Times ha rivelato che il 60% degli americani ritiene che Israele debba porre fine al conflitto, e più della metà si oppone a ulteriori aiuti economici e militari allo Stato degli ebrei .   Alcuni legislatori, come la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, hanno definito la situazione a Gaza un «genocidio» e si sono opposti a ulteriori aiuti a Israele.   Come riportato da Renovatio 21, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, pur continuando a sostenere Israele, ha recentemente ammesso che l’influenza della lobby israeliana, che un tempo aveva un «controllo totale» sul Congresso, è diminuita.  

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