Geopolitica
Islamista raccoglie fondi per convertire una remota isola scozzese in una «patria» musulmana
Il proprietario di una piccola isola al largo della costa scozzese ha giurato di rifiutare qualsiasi offerta di acquisto del terreno avanzata da un religioso islamista radicale intenzionato a creare una nuova patria musulmana governata dalla legge della sharia.
Torsa, l’isola di 270 acri a ovest della Scozia, è in vendita per circa 1,5 milioni di sterline (1,78 milioni di euro) ed è disabitata, fatta eccezione per una fattoria con tre camere da letto inclusa nella vendita.
Il quotidiano Mail on Sunday ha riferito di come il controverso predicatore islamista radicale Sheikh Yasser al-Habib avesse in programma di acquistare il terreno e di creare un rifugio sicuro per i musulmani di tutto il mondo.
Al-Habib aveva annunciato il suo desiderio di costruire una scuola, un ospedale e una moschea sull’isola e di obbligare i residenti a rispettare la Sharia, il codice giuridico fondamentale dell’Islam, nonostante il territorio rimanesse sotto la giurisdizione del Regno Unito.
Tuttavia, lunedì il MailOnline ha riferito che l’attuale proprietario ha assicurato alla popolazione locale preoccupata che non avrebbe venduto il terreno a nessuno ritenuto inadatto alla comunità locale.
L’isola è lunga circa 1,9 chilometri e larga 0,8. È accessibile solo con imbarcazioni private e non è abitata in modo permanente dagli anni ’60.
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Gli abitanti delle isole adiacenti hanno espresso il loro disprezzo per i piani di Al-Habib. «La proposta di istituire un avamposto religioso settario su un’isola rurale scozzese è immorale», ha affermato Alastair Redman, consigliere locale. «Il fatto che egli voglia coinvolgere un contesto idilliaco in una predicazione piena di pregiudizi è semplicemente inaccettabile», ha aggiunto.
Alastair Fleming, un residente della vicina isola di Luing, ha affermato che la gente del posto ostacolerebbe qualsiasi piano con obiezioni urbanistiche e si chiede quanto siano realizzabili i piani di Al-Habib per un’isola così remota e piccola.
«Non è un’isola facile su cui fondare una comunità e sono perplesso sul perché abbia scelto Torsa. Anche se avesse acquistato l’isola, non credo che sarebbe in grado di realizzare i lavori che sta proponendo», ha detto a MailOnline.
Il predicatore nato in Kuwait, ora residente a Londra, ha un passato travagliato. Ha chiesto asilo in Gran Bretagna dopo essere stato condannato a 10 anni di prigione nel suo Paese d’origine per aver turbato i musulmani sunniti «mettendo in dubbio la condotta e l’integrità di alcuni dei “compagni” del profeta Maometto», si legge in quanto riportato.
In Gran Bretagna, ha condotto programmi di addestramento in stile militare nel parcheggio di una moschea nel Buckinghamshire ed è il fondatore del controverso canale satellitare Fadak TV, che è stato più volte rimproverato dall’ente regolatore dei media britannico Ofcom per «trasmissioni di odio».
Tuttavia, il religioso rimane una figura popolare tra il suo pubblico, con centinaia di migliaia di seguaci, e sta utilizzando il suo canale televisivo per raccogliere fondi per acquistare l’isola.
Savills, l’agente immobiliare che si occupa della vendita, insiste affinché l’immobile resti sul mercato.
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Immagine di Remi Matthis via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Geopolitica
Netanyahu esclude la creazione di uno Stato palestinese
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Geopolitica
La Danimarca taglia gli aiuti all’Ucraina per la corruzione. Mosca: i crimini di Kiev alla Corte Internazionale
La Danimarca prevede di dimezzare gli aiuti militari all’Ucraina nel 2026, con un taglio ampiamente descritto dai media come massiccio: quasi il 50% rispetto a quanto erogato dal 2022.
Secondo la Danish Broadcasting Corporation, la nazione nordica si è distinta per il suo impegno spropositato nelle fasi iniziali del conflitto, ma ora il governo di Copenaghen intende che altri Stati assumano una quota maggiore del peso finanziario.
Il ministro della Difesa Troels Lund Poulsen ha comunicato al Parlamento che l’esecutivo stanzierà 9,4 miliardi di corone danesi (circa 1,29 miliardi di euro) a sostegno di Kiev nel 2026. Si tratta di una contrazione netta rispetto ai 16,5 miliardi di corone (circa 2,23 miliardi di euro) concessi nel 2025 e ai quasi 19 miliardi di corone del 2024.
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I giornali danesi attribuiscono questa decisione in parte all’esaurimento delle risorse del Fondo per l’Ucraina, creato nel 2023 con ampio consenso bipartisan tra i partner europei. In totale, dal lancio dell’invasione russa nel febbraio 2022, la Danimarca ha riversato su Kiev l’impressionante somma di quasi 9,43 miliardi di euro in assistenza militare. Ha inoltre donato caccia F-16 e accolto corsi di formazione per piloti ucraini.
Simon Kollerup, componente del Comitato Difesa danese, ha commentato che «è naturale che stiamo assistendo a una stabilizzazione del livello di sostegno fornito».
«Abbiamo deciso di essere uno dei Paesi che hanno preso l’iniziativa all’inizio della guerra, fornendo un sostegno su larga scala. Ritengo inoltre che sia giusto affermare che questo sostegno supera di gran lunga quanto effettivamente richiesto dalle dimensioni del nostro Paese. Pertanto, trovo del tutto naturale che il sostegno stia diminuendo», ha proseguito Kollerup.
Questo sviluppo coincide con il ridimensionamento del massiccio supporto statunitense all’Ucraina, mentre l’amministrazione Trump privilegia la cessione di armi all’Europa affinché quest’ultima le rivenda o le trasferisca a Kiev.
La decisione danese di tagliare drasticamente gli aiuti giunge in un frangente delicato per il governo di Volodymyr Zelens’kyj, invischiato in uno scandalo di corruzione che lambisce direttamente l’ufficio presidenziale (con i suoi stretti collaboratori rimossi e sottoposti a indagini), spingendo forse alcuni membri dell’UE a svegliarsi e a cessare di agire con accondiscendenza.
Anche il New York Times ha recentemente ammesso in un pezzo che «l’amministrazione del presidente Volodymyr Zelens’kyj ha riempito i consigli di amministrazione di fedelissimi, ha lasciato posti vuoti o ne ha bloccato la costituzione. I leader di Kiev hanno persino riscritto gli statuti aziendali per limitare la supervisione, mantenendo il controllo del governo e consentendo che centinaia di milioni di dollari venissero spesi senza che estranei potessero curiosare».
Nel frattempo pesanti accuse a Kiev arrivano dalla Russia ben oltre la questione della corruzione. Il 5 dicembre il ministero degli Esteri russo ha diffuso un comunicato in cui annuncia che la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha accolto le contro-domande presentate dalla Russia nei confronti dell’Ucraina, riconoscendo che Kiev viola la Convenzione sul Genocidio del 1948.
«Tutte le obiezioni sollevate da Kiev in merito alla presunta inammissibilità delle contro-richieste della Russia sono state respinte integralmente e le osservazioni della Federazione Russa sono state accolte integralmente dalla Corte», si legge nella nota.
La dichiarazione prosegue ricordando che «La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, emessa il 5 dicembre, segna uno sviluppo logico dopo i vani tentativi dell’Ucraina di ritenere la Russia responsabile dell’avvio dell’operazione militare speciale. Questo contenzioso era stato avviato dal regime di Kiev e dai suoi sponsor occidentali già nel febbraio 2022. All’epoca, Kiev, sostenuta da 33 stati allineati all’Occidente, presentò un ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia sostenendo che la Russia aveva violato la Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.»
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Si aggiunge che «Il 18 novembre 2024, la parte russa ha presentato alla Corte un consistente corpus di prove, di oltre 10.000 pagine, che comprova la perpetrazione di un genocidio da parte del criminale regime di Kiev ai danni della popolazione russa e russofona del Donbass. Il materiale probatorio includeva la documentazione di oltre 140 episodi di deliberati attacchi contro civili nel Donbass, corroborati dalle testimonianze di oltre 300 testimoni e vittime, nonché da analisi e indagini di esperti».
Il testo accusa poi Kiev di aver compiuto «omicidi di massa, torture, bombardamenti indiscriminati» e di aver condotto «in tutta l’Ucraina una politica di cancellazione forzata dell’identità etnica russa, vietando la lingua e la cultura russa, perseguitando la Chiesa ortodossa russofona, glorificando al contempo i collaboratori del Terzo Reich e cancellando la memoria della Vittoria sul nazismo».
In conclusione, il ministero russo sottolinea che «affermando oggi l’ammissibilità legale delle rivendicazioni russe, la Corte Internazionale di Giustizia ha segnalato la sua disponibilità a valutare l’intera portata dei crimini commessi dal regime di Kiev e dai suoi complici».
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Immagine di EPP Group via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Geopolitica
Zakharova: l’UE che odia la Russia «è caduta nella follia politica». Il comandante NATO: l’alleanza può «creare dilemmi» a Mosca
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