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Iraq, al cardinale Sako vengono ripristinate le prerogative di patriarca

Il primo ministro iracheno Mohammad Shia Al-Sudani ha emesso un decreto che ripristina il cardinale Louis Raphael Sako alle sue prerogative legali di Patriarca dei Caldei in Iraq e nel mondo. Il decreto, emanato il 5 giugno, poneva le dotazioni delle chiese cristiane sotto l’autorità del cardinale caldeo. È stato pubblicato l’11 giugno sul sito del patriarcato.
Secondo Fides, il testo del decreto recita testualmente che «sulla base dei poteri conferitici dalla Costituzione» e di altri riferimenti legislativi, «abbiamo deciso quanto segue: 1) nominare il Cardinale Patriarca Louis Raphael Sako Patriarca dei Caldei in Iraq e in tutto il mondo; 2) attuare la «autorità di dotazione» per cui il Patriarca è «responsabile delle dotazioni della Chiesa caldea».
«Nel luglio 2023 – ricorda l’agenzia – il presidente iracheno Abdul Latif Rashid ha annullato il decreto 147, pubblicato dal suo predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva a livello nazionale la nomina pontificia del Patriarca a capo del della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e lo ha riconosciuto “responsabile delle dotazioni della Chiesa”».
Al di là del vocabolario un po’ inappropriato che sembra rivelare il potere di «nominare» un patriarca «in Iraq e nel mondo» in un ministro musulmano, la realtà è ben presente: al cardinale Sako vengono restituite le sue prerogative giuridiche a livello del Parlamento iracheno legge, e può così amministrare i beni della sua Chiesa senza temere la concupiscenza di individui dubbiosi.
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Una storia oscura su più livelli
Il sito dell’Istituto curdo di Parigi ricorda che «nel luglio 2023, il cardinale Sako ha abbandonato il patriarcato di Baghdad per stabilirsi nel Kurdistan autonomo, nel nord, a causa delle tensioni con il presidente Abdel Latif Rachid». Da allora vive a Erbil. Ma lasciando Baghdad, il cardinale «aveva anche implicitamente criticato una “campagna” di Rayan al-Kildani» che voleva mettere le mani sui beni della Chiesa caldea.
Il cardinale Sako è poi tornato più volte sulle manovre del singolo, rimproverando in particolare il Papa per averlo accolto. Il Vaticano si è difeso spiegando che non si trattava di un’udienza privata, ma pubblica. Resta il fatto che il sostegno romano è stato piuttosto discreto, per non dire altro.
Il sito 964media racconta la storia dello scontro tra il presidente iracheno e il primo ministro. Secondo questo sito, sarebbero stati il presidente Rashid «e la Corte Suprema Federale irachena [che] hanno annullato lo status del cardinale Sako» nel luglio 2023. Nel novembre dello stesso anno, spiegano gli stessi media, «la corte ha respinto un’azione legale intentata» dal cardinale «confermando la decisione di Rashid».
Di fronte all’escalation delle tensioni, il primo ministro Al-Sudani ha emesso un nuovo decreto che «cita un regolamento del 1981 e una sentenza della Corte di cassazione del 2013» per giustificare la reintegrazione del cardinale Sako, «contestando così le decisioni del presidente Rashid e la Corte Suprema», responsabile di interpretare la Costituzione e di regolare i rapporti e le istituzioni dello Stato.
Il sito aggiunge infine che «il fatto che Al-Sudani si sia basato su una sentenza della Corte di Cassazione è un altro punto controverso per la Corte Suprema, che recentemente è stata oggetto di critiche e ricorsi legali». Dietro queste spiegazioni si nasconde una tensione tra il presidente di origine curda e il primo ministro sciita. 964 intitola anche il suo articolo: «Sfidare il Presidente e la Corte Suprema».
In ogni caso, il cardinale Sako ha dichiarato all’AFP: «sì, torno a Baghdad. (…) Sono molto felice perché la legge ha trionfato, questo dà molta speranza ai cristiani e per il rispetto dei loro diritti», ha detto.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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Ci siamo: ecco l’arcivescova di Canterbury. Pro-aborto e pro-LGBT

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Viganò: «Leone ambisce al ruolo di Presidente del Pantheon ecumenico della Nuova Religione Globale di matrice massonica»

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X un breve testo in cui accusa papa Leone XIV di voler divenire leader di una religione globalista uscita dalle logge massoniche.
«È evidente che Leone ambisce al ruolo di Presidente del Pantheon ecumenico della Nuova Religione Globale di matrice massonica» scrive sua eccellenza. «Prevost non si discosta minimamente dal “nuovo corso” sinodale inaugurato da Bergoglio, nel tradimento del Mandato petrino e nell’abdicazione al ruolo di Vicario di Cristo».
Il prelato lombardo commenta così un videomessaggio con intenzione di preghiera di papa Prevost diffuso con immagini di eventi «ecumenici» dei passati pontificati come Assisi (1986) con Giovanni Paolo II , la visita in Sinagoga di Benedetto XVI in sinagoga e il famoso incontro con l’islam di papa Francesco ad Abu Dhabi.
«Preghiamo perché noi credenti di diverse tradizioni religiose lavoriamo insieme per difendere e promuovere la pace, la giustizia e la fratellanza umana» dice il testo del messaggio.
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Monsignor Viganò da anni parla del disegno soggiacente alla sovversione degli Stati e della Chiesa. Al cambio del paradigma politico corrisponde un cambio di paradigma teologico.
«Il Great Reset prevede l’instaurazione di una Religione Universale, ecumenica, ecologica e malthusiana, che vede in Bergoglio il suo naturale leader, come riconosciuto recentemente dalla Massoneria» aveva scritto in un intervento del marzo 2021 monsignore. «L’adorazione della pachamama in Vaticano, l’accordo di Abu Dhabi, l’Enciclica Fratelli tutti e il prossimo sabba di Astana vanno tutti in questa direzione, compiendo quell’inesorabile processo dissolutorio della Chiesa iniziato con il Concilio Vaticano II» .
In un’intervista di mesi fa, ricordando la figura del pontefice precedente, Viganò dichiarava che come «papa della chiesa sinodale», Bergoglio «si sentiva autorizzato a predicare il verbo globalista, l’ideologia woke, l’omosessualismo arcobaleno, la frode climatica e pandemica, l’immigrazionismo sfrenato, la morale situazionale e via dicendo».
Ciò, elaborava Viganò, corrispondeva ad un disegno di ingegneria spirituale precisa, architettata dagli incappucciati: «considerandosi un monarca assoluto, sciolto cioè da ogni vincolo con l’autorità di Cristo, Bergoglio ha svolto il compito assegnatogli dai suoi padroni: dare corpo a una chiesa dell’umanità – auspicata dalla massoneria – totalmente desacralizzata ed orizzontale, globalista, ecumenica e sincretista, green, gender fluid e gay friendly».
«Se Bergoglio è riuscito ad ottenere tanta ammirazione da chi detesta la Chiesa Cattolica e il papato è perché l’élite lo considera «uno di loro», altrettanto rivoluzionario, altrettanto imbevuto di filantropismo massonico, altrettanto ecumenico, sincretista, inclusivo, green e woke» aveva dichiarato ancora l’arcivescovo in un’intervista dello scorso maggio con Steve Bannon.
Come riportato da Renovatio 21, Viganò considera «Prevost in evidente e inquietante continuità con Bergoglio».
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Consacrazioni dell’arcivescovo Lefebvre per la FSSPX, il video

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