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Droga

Immagini dell’Ecuador piegata dai narcoterroristi. Trasmissione TV presa in ostaggio

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Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha dichiarato martedì lo stato di «conflitto armato interno» dopo che uomini armati hanno fatto irruzione in una stazione televisiva e attaccato gli agenti di polizia in tutto il Paese.

 

Le forze di sicurezza sono state dispiegate nella più grande città dell’Ecuador, Guayaquil, dove uomini armati mascherati hanno invaso la sede di TC Television, interrompendo una trasmissione in diretta.

 

Da allora più di una dozzina di aggressori sono stati arrestati e tutti gli ostaggi sono stati liberati, secondo il capo della polizia nazionale Cesar Augusto Zapata Correa.

 

 

I video pubblicati sui social media mostrano uomini armati per le strade di Guayaquil. Una persona è stata filmata con in mano quello che sembra essere un bazooka.

 

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Almeno sette agenti di polizia sono stati rapiti in tre città, ha detto martedì la Polizia nazionale. Secondo quanto riferito, anche diverse guardie carcerarie sarebbero state prese in ostaggio.

 

Un video non verificato mostra agenti di sicurezza sorvegliati da uomini incappucciati e mascherati, armati di coltelli. Video estremamente espliciti che circolano online mostrano membri di bande che uccidono almeno due agenti di polizia

 


Un video pubblicato martedì sui social media mostra uno degli agenti prigionieri che legge un messaggio indirizzato al presidente, mentre una pistola gli viene puntata alla testa.

 

«Avete dichiarato guerra, otterrete la guerra», ha detto l’ufficiale. «Avete dichiarato lo stato di emergenza. Dichiariamo che la polizia, i civili e i soldati sono il bottino di guerra».

 

 

Ieri vi sono state segnalazioni non verificate di criminali che imperversavano nell’Università di Guayaquil. Molti studenti sono fuggiti dall’edificio principale in preda al panico e alcuni si sono barricati nel campus. L’ipotesi di un rapimento di massa di universitari riporta alla mente immani tragedie già viste con i cartelli messicani. L’università ha successivamente rilasciato una dichiarazione in cui negava che fosse avvenuto un attacco.

 

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Il vicino meridionale dell’Ecuador, il Perù, ha ordinato a un’unità speciale di polizia di rafforzare il confine a causa dello scoppio della violenza.

 

Il Noboa è un erede di un casato di produttori di banane che ha vinto le elezioni presidenziali di ottobre con la promessa di combattere la criminalità violenta.

 

Lunedì aveva dichiarato lo stato di emergenza, dopo che i famigerati capibanda Adolfo «Fito» Macias e Fabricio Colon sono fuggiti durante una serie di rivolte carcerarie iniziate domenica in sei province del Paese. Le autorità hanno attribuito la violenza alla criminalità organizzata legata ai cartelli della droga in Colombia e Messico.

 

Il presidente ha dichiarato un conflitto armato interno e ha identificato diverse bande del paese come organizzazioni terroristiche e «attori belligeranti non statali» ordinando all’esercito dell’Ecuador di effettuare operazioni per «neutralizzare questi gruppi». Lo stato di emergenza contro quelli che ha definito «narcoterroristi» durerà 60 giorni.

 

In un ulteriore sviluppo spettacolare del conflitto, ieri inoltre una troupe televisiva in Ecuador è stata presa in ostaggio da aggressori mascherati che hanno fatto irruzione nello studio della stazione durante una trasmissione, agitando pistole ed esplosivi mentre un presentatore implorava aiuto.

 

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Il portavoce presidenziale Roberto Izurieta Canova ha poi dichiarato su Twitter che «la stragrande maggioranza» degli ostaggi è stata salvata.

 

La polizia ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che diversi aggressori sono stati arrestati.

 

 

I filmati pubblicati in precedenza sui social media mostrano uomini armati che tengono in ostaggio la troupe televisiva nel quartier generale di TC Television, un’importante stazione televisiva nella più grande città dell’Ecuador, Guayaquil. Si può sentire uno dei prigionieri urlare «non sparate, per favore!»

 

Decine di membri dello staff di TC TV, in preda al panico, hanno inviato messaggi sui social media chiedendo aiuto e altri si sono nascosti mentre i criminali attaccavano il loro edificio, secondo un articolo del giornale locale El Universo. «Vogliono ucciderci tutti. Aiutateci per favore», diceva uno dei messaggi.

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La polizia nazionale dell’Ecuador ha pubblicato un messaggio su X dicendo che un’unità di forze speciali sarebbe stata schierata per «affrontare questa emergenza».

 

 

La situazione drammatica dell’Ecuador, sul punto di implodere e divenire un Narco-Stato, pare distante anni luce da quella del Salvador, dove il giovane presidente Bukele ha piegato la criminalità organizzata imprigionando migliaia di affiliati dei cartelli in nuove supercarceri militarizzate.

 

Il Salvador, che era tra i Paesi più violenti del mondo, ha dato notizia di aver passato 365 giorni senza un omicidio, un record non solo per il Paese ma per il mondo.

 

Come riportato da Renovatio 21, cinque mesi fa l’Ecuador fu oggetto di una violenta campagna di assassinii politici ad opera dei Narcos: Ferdinando Villavicencio, candidato alle presidenziali programmate per lo scorso agosto, fu ucciso in strada poco dopo aver terminato un comizio nella capitale Quito.

 

Più o meno nello stesso periodo, la polizia spagnola ha comunicato di aver sequestrato 9,5 tonnellate di cocaina proveniente dall’Ecuador.

 

Tre mesi fa erano state diffuse le grottesche immagini del funerale di un boss del cartello ecuadoriano sepolto con centinaia di pistole e fucili automatici.

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Immagine screenshot da Twitter

 

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Droga

Panama sequestra 13 tonnellate di cocaina destinate agli Stati Uniti

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Il procuratore antidroga di Panama, Julio Villareal, ha definito l’operazione «una delle più grandi mai realizzate nelle nostre acque»: martedì sono state sequestrate 13 tonnellate di cocaina – pari a 11.562 panetti – su un traghetto intercettato a sud-ovest dell’isola di San José. A bordo sono stati arrestati dieci uomini di nazionalità venezuelana, ecuadoriana e nicaraguense; la nave era partita dalla Colombia e diretta verso gli Stati Uniti.   La procura ha pubblicato sui social le foto della droga recuperata, precisando che l’intervento è stato condotto in collaborazione con l’Aeronaval Panama.   Panama, snodo chiave del traffico di cocaina dal Sud America al Nord America (il principale mercato mondiale), nel 2023 aveva già confiscato complessivamente 119 tonnellate di stupefacenti.

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Non si tratta di un caso isolato: solo il mese scorso la Spagna ha sequestrato 6,5 tonnellate di cocaina e arrestato nove persone su una nave al largo delle Canarie, grazie a una segnalazione USA.   Sempre a novembre, la marina pakistana ha intercettato nel Mar Arabico stupefacenti per oltre 972 milioni di dollari, mentre a settembre la marina francese ha confiscato quasi 10 tonnellate di cocaina (valore superiore a 600 milioni di dollari) al largo dell’Africa occidentale.   Nel frattempo, la Guardia costiera statunitense ha annunciato di aver intercettato nell’attuale anno fiscale oltre mezzo milione di libbre di cocaina in alto mare: il quantitativo record nella storia dell’agenzia.

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Immagine del 2014 di pubblico domino CC0 via Wikimedia
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Nuovo studio capovolge tutto ciò che sappiamo sulla dipendenza

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A partire dagli anni Settanta, molti esperti con la compiacenza del governo degli Stati Uniti, hanno «millantato» una spiegazione della tossicodipendenza, oggi clinicamente definita disturbo da abuso di sostanze: il mito della «droga di passaggio».

 

La droga di passaggio (gateway drug effect)  – solitamente definita come erba, alcol, tabacco o inalanti – è la teoria secondo cui l’uso di alcune sostanze illecite e non, predisponga al futuro consumo di altre sostanze stupefacenti. Ciò si ritiene sia dovuto a fattori biologici (alterazioni causate dalle sostanze a livello del sistema nervoso), psicologici (vulnerabilità individuali) e sociali (contatto con ambienti illeciti).

 

Sebbene l’idea sia stata avanzata già negli anni Trenta, si ritiene che il termine sia stato coniato dallo psichiatra Robert DuPont, il primo direttore del National Institute on Drug Abuse (NIDA) degli Stati Uniti.

 

Seguendo questa teoria, le politiche del DuPont come direttore del NIDA furono rigide e autoritarie. Pur credendo che la dipendenza fosse una malattia cronica, paradossalmente sconsigliò a Richard Nixon, Gerald Ford e Jimmy Carter strategie di riduzione del danno come la depenalizzazione.

 

Le sue raccomandazioni politiche e le sue opinioni cliniche formarono il sottofondo ideologico della devastante guerra alla droga dell’amministrazione Nixon. Ora i ricercatori stanno smantellando questa teoria che ha resistito in maniera inscalfibile fino ad oggi, scrive Futurism.

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In uno studio recente pubblicato sulla rivista JAMA Network Open e segnalato da Scientific American, un gruppo di psichiatri e farmacologi ha studiato la struttura cerebrale di circa 10.000 adolescenti per un periodo di tre anni.

 

Ciò che hanno scoperto è sorprendente: sebbene il cervello di coloro che avevano fatto uso di alcol, tabacco o erba mostrasse notevoli differenze rispetto a quelli che non lo avevano fatto, hanno trovato una questione cruciale di causalità.

 

Nello specifico, gli adolescenti di età inferiore ai 15 anni che hanno iniziato a fare uso di droghe in seguito avevano già un cervello più grande rispetto a quelli che non ne avevano fatto uso, anche se non avevano ancora abusato di tale sostanze all’inizio dello studio. I loro profili cerebrali erano simili a quelli di coloro che avevano già sperimentato sostanze prima dell’inizio dei test, con entrambi che tendevano ad avere una corteccia più grande e con più pieghe.

 

Tali caratteristiche cerebrali sono solitamente associate alla curiosità, all’intelligenza e all’«apertura all’esperienza», che ricerche precedenti hanno collegato alla sperimentazione di droghe.

 

«La spinta all’automedicazione è così forte; è davvero impressionante», ha detto alla testata scientifica americana Patricia Conrod, la professoressa di psichiatria all’Università di Montreal che ha condotto ricerche simili. «C’è davvero questo disagio nel loro mondo interiore».

 

È un duro colpo per la teoria della gateway drug, che non tiene conto degli anni di esperienza di vita o dei fattori socioeconomici che contribuiscono alla probabilità che un adolescente provi la droga o che poi diventi dipendente.

 

Sebbene sia vero che chi inizia a fare uso di droghe in giovane età ha maggiori probabilità di diventarne dipendente, ricerche più ampie hanno dimostrato che la teoria della porta d’accesso serve a semplificare le complesse cause del consumo di droghe, spesso per ragioni politiche.

 

«Mantenere vivo questo mito non solo spreca risorse, ma danneggia anche numerosi individui, soprattutto membri di gruppi minoritari, che vengono criminalizzati», ha affermato l’epidemiologa Eve Waltermaurer.

 

È fondamentale che lo studio prenda in considerazione solo l’uso precoce di droghe, e non la dipendenza a lungo termine. Resta da vedere se le stesse caratteristiche del cervello di grandi dimensioni si applichino a coloro che sviluppano una dipendenza a lungo termine. Tuttavia, studi come questo vengono già utilizzati per elaborare efficaci programmi di prevenzione della droga.

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Immagine generata artificialmente

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Attacchi USA contro il Messico, Trump: per me OK

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Il presidente statunitense Donald Trump ha manifestato apertura all’ipotesi di ordinare incursioni nel Messico per smantellare i cartelli della droga, incurante delle obiezioni delle autorità messicane.   Lunedì, nel corso di un confronto con i giornalisti, Trump è stato interpellato sulla possibilità di lanciare operazioni nel Messico o di dispiegare contingenti USA per arginare il narcotraffico. Ha replicato che per lui sarebbe «accettabile».   «Avrei autorizzato raid in Messico per bloccare la droga? Per me va bene, compiamo qualunque passo necessario per fermare le sostanze stupefacenti», ha dichiarato Trump. Ha evitato di specificare se richiederebbe l’assenso di Città del Messico, ma ha osservato che i vertici del Paese «conoscono il mio punto di vista».   «Siamo a conoscenza di ogni itinerario, di ogni recapito dei boss della droga», ha proseguito Trump. «Stanno massacrando la nostra popolazione. È come una guerra. Lo farei? Ne andrei fiero».   Gli USA hanno progressivamente intensificato le accuse al Messico per l’incapacità di contrastare le reti di spaccio, in particolare quelle che veicolano fentanyl negli Stati Uniti, e nei primi mesi dell’anno hanno irrogato sanzioni severe su banche, imprese e presunti affiliati ai cartelli messicani, unitamente a una tariffa del 25% sulle importazioni dal Messico.   Sebbene il Messico abbia cooperato con Washington nella lotta alla droga, rigetta categoricamente qualunque presenza armata straniera. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha più volte ribadito che un intervento militare USA in suolo nazionale senza il suo avallo non avrà luogo e ha respinto la proposta di Trump di inviare soldati nel Paese, argomentando che lede la sovranità messicana.

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Eventuali offensive in Messico estenderebbero quella che l’amministrazione Trump qualifica come una crociata contro il narcotraffico in America Centrale e Meridionale. Trump ha bollato il presidente colombiano Gustavo Petro e il leader venezuelano Nicolás Maduro come «capi della droga» e, nei primi mesi dell’anno, ha inviato una flotta aeronavale nei Caraibi occidentali con il pretesto di reprimere lo spaccio. Dal settembre scorso, le unità USA hanno neutralizzato 21 presunte imbarcazioni dedite al traffico, causando oltre 80 morti.   Nel dialogo con i reporter, Trump ha asserito che andrebbe «fiero» di colpire i laboratori di cocaina in Colombia e non ha escluso l’invio di truppe in Venezuela per contrastare i cartelli della droga.   L’acuirsi delle tensioni e gli assalti USA hanno indotto Petro – sanzionato da Washington lo scorso mese – a denunciare Trump come «un barbaro». Maduro, che smentisce ogni nesso con i cartelli della droga, ha ammonito che le mosse di Trump potrebbero innescare una «guerra perpetua» nella regione.   Come riportato da Renovatio 21, gli sviluppi recenti si inseriscono nel contesto delle annunciate operazioni cinetiche programmate dal presidente americano contro il narcotraffico. Ad inizio mandato era trapelata l’ipotesi di un utilizzo delle forze speciali contro i narcocartelli messicani. La prospettiva, respinta dal presidente messicano Claudia Sheinbaum, ha scatenato una rissa al Senato di Città del Messico   All’inizio di questo mese, il presidente Trump avrebbe emesso una nuova direttiva che autorizza il Pentagono a condurre operazioni militari dirette contro alcuni cartelli della droga latinoamericani designati come Organizzazioni Terroristiche Estere (FTO).   Negli scorsi giorni il Pentagono annunzia l’«Operazione Lancia del Sud» contro i «narcoterroristi».

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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