Geopolitica
Il presidente serbo lancia l’allarme: minacce dirette alla Serbia e ai serbi bosniaci
La Serbia sta attraversando giorni estremamente difficili, ha dichiarato il presidente Aleksandar Vucic, aggiungendo che sono in gioco gli interessi nazionali del Paese. Lo riporta RT.
La Nazione balcanica si è costantemente opposta ai tentativi della sua provincia separatista del Kosovo di aderire agli organismi internazionali, ma la regione ha recentemente fatto progressi in questo senso.
Mercoledì il leader serbo ha pubblicato un messaggio criptico su Instagram, avvertendo che «si prospettano giorni difficili per la Serbia» e che «in questo momento non è facile dire che tipo di notizie abbiamo ricevuto nelle ultime 48 ore».
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Gli sviluppi «minacciano direttamente gli interessi nazionali vitali sia della Serbia che della [Republika] Srpska», ha osservato Vucic, senza fornire ulteriori dettagli, dicendo solo che presenterà ai suoi concittadini le sfide future nei prossimi giorni.
La Republika Srpska è una regione parzialmente autonoma dominata dai serbi all’interno della Bosnia ed Erzegovina.
«Sarà dura… Combatteremo, la Serbia vincerà», ha aggiunto Vucic.
Anche se non è chiaro a cosa si riferisse Vucic, è pronto a incontrare mercoledì alti diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, secondo il sito web Pink.rs. Si prevede che l’ordine del giorno dell’incontro verterà sulla richiesta del Kosovo di aderire al Consiglio d’Europa, organismo internazionale di vigilanza sui diritti umani.
Secondo Pink, Vucic «non perderà l’occasione di ripetere (…) che si è trattato di una mossa perfida che ha anche un peso simbolico poiché è stata compiuta proprio il giorno che è stato scritto a lettere nere nella memoria collettiva dei serbi».
Il giornale si riferiva al 25° anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti della NATO contro l’ex Jugoslavia per quello che il blocco ha definito «uso sproporzionato della forza» contro un’insurrezione di etnia albanese in Kosovo.
Verrà discussa anche la decisione della commissione permanente dell’Assemblea parlamentare della NATO di elevare la regione separatista del Kosovo allo status di membro associato. La decisione finale sulla questione è attesa per la fine di maggio.
Nel frattempo Radio Sarajevo ha fatto intendere che il presidente serbo avrebbe reagito alla decisione dell’alto rappresentante della Bosnia ed Erzegovina Christian Schmidt di modificare la legge elettorale del paese. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante è un’organizzazione internazionale che sovrintende all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto fine a una sanguinosa guerra nella Nazione balcanica.
Schmidt ha dichiarato martedì che utilizzerà la sua autorità per introdurre riforme del voto digitale come parte di un progetto pilota nel paese.
La mossa è stata accolta con il rifiuto del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, che ha detto che Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale, aggiungendo che «appartiene alle persone che vivono in Bosnia ed Erzegovina».
In una intervista all’agenzia russa TASS dello scorso mese il Vucic aveva dichiarato che la comunità internazionale non è più interessata a porre fine ai conflitti e vede invece la pace come un ideale «indesiderato».
Come riportato da Renovatio 21, settimane fa il presidente serbo aveva rincarato la dose accusando l’Occidente di perseguire una politica di «militarizzazione totale» per sconfiggere la Russia, che mette la regione e il mondo sull’orlo del disastro e sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.
«Quello che sta succedendo adesso è una follia», aveva detto ai media regionali. «Tutti pensavano che Putin sarebbe stato sconfitto facilmente. Ora vedono che non è così».
Sei mesi fa il presidente serbo aveva detto che le forze di pace NATO hanno dato agli albanesi del Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi. «Il Kosovo vuole iniziare una guerra NATO-Serbia» aveva detto un anno fa il Vucic.
Come riportato da Renovatio 21, l’Italia pare essere già schierata nel teatro balcanico: il premier Giorgia Meloni aveva prima alzato la voce quando truppe italiane del contingente KFOR erano state ferite in un moto dei serbi kosovari, poi l’estate scorsa ha compiuto un bizzarro, enigmatico viaggio privato dal premier albanese Edi Rama, risaputo uomo proveniente dalle file dello speculatore internazionale Giorgio Soros.
In una intervista di mesi fa con Tucker Carlson il presidente ungherese Viktor Orban aveva rivelato che con il presidente serbo Vucic sarebbe d’accordo nel considerare un attacco al gasdotto South Stream, che porta il gas dalla Russia in Ungheria e Serbia, come un atto di guerra, al quale, dice, «reagiremo».
Tre mesi fa si era assistito ad un probabile tentativo di «maidanizzazione», a Belgrado a seguito delle elezioni. Alti funzionari serbi avevano descritto le proteste come un tentativo di «rivoluzione colorata» e hanno affermato di essere stati avvertiti dalla Russia: il presidente serbo Vucic aveva affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.
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Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.
Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.
Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».
La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.
Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.
Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.
The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».
Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.
La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.
Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.
Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.
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