Geopolitica
Il presidente serbo avverte: un «grande conflitto mondiale» entro due mesi
Il presidente della Serbia Aleksandar Vucic ha avvertito che il pianeta sta entrando in un «grande conflitto mondiale» che potrebbe avere luogo entro i prossimi due mesi.
Vucic ha fatto tali commenti allarmanti sulla Terza Guerra Mondiale durante ad una radio e televisione Serba fuori dal Palazzo delle Nazioni Unite il primo giorno della sessione dell’Assemblea generale ONU a Nuova York.
«Vedete una crisi in ogni parte del mondo”, ha detto Vucic all’emittente statale serba RTS. «Penso che le previsioni realistiche dovrebbero essere ancora più oscure».
«La nostra posizione è ancora peggiore, dal momento che le Nazioni Unite sono state indebolite e le grandi potenze hanno preso il controllo e praticamente distrutto l’ordine delle Nazioni Unite negli ultimi decenni».
Aleksandar Vucic, President of Serbia:
Within a month or two, the world may enter into a military conflict not seen since World War II. pic.twitter.com/Ma0mIS1bkv
— Спринтер (@Sprinter88000) September 21, 2022
Il leader serbo ha quindi avvertito che la guerra tra Russia e Ucraina è passata a una fase molto più letale.
«Presumo che stiamo uscendo dalla fase dell’operazione militare speciale e ci stiamo avvicinando a un grande conflitto armato, e ora la domanda diventa dov’è la linea e se dopo un certo tempo – forse un mese o due, anche – entreremo un grande conflitto mondiale che non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale».
Le parole di Vucic arrivano e lo stesso giorno in cui il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato la mobilitazione parziale di 300 mila truppe russe per il conflitto in Ucraina.
Il presidente serbo mesi fa aveva dichiarato congiuntamente al presidente ungherese Orban che il mondo sta andando verso l’esaurimento del cibo.
La visita del ministro degli Esteri russo Lavrov in Serbia di tre mesi fa fu sabotata dall’isteria dei Paesi NATO che fecero pressioni su Belgrado.
Poco dopo, Lavrov denunciò la strategia occidentale degli «incidenti inscenati», facendo l’esempio del ritrovamento nel 1999 di «diverse dozzine di cadaveri vestiti con abiti civili» in un villaggio nell’allora provincia autonoma serba del Kosovo e Metohija. Una missione dell’OSCE arrivò, guidata da un americano, e dichiarò le uccisioni “un atto di genocidio”»
La NATO ha immediatamente bombardato la Jugoslavia, ha ricordato Lavrov, «distruggendo intenzionalmente un centro televisivo, ponti, treni passeggeri e altri obiettivi civili. Successivamente, è stato dimostrato con prove conclusive che i cadaveri non erano civili, ma militanti dell’Esercito di liberazione del Kosovo, un gruppo armato illegale, vestiti con abiti civili. Ma a quel punto l’incidente inscenato aveva già avuto il suo tributo».
La Serbia, nel frattempo, sembra essersi dotata di armamenti cinesi.
Come riportato da Renovatio 21, un’ulteriore faglia di scontro della NATO potrebbe aprirsi proprio in Kosovo. Sono state riportate forti pressioni del cancelliere tedesco Scholz che avrebbe detto a Vucic che poteva scordarsi l’adesione alla UE senza il riconoscimento da parte di Belgrado del Kosovo indipendente. La Serbia ha intenzione di entrare a Bruxelles ma non nella NATO, perché, ha dichiarato Vucic a inizio 2022, si ricorda delle bombe del 1999, bombe che l’allora senatore Joe Biden, già amico del feroce dittatore croato Tito, rivendicava fieramente.
Al momento tra serbi e albanesi kosovari non si è raggiunto alcun accordo.
Un nuovo conflitto mondiale potrebbe riacutizzare le tensioni mai del tutto sopite nei Balcani. Oppure, come accade per la Prima Guerra Mondiale, partire proprio da lì…
Immagine di Guelland/ MSC via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Germany (CC BY 3.0 DE).
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.
Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.
«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.
Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.
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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».
Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.
Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.
Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
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Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).
A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.
L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.
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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.
«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».
Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.
L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.
Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.
In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».
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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».
Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».
Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.
Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.
Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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