Geopolitica
Il governo israeliano demolisce villaggi del Negev e svende terre beduine ai coloni
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’ultima vicenda riguarda Umm al-Hiran, raso al suolo per edificare la neonata cittadina ebraico-ortodossa di Dror. Parte dei lotti concessi a prezzi irrisori ai membri del gruppo religioso sionista di Garin Torani. L’allarme di Peace Now: col governo Netanyahu-Smotrich-Ben Gvir ogni settimana autorizzazioni per nuove case negli insediamenti.
Il governo israeliano sta «svendendo» una parte delle terre storicamente appartenute ai beduini nel deserto del Negev a prezzi irrisori, dopo aver raso al suolo villaggi, affidandole a coloni provenienti dalla Cisgiordania. E secondo quanto denunciato dal quotidiano israeliano Haaretz, tra i principali beneficiari vi sarebbero membri di Garin Torani, gruppo religioso sionista proveniente dall’insediamento (accademia) di Eli, a nord di Ramallah, cui le autorità affidano lotti ambiti a prezzi paragonabili con quelli di una vettura usata.
Qualche centinaio di metri quadri possono essere rilevati per un importo in shekel euivalente a una cifra tra i 3500 e i 19mila dollari e senza bisogno di gare d’appalto, mentre al prezzo di mercato si sborserebbero almeno 83mila dollari per un lotto analogo. Questa possibilità di acquisto, però, viene negata agli stessi beduini sfollati, a cui è negato lo status di «residenti locali», venendo di fatto trasferiti a forza in una città beduina della zona; solo in rari casi, sono autorizzati a rilevare piccoli appezzamenti – di gran lunga inferiori alle proprietà originarie – ma al valore di mercato.
Prima della creazione di Israele nel 1948, il deserto del Negev ospitava circa 92mila beduini ma solo 11mila sono rimasti nei confini di Israele dopo la guerra arabo-israeliana del 1948; molti vivono in villaggi non riconosciuti, privi di pianificazione e servizi base come acqua corrente, fogne ed elettricità.
In pochissimi hanno accesso a rifugi anti-aereo o missile (l’unica vittima dell’attacco iraniano dei primi di aprile dello scorso anno è stata una bambina beduina), e la gran parte rifiuta di essere re-insediata e per questo incontra grandi difficoltà nella società israeliana. Oggi sono circa 300mila, metà dei quali vivono in città e metà in villaggi non riconosciuti da Israele.
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Di recente Israele ha ripreso l’opera di costruzione di nuovi edifici nella neonata cittadina ebraico-ortodossa di Dror, che sorge sulle ceneri del villaggio beduino meridionale di Umm al-Hiran, mai riconosciuto nelle pianificazioni urbanistiche e demolito a novembre. Un mese dopo – il 29 dicembre – si sono chiuse due gare di appalto promosse da Ila (Israel Land Authority), riguardando la realizzazione del futuro villaggio, nei pressi di Meitar e Hura.
Diversi imprenditori si sono aggiudicati le concessioni per la costruzione di 620 unità residenziali, ad un prezzo complessivo di 40 milioni di shekel (poco meno di 11 milioni di dollari), e costi di sviluppo per un totale di 108 milioni di shekel (29,5 milioni di dollari). A seguire è stata chiusa la gara d’appalto per 36 case unifamiliari, con il costo del singolo appezzamento di terreno pari a 303mila shekel (attorno agli 82mila dollari) per terreno di una casa unifamiliare. A ciò si aggiungono costi di costruzione e profitto dell’imprenditore, in base a prezzi giudicati ragionevoli.
Tuttavia, risulta che nel 2023 e nel 2024 vi siano state tre assegnazioni dell’Israel Land Authority, senza gara di appalto, per l’acquisto di lotti per l’edilizia privata in quella stessa futura comunità, a prezzi completamente diversi. La priorità era assegnata agli acquirenti «locali», definiti come segue: membri dell’Accademia rabbinica di Eli in Cisgiordania, che hanno fondato un garin torani, o residenti del Consiglio regionale di Tamar.
In questo modo, senza appalto, i membri dell’accademia Eli hanno ricevuto 115 dei 345 lotti di estensione fino a 740 m2 ad un prezzo irrisorio (o simbolico), compreso fra i 13mila e i 70mila shekel, cacciando i beduini che dagli anni ‘50 del secolo scorso erano stanziati nella zona. E che, nel 2015, avevano anche ottenuto tramite la sentenza di un tribunale il diritto a vivere nella zona ed essere evacuati solo in cambio di un appezzamento di terra sostitutivo concordato.
Il tutto succede mentre per la sesta settimana consecutiva l’Higher Planning Council (HPC) si è riunito oggi per dare il via libera alla costruzione di nuove unità abitative nelle colonie ebraiche in Cisgiordania: 448 solo nella seduta di oggi. Sotto l’attuale governo del premier Benjamin Netanyahu (e del duo di alleati di estrema destra Smotrich-Ben Gvir), la costruzione di insediamenti ha raggiunto livelli senza precedenti.
Nel 2023, il Consiglio ha approvato 12.349 unità abitative, un massimo storico. A questo hanno fatto seguito 9.884 unità approvate nel 2024. Secondo gli attivisti di Peace Now il passaggio a riunioni settimanali di pianificazione rappresenta sia una «normalizzazione del processo» sia una «intensificazione della costruzione degli insediamenti».
Se anche quelli di oggi saranno approvati, il totale delle sei settimane raggiungerà le 2.377 unità abitative. A questo ritmo, il 2025 potrebbe segnare nuovi record, con proiezioni che superano le 1.500 unità al mese. «Le riunioni settimanali – spiega in una nota l’ONG – indicano un tentativo di normalizzare la pianificazione degli insediamenti, con l’obiettivo di massimizzare le approvazioni delle unità abitative, minimizzando le critiche pubbliche e internazionali» secondo una logica dell’annessione che determina una «crisi politica e di sicurezza».
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Geopolitica
Orban: l’UE pianifica la guerra con la Russia entro il 2030
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Geopolitica
Scontri lungo il confine tra Thailandia e Cambogia
Lunedì la Thailandia ha condotto raid aerei in Cambogia, mentre i due vicini del Sud-est asiatico si attribuivano reciprocamente la responsabilità di aver infranto la tregua negoziata dagli Stati Uniti.
A luglio, una controversia confinaria protrattasi per oltre cinquant’anni è sfociata in scontri armati tra i due Stati. Il presidente USA Donald Trump, tuttavia, era riuscito a imporre un cessate il fuoco dopo cinque giorni di ostilità.
L’esercito thailandese ha riferito che i nuovi episodi di violenza sono emersi domenica, accusando le unità cambogiane di aver sparato contro i soldati di Bangkok nella provincia orientale di Ubon Ratchathani. Un militare thailandese è caduto, mentre altri quattro hanno riportato ferite; in seguito, ulteriori truppe thailandesi sono state bersagliate da artiglieria e droni presso la base di Anupong, ha precisato lo Stato Maggiore.
Massive explosion on the Cambodian side of the Cambodia Thailand border from an F-16 airstrike from Thailand
🇹🇭🇰🇭‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️‼️ pic.twitter.com/R8W7KtQtjv
— WW3 Monitor (@WW3_Monitor) December 8, 2025
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Il portavoce della Royal Thai Air Force, il maresciallo dell’aria Jackkrit Thammavichai, ha comunicato in tarda mattinata di lunedì che i jet F-16 sono stati impiegati per «ridurre le capacità militari della Cambogia al livello minimo necessario per salvaguardare la sicurezza nazionale e proteggere i civili». Il portavoce del ministero della Difesa cambogiano, il tenente generale Maly Socheata, ha replicato domenica sera sostenendo che le truppe thailandesi hanno sferrato vari assalti contro le postazioni di Phnom Penh, utilizzando armi leggere, mortai e carri armati.
«Anche la parte thailandese ha accusato falsamente la Cambogia senza alcun fondamento, nonostante le forze cambogiane non abbiano reagito», ha dichiarato. Il dicastero ha altresì smentito le denunce thailandesi su un potenziamento delle truppe lungo il confine.
La contesa territoriale affonda le radici nell’epoca coloniale, quando la Francia – che dominò la Cambogia fino al 1953 – delimitò i confini tra i due paesi. Gli scontri di luglio provocarono decine di vittime e oltre 200.000 sfollati da ambo le parti.
Come riportato da Renovatio 21, la Thailandia aveva sospeso la «pace di Trump» quattro settimane fa.
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Geopolitica
Elon Musk chiede l’abolizione dell’UE «Quarto Reich»
;The tyrannical, unelected bureaucracy oppressing the people of Europe are in the second picture https://t.co/j6CFFbajJa
— Elon Musk (@elonmusk) December 7, 2025
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In precedenza, Musk aveva bollato l’UE come un «mostro burocratico», accusandone la dirigenza di «soffocare lentamente l’Europa fino alla morte». Il miliardario, che ha spesso denunciato l’iper-regolamentazione bruxellese, ha invocato lo smantellamento completo dell’Unione. «L’UE dovrebbe essere abolita e la sovranità restituita ai singoli paesi, in modo che i governi possano rappresentare meglio i loro cittadini», ha scritto. Anche l’ambasciatore statunitense presso l’UE Andrew Puzder ha condannato l’iniziativa europea, precisando che Washington «si oppone alla censura e contesterà le gravose normative che prendono di mira le aziende statunitensi all’estero». Ciononostante, l’UE difende la decisione: la vicepresidente esecutiva della Commissione per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, Henna Virkkunen, ha puntualizzato che la responsabilità ricade unicamente sulla piattaforma di Musk e che «ingannare gli utenti con segni di spunta blu, oscurare informazioni sulle pubblicità ed escludere i ricercatori non è consentito online nell’UE». Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente. Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager. Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.Pretty much https://t.co/0hspV4roFj
— Elon Musk (@elonmusk) December 7, 2025
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