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Spirito

«Il cosmo è cristocentrico»: omelia di Natale di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia per il Santo Natale dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

 

 

 

Sicut in cœlo et in terra

Omelia nel Santissimo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo

 

Lux fulgebit hodie super nos: quia natus est nobis Dominus:
et vocabitur Admirabilis, Deus, Princeps pacis,
Pater futuri sæculi: cujus regni non erit finis.

Intr. ad Missam in Aurora

 

DIXIT DOMINUS DOMINO MEO: Sede a dextris meis; donec ponam inimicos tuos scabellum peduum tuorum (Ps 109, 1). La Chiesa ripete questo Salmo ai vesperi di tutte le domeniche e tutte le feste: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi.

 

L’eterno Padre, nell’eternità del tempo, si rivolge al Verbo eterno Incarnato, sancendo la Sua eterna Signoria – Siedi alla mia destra – e la Sua definitiva vittoria su Satana e sui suoi servi.

 

E questa vittoria è domenicale, si compie nel giorno quam fecit Dominus, quando con la Resurrezione dagl’inferi Nostro Signore porta a compimento la Redenzione del genere umano sconfiggendo la morte, subìta nella Passione per riscattarci dal peccato e dal giogo infernale dell’Avversario. 

 

Nell’eternità del tempo, secondo alcuni Padri, gli Angeli furono messi alla prova mostrando loro il Mistero dell’Incarnazione, decretato dalla Santissima Trinità per riparare alla tentazione a cui avrebbero ceduto i nostri Progenitori tentati dal Serpente.

 

Fu dinanzi a questo prodigio di Carità e di Misericordia infinite e divine, dinanzi al Verbo che si fa carne e assume la nostra natura umana, che l’orgoglio di Satana e degli angeli apostati si rifiutò di inchinarsi alla volontà di Dio e lanciò il proprio grido Non serviam in risposta all’Ecce, venio della Sapienza incarnata, al Fiat mihi secundum verbum tuum della Madre di Dio, al Quis ut Deus? dell’Arcangelo Michele e degli Angeli fedeli. Obbedienza e disobbedienza. Umiltà e orgoglio. Adorante gratitudine e arrogante ribellione. 

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Nell’eternità del tempo il Figlio eterno risponde all’eterno Padre e si cala nella Storia, irrompe nel fluire dei giorni, nell’avvicendarsi delle stagioni, nel ciclo degli anni e dei secoli, per ripristinare l’ordine divino che i nostri Progenitori hanno infranto. E questa inimicizia tra Dio e Satana, tra la stirpe della Donna e la progenie del Serpente, è annunciata nel Protoevangelo della Genesi, quasi a mostrarci il senso della nostra vita terrena, le ragioni del nostro peregrinare, la meta che ci attende. Felix culpa: la caduta di Adamo ed Eva ci ha meritato, assieme alla cacciata dal Paradiso terrestre, la promessa di un nuovo Adamo e di una nuova Eva, della Seconda Persona della Santissima Trinità che si fa uomo e di una Vergine Immacolata che per opera dello Spirito Santo è fatta Tabernacolo dell’Altissimo, Arca dell’Alleanza, Reggia del Re, Madre di Dio. 

 

La Chiesa celebra il Natale di Nostro Signore Gesù Cristo secundum carnem perché in questo giorno di duemilaventiquattro anni fa, come annunciato dai Profeti, la Maestà divina scende sulla terra, la Luce risplende nelle tenebre, la Parola risuona per essere ascoltata, il chicco di grano è gettato nel terreno per germogliare.

 

E quella promessa fatta ai nostri Progenitori, rinnovata ai nostri padri in cammino verso la terra promessa, inizia con il vagito di un Re, avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia, esposto al rigore del freddo di una notte della Palestina. Ai pastori è concesso di scorgere un riflesso della Sua divinità nel canto degli Angeli, mentre i Magi Lo riconoscono come Dio scrutando gli astri e seguendo la stella dall’Oriente.

 

Il cosmo è cristocentrico: omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil, quod factum est (Gv 1, 3). Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Per ipsum, cum ipso, et in ipso. Per lui, con lui e in lui. Ut in nomine Jesu omne genu flectatur cœlestium, terrestrium, et infernorum (Fil 2, 10). Anche la Storia riconosce il discrimen tra un prima e un dopo, segnando il computo degli anni a partire dal Natale di Cristo. E la Santa Chiesa, che di Cristo Capo è Mistico Corpo, è la nuova Gerusalemme, il nuovo Israele, il popolo dell’eterna Alleanza che custodisce sui suoi altari l’Emmanuele, il Dio con noi, nel Santissimo Sacramento, fino alla fine dei tempi. 

 

L’ordine divino – il κόσμος, appunto – vede Cristo come Alfa e Omega, Principio e Fine: e questo vale per la natura, per ogni uomo, per le società civili, per la Chiesa: sine ipso factum est nihil, quod factum est. Nostro Signore stesso ce lo ha insegnato: Adveniat regnum tuum; fiat voluntas tua, sicut in cœlo et in terra. Non è dunque il mondo che si plasma i suoi idoli, ma il cielo che rivela Dio agli uomini e che dà loro il modello cui conformarsi. Lo ripetono gli Angeli: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonæ voluntatis. 

 

Tutto rimanda a Cristo, tutto annuncia la Sua venuta, la Sua Incarnazione, la Sua Nascita, la Sua predicazione, la Sua Passione e Morte, la Sua Resurrezione. Tutto prepara il Suo ritorno trionfale nel giorno del Giudizio: et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos; cujus regni non erit finis. Tutto si compie in Cristo, Re e Pontefice, donec ponam inimicos tuos scabellum peduum tuorum, finché il Padre non avrà umiliato l’orgoglio dei nemici del Figlio ponendoli sotto i Suoi piedi. Dominare in medio inimicorum tuorum. 

 

Vi sono quindi dei nemici di Cristo, e lo sappiamo bene. Nemici spirituali – gli spiriti apostati cacciati nell’abisso da San Michele – e nemici in carne e ossa, ad iniziare da Erode, che per timore di perdere potere giunge a far massacrare le vite innocenti dei neonati. E i farisei e gli scribi del popolo, che tramano per uccidere quel Galileo che con la Sua predicazione e i Suoi miracoli contraddice i piani politici di ribellione all’invasore romano. E i Sommi Sacerdoti, illegittimi nella loro autorità di nomina imperiale, bramosi di conservare il prestigio della propria carica. E poi i pagani, feroci persecutori dei Cristiani; e gli eretici di tutti i tempi, i barbari, gli adepti delle logge e i massoni, i rivoluzionari, i socialisti e i comunisti, i liberali, i globalisti, i fautori del Great Reset e del Nuovo Ordine Mondiale.

 

Cosa accomuna quelli che la Sacra Scrittura chiama «operatori di iniquità», ossia i malvagi di tutti i tempi? L’odio a Cristo: un odio implacabile, feroce, spietato, cieco, folle, superbo. Odio verso il Santo Bambino appena nato a Betlemme: Crudelis Herodes Deum Regem venire quid times?, chiede la prosa dell’inno dell’Epifania. Erode crudele, perché temi che venga il Dio Re?

 

Eppure non eripit mortalia, qui regna dat cœlestia, colui che dà i regni spirituali non toglie le cose terrene. Ma è proprio per questo che Cristo è temuto dai Suoi nemici, da Erode a Klaus Schwab, da Caifa a Bergoglio: perché quelle cose terrene, quei poteri economici e politici, quelle ricchezze e quel successo mondano pretendono di sostituirsi e di eclissare i regna cœlestia, le potestà del cielo, prima fra tutte la Regalità universale di quel Re Bambino, che allarga le Sue piccole braccia nel gelo della mangiatoia già preludendo alla Croce che Lo attende: regnavit a ligno Deus, da quel trono di dolore e di umiliazione, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (1Cor 1, 23).

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E quella divina Regalità è intrinsecamente sacerdotale, perché il regno di Cristo è conquistato nel Suo Sangue mediante l’immolazione di Sé, e di sangue è l’unzione regale e sacerdotale della Vittima immacolata. 

 

Potremmo dire che i primi a confermare la centralità di Nostro Signore Gesù Cristo sono proprio i Suoi nemici, che si scagliano solo e sempre contro Cristo, contro i discepoli di Cristo, contro chi di Cristo porta impresso il segno benedetto della salvezza, contro le membra del Suo Corpo Mistico. Non vi è religione, né superstizione, né idolatria, né culto pagano che siano fatti oggetto dell’odio dei malvagi, che riconoscono in essi il marchio del loro padrone, la frode del Principe della menzogna. 

 

L’odio dei nemici di Cristo nasce dall’orgoglio, quell’orgoglio luciferino che si rifiuta di riconoscere nell’Uomo-Dio Colui per quem omnia facta sunt, e al Quale l’ordine divino necessariamente impone di inchinarsi e genuflettersi, perché non può essere altrimenti, e perché non riconoscendo Cristo come Signore si finisce per erigere la creatura a idolo, a simulacro, in quel blasfemo sovvertimento del κόσμος che è il χάος, ossia la Rivoluzione, l’anima infernale della ribellione a Dio.

 

Non eripit mortalia qui regna dat cœlestia: ma le cose mortali, terrene, non ci sono tolte ed anzi ci sono date in sovrabbondanza e al centuplo solo se riconosciamo Nostro Signore Gesù Cristo come nostro principio, nostro fine e nostro mezzo, Che il Padre ha voluto sovranamente innalzare, e al Quale ha voluto dare un nome che al di sopra di ogni nome (Fil 2, 9). Questa necessità ontologica e indefettibile trova la propria ragione nell’obbedienza e nell’umiltà di Cristo, factus obœdiens usque ad mortem, mortem autem crucis (ibid., 8), e nel precetto evangelico: Si quis vult venire post me, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me (Lc 9, 22).

 

E Cristo è stato il primo, nell’eternità del tempo come Verbo del Padre e nella storia come Uomo-Dio, a dare l’esempio di questo rinnegamento, di questa obbedienza, di questa umiltà. In capite libri scriptum est de me, ut facerem voluntatem tuam (Ps 39, 8).

 

Ma se questa umiltà e questa obbedienza sono il marchio, per così dire, dell’opera redentrice di Nostro Signore; se l’Incarnazione e il Natale di Cristo segnano l’incipit del grande rito del Sacrificio con il quale Dio ci riconcilia a Dio; vi è un’altra venuta che completerà la Liturgia eterna. È la seconda venuta del Signore, alla fine del mondo, quando quello scorcio di gloria che hanno contemplato i pastori nella Notte santa si squarcerà nel trionfo della vittoria e nella restaurazione della universale Signoria di Cristo Re, Pontefice e Giudice.

 

Non vedremo più il Puer avvolto in fasce, né l’Uomo dei dolori sfigurato dai tormenti della Passione, ma il Rex tremendæ majestatis, Colui al Quale il Padre restituirà lo scettro temporale: Dominabit in nationibus, implebit ruinas, conquassabit capita in terra multorum… confregit in die iræ suæ reges. Le terribili parole del Salmista, divinamente ispirate, devono suonare come severo monito per tutti noi, ma soprattutto per coloro che in questo mondo ribelle – e in questa Chiesa travagliata dalla Passione a immagine del proprio Capo – ancor oggi si rifiutano di adorare Nostro Signore, di riconoscerLo come Re divino e di conformare la loro volontà alla Sua santa Legge.

 

Il pacifismo eunuco e vile dei tempi presenti non vuole sentir parlare di un Dio che domina tra le nazioni, che distrugge e semina rovina, che schianta le teste orgogliose, che rivescia i potenti nel giorno della Sua ira. Ma questo è il destino ineluttabile dei malvagi, dei superbi, di chi si crede dio e pretende di decidere ciò che è bene e ciò che è male, di chi rifiuta di accogliere la Luce che è venuta nelle tenebre. L’ha ricordato, nel Magnificat, anche la Vergine Madre: Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordis sui; deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles; esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes. 

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Seguiamo l’esempio dei pastori e dei Magi, cari fratelli: inginocchiamoci in adorazione dinanzi al Re Bambino, nel Cui sguardo possiamo vedere la tenerezza e la dolcezza dell’Emmanuele. Inginocchiamoci ai piedi della Croce, contemplando lo sguardo sofferente e straziato di Cristo Sommo Sacerdote che Si immola per noi al Padre.

 

Inginocchiamoci ai piedi dell’altare, sul quale si rinnova il Sacrificio del Calvario per la salvezza di molti. Perché a quanti Lo hanno accolto, il Signore ha dato il potere di diventare figli di Dio, a coloro che credono nel Suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati (Gv 1, 12-13). Vedremo così compiersi le parole di Maria Santissima: misericordia ejus a progenie in progenies timentibus eum, la sua misericordia si stende di generazione in generazione su quelli che lo temono.

 

Cari fratelli, permettetemi di rivolgere a tutti voi le parole del Signore ai Suoi Discepoli: Coraggio, sono io; non abbiate paura! (Mt 14, 27). Fate del vostro cuore la mangiatoia in cui la Vergine Santissima ponga il Neonato Gesù: quanto più essa sarà spoglia e povera, tanto più vi risplenderà l’Ospite divino e la Sua augusta Madre. Non sia turbato il vostro cuore (Gv 14, 1), nonostante l’apparente trionfo del Nemico e dei suoi servi, nonostante il tradimento della Gerarchia.

 

Quando queste cose cominceranno ad avvenire, dice la Scrittura, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra redenzione è vicina (Lc 21, 28). E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

25 Dicembre 2024
Nativitas D.N.J.C.

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Immagine di Lorenzo Monaco (circa 1370–circa 1425), Natività di Gesù (circa 1406-1410), e Metropolitan Museum of Art, Nuova York.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Spirito

Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato

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Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.   Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.   Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».   E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.   Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.   Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.

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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.   Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».   Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.   Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.   Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.   Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Spirito

Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»

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Papa Leone XIV ha dichiarato che «nessuno possiede la verità assoluta» e che «nessuno è escluso» dalla Chiesa, durante la sua omelia domenicale del 26 ottobre, pronunciata in occasione della messa giubilare per i gruppi sinodali e gli organismi partecipativi.

 

Le sue parole, che potrebbero essere interpretate come relativistiche rispetto alla proclamazione della fede unica della Chiesa cattolica, hanno sconvolto moltissimi.

 

L’amore è la «regola suprema della Chiesa». «Nessuno è chiamato a comandare», ma «tutti sono chiamati a servire»; nessuno deve «imporre le proprie idee», tutti sono invitati all’ascolto reciproco; e «nessuno è escluso» poiché «tutti siamo chiamati a partecipare».

 

«Nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme»: un’affermazione scioccante per chi è il vicario di colui che è la Via, la Verità e la Vita..

 

Essere Chiesa sinodale significa riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.

 

Leone ha enfatizzato il concetto di Chiesa «sinodale», termine spesso usato dal suo predecessore, Papa Francesco, pur rimanendo vago nel significato. «Le équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa che vive nella comunione», ha aggiunto oscuramente il romano pontefice.

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«Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti».

 

«Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» ha esortato il sommo pontefice con linguaggio sempre più tecnico e cervellotico.

 

Sebbene nessun individuo possegga la pienezza della verità, la Chiesa cattolica, in quanto Corpo mistico di Cristo guidato dallo Spirito Santo, ha sempre sostenuto di essere la custode del deposito della fede, ossia la verità rivelata da Dio.

 

I commenti di papa Leone appaiono ambigui e potenzialmente relativistici, poiché non ha chiarito la distinzione tra i membri fallibili della Chiesa, che possono errare nella comprensione della verità, e la Chiesa stessa, che custodisce e proclama l’unica vera fede.

 

Le parole di Prevost sembrano andare contro il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione» (CCC, I dogmi della fede, 88).

 

La Sacra Scrittura parla della «casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità» (1Tim 3,15).

 

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Immagine di Edgar Beltrán via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 

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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.   Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.   Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.   Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.   Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.   La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.   Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.   Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.   D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.  

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.   Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.   L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.    

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.   Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.   Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.  

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.   Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.   Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.   Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.  

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.   Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…   L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).   Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.   Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.   Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.   Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.   E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.   Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.   Roberto Dal Bosco

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