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Geopolitica

Il cardinale Parolin s’interroga sul bombardamento della chiesa di Gaza

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In un’intervista rilasciata il 18 luglio 2025 a Tg2 Post, programma trasmesso su RAI 2, il Segretario di Stato della Santa Sede è tornato sulla telefonata di Benjamin Netanyahu al papa. Accogliendo con favore il gesto «tempestivo» del primo ministro israeliano, ha comunque chiesto che si faccia luce sul raid che ha colpito la chiesa della Sacra Famiglia.

 

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, è stato intervistato venerdì 18 luglio da Tg2 Post. Durante l’intervista, ha parlato di «superamento dei limiti» e di uno «sviluppo drammatico», chiedendo un chiarimento completo su quanto accaduto giovedì 17 luglio durante l’attacco militare israeliano alla chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, che ha causato tre morti e dieci feriti.

 

Alla domanda sulla telefonata tra papa Leone XIV e il presidente israeliano, ne ha sottolineato l’importanza, insistendo sulla necessità di fornire una spiegazione al papa. «Quindi, trovo positiva questa telefonata, trovo positiva la disponibilità del primo ministro israeliano a parlare direttamente con papa Leone XIV».

 

Ma ha sottolineato tre punti. «Innanzitutto, che i veri risultati dell’indagine promessa siano realmente noti», ha insistito. «Ciò presuppone che questa indagine sia condotta con la dovuta serietà». Infine, ha chiesto di agire: «spero sinceramente che quanto detto dal primo ministro venga attuato il più rapidamente possibile, perché la situazione a Gaza è davvero insostenibile».

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Una guerra senza limiti

Il cardinale Parolin descrive la situazione a Gaza come una guerra senza limiti: «come si può distruggere e affamare una popolazione come quella di Gaza?». Eppure, «molti limiti sono già stati superati». Ricorda ciò che la diplomazia della Santa Sede ha già sollevato: la questione della proporzionalità [della risposta rispetto all’attacco]. Tornando alla parrocchia cattolica di Gaza, vuole concedere «il tempo necessario affinché ci dicano effettivamente cosa è successo».

 

Ma si chiede: «se si tratti davvero di un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare, o se ci sia stata la volontà di attaccare direttamente una chiesa cristiana, sapendo quanto i cristiani siano un elemento di moderazione in Medio Oriente, e anche nei rapporti tra palestinesi e israeliani. Ci sarebbe quindi ancora una volta la volontà di sopprimere qualsiasi elemento che possa contribuire almeno a una tregua e poi alla pace».

 

Pertanto, il cardinale Parolin non esita a mettere in dubbio la sincerità degli israeliani e a credere che la Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza sia stata presa di mira più o meno deliberatamente. E se un diplomatico esperto come il Segretario di Stato vaticano esprime pubblicamente un simile dubbio, deve già avere la certezza, attraverso le sue fonti, di ciò che sta dicendo.

 

Interrogato su una possibile mediazione in Terra Santa, ha ammesso: «la stiamo proponendo, ma mi sembra davvero difficile andare oltre, soprattutto perché se usiamo la parola “mediazione” in senso tecnico, la mediazione esiste solo quando entrambe le parti la accettano: deve esserci la disponibilità da parte di ciascuna delle due parti in conflitto ad accettare questa mediazione da parte della Santa Sede».

 

«Continueremo a insistere come abbiamo sempre fatto senza perdere la speranza, ma tecnicamente è molto difficile. D’altra parte, quante mediazioni al di fuori del Vaticano non hanno funzionato finora. Ci vuole volontà politica per porre fine alla guerra, sapendo che i costi di una guerra sono terribili per tutti, in ogni senso della parola».

 

E ha concluso, quasi deluso, riguardo al desiderio di porre fine alla guerra: «purtroppo… non voglio essere troppo negativo… lo spero. Mi avete citato le parole di Netanyahu sull’imminente tregua: mi piacerebbe crederci».

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Geopolitica

«Può combattere fino a consumare il suo piccolo cuore»: Trump sul possibile rifiuto di Zelens’kyj agli accordi

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che il leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj è libero di «continuare a combattere con tutte le sue forze» nel caso in cui rifiuti il piano di pace avanzato per chiudere il conflitto con la Russia.   Questa settimana Washington ha consegnato a Kiev una bozza aggiornata di proposta per porre fine alle ostilità, esortando la dirigenza ucraina ad approvarla entro giovedì prossimo. Secondo i media, il documento in 28 punti contempla diverse clausole finora respinte da Kiev e dai suoi alleati europei occidentali, tra cui l’abbandono delle ambizioni NATO e il taglio drastico delle forze armate ucraine.   Trump ha espresso questa posizione sabato, conversando con i reporter fuori dalla Casa Bianca, in risposta a una domanda su cosa accadrebbe in caso di rifiuto da parte di Zelens’kyj.   «Allora potrà continuare. Potrà continuare a combattere con tutto il suo cuore» («fight his little heart out»), ha replicato il presidente USA.

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Le sue parole riecheggiano quanto affermato venerdì, quando Trump aveva sostenuto che Zelens’kyj «dovrà accettare qualcosa» prima o poi, avvertendo che l’Ucraina si avvia verso un «inverno freddo» con le sue infrastrutture energetiche «sotto attacco, per usare un eufemismo».   «Dovrà piacergli e se non gli piace, allora, sai, dovrebbero semplicemente continuare a combattere, immagino», ha aggiunto riferendosi al piano.   Sempre secondo fonti giornalistiche, Washington ha già brandito la minaccia di sospendere gli aiuti militari e lo scambio di intelligence se Kiev respingesse la bozza. All’inizio dell’anno, gli Stati Uniti avevano impiegato la medesima strategia per convincere l’Ucraina ad accettare l’accordo di Trump sulle terre rare.

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Geopolitica

Wargame USA sulla cacciata di Maduro: il risultato è un «caos a lungo termine»

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Un’esercitazione ufficiale statunitense, condotta nel 2019, per rovesciare il presidente venezuelano Nicolás Maduro, ha concluso che, indipendentemente dal fatto che il rovesciamento fosse ottenuto tramite un colpo di stato militare, una rivolta popolare o un’azione militare statunitense, avrebbe prodotto «caos per un periodo di tempo prolungato senza possibilità di porvi fine». Lo riporta il New York Times.

 

L’esercitazione del 2019 ha coinvolto «funzionari di tutto il governo degli Stati Uniti, inclusi quelli del Pentagono e del Dipartimento di Stato». Il riassunto dell’esito dell’esercitazione citato è tratto dal rapporto non classificato sull’esercitazione del 2019, scritto per i funzionari del Pentagono dell’epoca dal consulente per la sicurezza nazionale ed ex reporter del Washington Post Douglas Farah, scrive il giornale neoeboraceno.

 

Il Farah, non considerabile come pro-Maduro, aveva partecipato all’esercitazione mentre era ricercatore presso la National Defense University. «Non si può avere un immediato cambiamento epocale» nel governo del Paese senza conseguenze, ha detto il giornalista, ​«non si avrebbe alcun comando e controllo sull’esercito e nessuna forza di polizia. Ci sarebbero saccheggi e caos. Qualsiasi dispiegamento militare statunitense volto a stabilizzare il Paese richiederebbe probabilmente decine di migliaia di soldati».

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Il New York Times ricorda che l’intervento militare statunitense ad Haiti nel 1994 per deporre la giunta militare richiese circa 25.000 uomini, e «il Venezuela è circa 33 volte più grande di Haiti, o circa il doppio della California». Allo stesso modo, George H.W. L’invasione di Panama da parte di Bush nel 1989 per rovesciare Manuel Noriega richiese 27.000 soldati statunitensi per «un Paese grande meno di un decimo del Venezuela».

 

 

Giorni fa il Segretario del dipartimento della Guerra Pete Hegseth ha elogiato la designazione, da parte del dipartimento di Stato, del cosiddetto «Cartel de los Soles» come “Organizzazione Terroristica Straniera» (FTO), una designazione che entrerà in vigore il prossimo 24 novembre. L’amministrazione Trump sostiene che il «cartello dei Soli», la cui esistenza non è mai stata provata, sia guidato da Nicolas Maduro e coinvolga i suoi massimi funzionari militari e di gabinetto.

 

La designazione FTO «apre un sacco di nuove opzioni» per le azioni contro i cartelli, sia via terra che via mare, che l’esercito statunitense può offrire al presidente, ha dichiarato Hegseth a One America News Network (OAN) in un’intervista andata in onda il 20 novembre. «Quindi nulla è escluso, ma nulla è automaticamente sul tavolo».

 

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Geopolitica

Fico: la Russia emergerà come «vincitrice assoluta» nel conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha previsto che la Russia emergerà come «vincitrice assoluta» dal conflitto ucraino, qualora venisse approvato il piano di pace proposto dal presidente statunitense Donald Trump.   Questa settimana gli USA hanno consegnato a Kiev l’ultima bozza di intesa per porre fine alle ostilità con Mosca: un documento in 28 punti che, secondo i media, contempla numerose concessioni finora respinte da Kiev e dai suoi alleati occidentali, tra cui il rifiuto dell’adesione alla NATO, il dimezzamento delle forze armate ucraine e il ritiro delle truppe dalle porzioni del Donbass russo ancora controllate da Kiev.   Venerdì, in una conferenza stampa a Bratislava, Fico ha espresso il proprio appoggio alla proposta, definendola «sensazionale». Ha poi sferrato un duro attacco ai «falchi» europeisti pro-Kiev, accusando la «politica estera zero» dell’UE di aver condotto l’Ucraina alla sua attuale situazione drammatica.   «Con questo accordo, la posizione ucraina è cento volte peggiore rispetto ad aprile 2022», ha dichiarato Fico, alludendo all’intesa preliminare emersa dai negoziati di Istanbul all’inizio del conflitto, da cui Kiev si era ritirata unilateralmente.

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«Chi tra quei guerrafondai lo ammetterà nell’Unione Europea? Chi confesserà di aver sostenuto con tanto vigore la guerra, l’invio di armi, il divieto di tregue? Chi oggi riconoscerà i propri errori?», ha proseguito il premier slovacco.   Pur riconoscendo il fallimento dei piani per «distruggere» la Russia, Fico ha sostenuto che Mosca ne uscirà trionfante e irrobustita.   «Se questo piano verrà firmato, la Russia lascerà la guerra come vincitrice assoluta, rafforzata in modo straordinario sia dal punto di vista morale che economico», ha concluso.   I sostenitori occidentali di Kiev, secondo fonti giornalistiche, considerano la bozza una vera «capitolazione» ucraina, e ora i leader UE pro-guerra starebbero correndo ai ripari per modificarla, adducendo il pretesto di «aggiornamenti costruttivi».   Mosca ha confermato di aver ricevuto il documento americano, precisando che non è stato ancora esaminato «in dettaglio». «Potrebbe costituire la base per un accordo di pace definitivo», ha commentato il presidente russo Vladimir Putin.    

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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