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Geopolitica

I parlamentari algerini autorizzano il presidente a opporsi a Israele. La Tunisia pronta a varare una legge radicale

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Il Parlamento algerino ha autorizzato all’unanimità il presidente Abdelmadjid Tebboune a prendere posizione contro le operazioni militari israeliane nel territorio palestinese di Gaza.

 

Secondo l’agenzia di stampa araba Al Bawaba, tutti i parlamentari hanno votato a favore del permesso a Tebboune di sostenere Gaza, rendendo l’Algeria il secondo paese arabo a dichiarare ufficialmente il proprio sostegno alla Palestina nel conflitto.

 

Martedì il governo Houthi dello Yemen ha dichiarato il suo sostegno ai palestinesi e ha annunciato di aver lanciato droni e missili contro Israele.

 

Tale sviluppo giunge mentre le truppe israeliane effettuano operazioni di terra contro Hamas. Gli scontri tra Israele e Hamas hanno innescato un’ondata di proteste filo-palestinesi in tutti i paesi del Nord Africa, tra cui Tunisia, Algeria, Libia e Marocco.

 

Il mese scorso, il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, ha esortato la comunità internazionale a schierarsi con la Palestina e ad agire immediatamente per porre fine all’ «aggressione» di Israele e rilanciare il processo di pace.

 

L’Assemblea Nazionale del Popolo Nordafricano (APN) ha tenuto giovedì una sessione speciale in solidarietà con la causa palestinese per la libertà e l’indipendenza, diventando la prima a farlo, secondo una dichiarazione dell’ambasciata palestinese ad Algeri.

 

La posizione dell’APN «riflette la posizione intrinseca e costante del popolo algerino e dei suoi leader nel corso degli anni a sostegno della causa palestinese… di fronte al genocidio perpetrato dall’occupazione sionista, che beneficia della protezione americano-occidentale», ha aggiunto.

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Nel frattempo, in Tunisia, che non ha relazioni diplomatiche con Israele, giovedì il Parlamento ha iniziato a discutere un disegno di legge che identificherebbe come traditore qualsiasi tentativo di normalizzare le relazioni con Israele. Il progetto di legge in sette capitoli fa parte del sostegno del paese africano alla Palestina.

 

Se approvato, chiunque venga ritenuto colpevole di «normalizzazione» potrebbe rischiare dai sei ai dieci anni di carcere e una multa fino a 100.000 dinari tunisini (29.300 euro), mentre i recidivi rischieranno l’ergastolo. Ciò può porre problemi diplomatici, ed economici, con l’Italia, dove il governo Meloni ha assunto una posizione pro-Israeliana, in linea con BIDEN, la NATO e pure la storia del Movimento Sociale Italiano, il partito retto da Giorgio Almirante di cui Fratelli d’Italia è discendente.

 

L’Italia è costantemente impegnata a cercare di sostituire il gas russo con quello algerino, con vari viaggi dell’allora premier Draghi ad Algeri (dove ha chiamato il Paese «Argentina» alla presenza del presidente e dei giornalisti).

 

Algeri, ricordiamo, ha annunciato il suo interesse di entrare nei BRICS, ma è stata esclusa dalla lista dei nuovi membri pubblicata a fine agosto.

 

Parimenti, va rammentato come l’Algeria durante la crisi tra il Niger e la Francia avrebbe respinto la richiesta di Parigi di utilizzare lo spazio aereo per operazione nel Paese che ha subito un golpe militare.

 

Il Marocco, uno dei cinque paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele grazie agli accordi di Abramo (e che, en passant, è protagonista di una serie di frizioni violente con Algeri), sarebbe sotto pressione per recidere i legami dopo che la Giordania ha annunciato mercoledì il richiamo del suo ambasciatore a Tel Aviv in segno di protesta contro il bombardamento di Gaza.

 

Giovedì il Bahrein ha anche affermato che il suo inviato si era ritirato da Israele in risposta all’escalation del conflitto.

 

La Tunisia sta per approvare una legge che renderà illegale qualsiasi tipo di rapporto tra i suoi cittadini o società e Israele. Questa mossa indica il supporto dichiarato di Tunisi per Hamas nel conflitto con Israele, che potrebbe creare tensioni con l’Italia, che ha una posizione opposta nel conflitto e ha anche tentato di trattare con il presidente Kais Saied riguardo alla questione dei migranti nel Mediterraneo.

 

«Crediamo fermamente che la Palestina debba essere liberata dal fiume al mare, che l’intera patria debba essere restaurata e che lo Stato palestinese debba essere fondato con la Santa Gerusalemme come capitale» ha affermato il presidente dell’assemblea Brahim Bouderbala in apertura della sessione parlamentare plenaria. Tali parole lasciano trasparire una posizione molto più radicale di quella di altri Stati arabi, cioè un rifiuto implicito del riconoscimento dello Stato Ebraico.

 

Fenomeni di importanza geopolitica capitale si stanno consumando in questi giorni dopo il massacro del 7 ottobre: in primis, la fine degli accordi di Abramo, cioè la montante normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo, ottenuti da Donald Trump; in secundis, l’isolamento sempre più drammatico dei Paesi NATO rispetto al contesto globale.

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Immagine della Presidenza della Repubblica Italiana via Wikimedia; fonte Quirinale.it

 

 

 

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Geopolitica

Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.   Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».   Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.   Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.   Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.   Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».   Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.   Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».

 

In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.

 

Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».

 

«Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».

 


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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.

 

Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.

 

Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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Geopolitica

Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.   In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».   Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.  

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.   In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.  

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».   Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».  

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