Alimentazione
Fondi europei per la fame ridiretti in Ucraina: ecco il modello di business del regime di Kiev
Il Consiglio Ue ha approvato ieri maggiori aiuti a Kiev in concomitanza con l’ulteriore pacchetto di sanzioni contro Mosca.
L’anno prossimo il regime Zelens’kyj riceverà 18 miliardi di euro per finanziare il suo bilancio e garantire funzioni statali, stipendi, pensioni etc., che si aggiungono ai 20 miliardi di euro ricevuti durante il 2022.
Un articolo del 12 dicembre su Foreign Policy ha rivelato il fatto che i soldi per l’Ucraina vengono prelevati dai fondi stanziati per combattere la fame nel mondo.
«Più di 300 milioni di persone, metà delle quali bambini, hanno un disperato bisogno di aiuto in alcune delle regioni più povere e più colpite dai conflitti del mondo. Ma sembra che abbiano perso la loro priorità dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia», scrive Foreign Policy.
Tra i donatori tradizionali che hanno tagliato gli aiuti esteri per aiutare l’Ucraina ci sono Danimarca, Svezia e Regno Unito.
Secondo quanto riferito, la spesa della Danimarca per gli ucraini è stata deviata dai suoi 50 milioni di corone destinate al Mali e 100 milioni di corone destinate al Bangladesh.
La Svezia ha riallocato oltre 4,5 miliardi di corone svedesi per pagare l’accoglienza dei rifugiati in Svezia.
Il Regno Unito ha ridotto gli aiuti e ne ha speso una grossa fetta per ospitare gli ucraini, e così via.
Come riportato da Renovatio 21, il direttore del Programma alimentare mondiale (PAM) David Beasley ha messo in guardia contro la peggiore crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale in un’intervista al quotidiano francese Le Monde il 14 novembre.
Il Beasley aveva già parlato dell’arrivo imminente di una «carestia di massa» causata dalla situazione internazionale. Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale di un mese fa parlava apertis verbis di ritorno della fame in Africa. Il rapporto annuale ONU sulla fame parlava invece di «2,3 miliardi di persone insicure da un punto vista alimentare», con almeno 20 «hotspot», cioè zone della fame dove urgerebbero aiuti alimentari immediati.
Tuttavia, gli allarmi degli organi transnazionali non fermano l’ucrainomania imperante.
L’ossessione per l’Ucraina, per la quale i governi occidentali impoveriscono e degradano la propria popolazione, non è ancora finita. Tuttavia, diviene sempre più chiaro, a chi non è ebete in maniere irreversibile, cosa è davvero la guerra per Kiev: è un modello di business, dove più a lungo la si tira, e più grande è il pericolo dell’orco russo percepito, e più danaro arriva.
Si tratta di una meccanica classica dell’economia dei signori della guerra, alla quale non è estraneo il complesso militare-industriale americano, per il quale vendere le armi contro i nazisti o ai nazisti no fa nessuna differenza.
Chi è nemico della pace ad un certo punto dovrebbe divenire chiaro a tutti. E tenete presente che costoro, per arricchirsi, tolgono il pane ai bambini affamati. Letteralmente.
Usque tandem?
Immagine di William Murphy via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0); immagine modificata.
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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