Persecuzioni
Fanatici indù vandalizzano santuario musulmano e pregano al suo interno

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Centinaia di membri del nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) e del Vishwa Hindu Parishad (VHP) hanno fatto irruzione nella «maqbara» (tomba) di Nawab Abdus Samad nonostante le barricate della polizia. Secondo i leader estremisti nel luogo sorgeva un tempio indù. L’appello dei vescovi locali alla tolleranza.
Un gruppo di fanatici dell’estrema destra indù ha fatto irruzione in un santuario musulmano nel distretto di Fatehpur, in Uttar Pradesh. Sostenendo che la struttura fosse in realtà un tempio poi demolito dai musulmani, gli aggressori hanno eseguito rituali indù.
L’episodio è avvenuto l’11 agosto. Centinaia di membri del nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) e del Vishwa Hindu Parishad (VHP), guidati dal segretario distrettuale del BJP, Mukhlal Pal, e dall’ex deputato Vikram Singh, hanno fatto irruzione nella «maqbara» (tomba) di Nawab Abdus Samad nonostante le barricate della polizia. Alcuni di loro, con bastoni e pietre, hanno danneggiato due «mazar» (santuari) al suo interno.
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Secondo Pal, si tratterebbe di «un antico tempio, in cui ci sono simboli come il tridente e il fiore di loto». Lo stesso Pal aveva precedentemente esortato i membri della comunità indù a condurre rituali religiosi. Le autorità di polizia hanno schierato un gran numero di agenti per prevenire ulteriori scontri, affermando che non permetteranno a nessuno di cambiare lo status del sito finché non ci sarà un ordine del tribunale o una direttiva della sovrintendenza archeologica indiana.
Mons. Louis Mascarenhas, vescovo di Allahabad, ha raccontato ad AsiaNews: «sul posto, hanno gridato lo slogan “Ayodhya ki taiyyari hai, Kashi Mathura baki hai” (“Ayodhya è un’anteprima, Kashi e Mathura restano”)».
Esprimendo dolore e scoraggiamento anche per gli attacchi a missionari cristiani in Chhattisgarh e Orissa, mons. Mascarenhas ha sottolineato che «stiamo tristemente assistendo a una crescente intolleranza tra le varie comunità. Viviamo tutti come cittadini uguali di una nazione libera».
Sulla stessa linea, mons. Gerald Mathias, vescovo di Lucknow, ha espresso il suo dispiacere: «È così sfortunato e triste che una terra nota per la tolleranza si stia gradualmente ma sicuramente trasformando in una società intollerante». Il vescovo ha denunciato che «i fondamentalisti indù vanno in giro come giustizieri, disturbando le funzioni religiose, vandalizzando i luoghi di culto, minacciando e picchiando i fedeli, danneggiando le proprietà». Ha aggiunto che spesso la polizia «diventa spettatrice muta o collusa con i criminali e arresta persone innocenti senza alcuna prova delle accuse».
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Secondo mons. Mathias, questo comportamento è diventato un «modello» che si ripete e i colpevoli si sentono «incoraggiati a continuare queste attività antisociali e disumane perché non viene intrapresa alcuna azione contro di loro. Anzi, sembrano essere protetti, incoraggiati dall’establishment o sembrano avere un tacito permesso».
Il vescovo ha concluso con un appello: «spero e prego che prevalga il buon senso. Possa la comunità maggioritaria essere veramente gentile, di cuore grande, tollerante e consentire a tutti di avere la vera libertà di seguire la fede che hanno scelto, un diritto fondamentale garantito dalla nostra Costituzione, un diritto umano concesso a ogni essere umano da Dio stesso».
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Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Persecuzioni
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