Politica
E se quello di Draghi fosse un bluff?

Ciascuno di voi in queste ore farà la differenza.
48 ore prima del 15 ottobre – il «G-Day» come lo chiama la stampa filogovernativa – si è venuti a sapere che l’Italia non può sostenere il numero di tamponi che sarebbero richiesti ai 3 milioni di lavoratori non vaccinati per poter lavorare. Un limite fisico dovuto al fatto che le farmacie non possono effettuare più di 2 milioni di tamponi a settimana. E ne servirebbero più di 10 milioni.
A questo inciampo (demenziale) per il governo Draghi-Speranza si è aggiunta la presa di posizione dei lavoratori della logistica, tra cui quella – umanamente epica quanto economicamente sensibile – dei lavoratori portuali di Trieste. Oltretutto, i coordinamenti sindacali che fanno resistenza incominciano a moltiplicarsi, dai militari ai ferrovieri.
I coordinamenti sindacali che fanno resistenza incominciano a moltiplicarsi, dai militari ai ferrovieri
La possibilità concreta che l’opposizione dei lavoratori della logistica e dei trasporti possa paralizzare il Paese è stata ammessa da tutta la stampa nazionale, sebbene a denti stretti e a poche ore dalla data fatidica del 15 ottobre.
Oggi i giornali espongono la posizione del governo: «Draghi tira dritto». I toni simulano una certa sicumera e pretendono di far credere che Draghi avrebbe il controllo della situazione, tenendo il coltello dalla parte del manico. A Draghi basterebbe vincere ignorando le opposizioni, un po’ come ha fatto con la Lega di Salvini, fanno credere i media mainstream.
Ma è davvero così? Draghi sta davvero in una posizione di forza che non può essere intaccata?
La linea dura non sarebbe nient’altro che un bluff
Al contrario, Marcello Sorgi su La Stampa del 15 ottobre sostiene che Draghi stia solo preparando una ritirata strategica. Quindi, da una posizione di reale debolezza, starebbe cercando solo una strategia per non perdere la faccia. La linea dura non sarebbe nient’altro che un bluff.
«A Landini ha detto: “Vedremo”. A Salvini aveva detto: “Vedremo”. Entrambi hanno capito che Draghi ci sta pensando. Al momento resta fermo sulla linea dura. Ma del doman non v’è certezza».
«E poi: chi può credere veramente che la circolare del Ministero dell’Interno che ha autorizzato le aziende dei portuali a pagare i tamponi sia stata diramata senza avvertire Palazzo Chigi? E l’altra circolare, diffusa ieri dal Ministero dei Trasporti, per consentire ai camionisti stranieri non dotati di Green Pass di entrare nei porti, raggiungere le aree di carico e scarico, ma non di scaricare e caricare? Anche in questo caso, difficile convincersi che il premier non ne sapesse nulla».
«Si fa strada un dubbio: e se Draghi volesse solo vedere come va nei primi giorni di green pass obbligatorio e poi a poco a poco allargare i buchi che già stanno aprendosi nella rete?»
«Si fa strada un dubbio: e se Draghi volesse solo vedere come va nei primi giorni di green pass obbligatorio e poi a poco a poco allargare i buchi che già stanno aprendosi nella rete?»
A supporto della tesi di Sorgi, osserviamo che nessun giocatore nella posizione di Draghi – con le elezioni del Quirinale dietro l’angolo – rischierebbe di schiantarsi.
Pertanto, se anche ci fosse per Draghi una vaga possibilità di perdere il controllo del Paese, comunque non sarebbe in alcun modo razionale assumersi il rischio.
Di certo Draghi starà cercando di capire quanta resistenza effettiva incontra nel Paese; si prenderà altre 48 ore e attenderà rapporti di prefetture e servizi di intelligence per calcolare i danni.
E se anche il governo Draghi-Speranza vedrà che ci sono dei danni di sistema di medio-bassa entità, non correrà il rischio di escalation, né il rischio che si propaghino.
Diventerà allora obbligata la ritirata strategica, ritirata che potrebbe già essere in corso. Per questo ciascuno di noi nelle ore presenti e nei prossimi giorni, farà la differenza.
Il nemico ci osserva.
Gian Battista Airaghi
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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