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Geopolitica
Dissidenti cinesi, esiliati uiguri e attivisti di Hong Kong tutti pazzi per Trump
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
Sono fiduciosi che l’attuale presidente Usa manterrà una linea dura nei confronti della Cina. Altri sostengono che le sue posizioni spesso anti-democratiche favoriscano l’ascesa di Pechino. Solo pochi Paesi al mondo parteggiano per Trump. Ex ambasciatore Usa in Cina: La leadership cinese vuole Biden.
Dissidenti cinesi all’estero, uiguri dello Xinjiang in esilio e attivisti pro-democrazia di Hong Kong in larga parte si augurano una vittoria di Donald Trump nelle presidenziali Usa del 3 novembre. Lo rivela una recente indagine di Le Monde.
Dissidenti cinesi all’estero, uiguri dello Xinjiang in esilio e attivisti pro-democrazia di Hong Kong in larga parte si augurano una vittoria di Donald Trump nelle presidenziali Usa del 3 novembre
Joseph Cheng, politologo della City University di Hong Kong e attivista democratico, spiega al giornale francese che i cinesi fuggiti in altri Paesi sono fiduciosi che l’attuale presidente degli Stati Uniti manterrà una linea dura nei confronti della Cina. Essi vedono Joe Biden, lo sfidante democratico, come un leader debole e troppo ansioso di negoziare con Pechino. Per Cheng, questa visione trascura il consenso trasversale che ormai godono le politiche anti-Cina a Washington.
In un editoriale del 25 ottobre, pubblicato sull’Apple Daily, il quotidiano di Hong Kong da lui fondato, anche Jimmy Lai si è schierato in modo aperto con Trump. Secondo il magnate, perseguitato dalle autorità per le sue campagne a favore del movimento pro-democrazia, l’attuale inquilino della Casa Bianca è uno statista che vuole «cambiare il modo di comportarsi della Cina»: al contrario, Biden sarebbe un politico che vuole trovare un compromesso.
Kayum Masimov, attivista dell’Uyghur Rights Advocacy Project di Ottawa, nota che gli uiguri appoggiano Trump nonostante egli abbia mostrato spesso posizioni anti-musulmane. Masimov spiega che per la minoranza turcofona, repressa nello Xinjiang per la sua fede islamica, la Cina è uno Stato “mafioso” gestito da gangster che conoscono solo il linguaggio della forza.
Alcuni fuoriusciti cinesi, come l’avvocato e attivista Teng Biao, ritengono però che ci sia un «malinteso». Trump, egli dice, non ha «alcun interesse per i diritti umani o per la democratizzazione della Cina». Al contrario, minacciando la democrazia, e mettendo in pericolo la Costituzione del proprio Paese, il presidente Usa nega i valori universali e offre così un dono inestimabile alle dittature.
Solo pochi Paesi al mondo parteggiano per Trump: uno di questi è Taiwan. Secondo una ricerca pubblicata il 27 ottobre dalla Taiwan Public Opinion Foundation, il 53% degli intervistati rivuole il tycoon alla presidenza: solo il 31,5% spera in una vittoria di Biden.
Sebbene Pechino pensi che l’amministrazione Trump abbia indebolito il ruolo internazionale di Washington, la sua imprevedibilità – osserva Baucus – porta i leader cinesi a preferire Biden: la stessa conclusione a cui è giunto di recente il National Counterintelligence and Security Center (l’anti-spionaggio Usa)
Nel resto della regione Asia-Pacifico prevale invece un sentimento anti-Trump. Un sondaggio condotto a metà ottobre da YouGov in otto Paesi della regione ha confermato la predilezione dei taiwanesi per «The Donald» (42% a favore e 30% contrari), ma ha evidenziato anche l’opposizione della popolazione di Hong Kong, Filippine, Thailandia, Australia, Malaysia, Indonesia e Singapore.
Citato dal South China Morning Post, Max Baucus, ambasciatore Usa a Pechino dal 2014 al 2017, sostiene che la leadership cinese è divisa su quale sarebbe il miglior esito delle presidenziali negli Stati Uniti. Sebbene Pechino pensi che l’amministrazione Trump abbia indebolito il ruolo internazionale di Washington, la sua imprevedibilità – osserva Baucus – porta i leader cinesi a preferire Biden: la stessa conclusione a cui è giunto di recente il National Counterintelligence and Security Center (l’anti-spionaggio Usa).
Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.
Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.
«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.
Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.
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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.
All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.
La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.
Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.
Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.
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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
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Geopolitica
Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.
Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.
Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)
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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.
Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».
«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».
Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».
Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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