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Geopolitica

Così gli Stati Uniti hanno armato l’Emirato Islamico d’Afghanistan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21

 

 

Rovesciando la Repubblica Islamica d’Afghanistan, l’Emirato Islamico che l’ha sostituita si è impossessato di parecchie centinaia di migliaia di armi, di migliaia di blindati e di Humvees, nonché di quattro elicotteri Black Hawks.

 

Non si sa cosa ne sarà dei 200 aerei da combattimento che non hanno lasciato il suolo afghano.

 

Alcuni senatori repubblicani hanno chiesto al Pentagono di stendere un elenco del materiale bellico sequestrato dai talebani, si tratti di armi USA o di armi regalate dagli USA alla Repubblica Islamica.

 

Sono fatti che ricordano la progressione di Daesh in Iraq nel 2014.

 

All’epoca gli jihadisti avevano a disposizione migliaia di veicoli nuovi e identici, usciti direttamente dalla fabbrica Toyota in Giordania.

 

Attraversarono a gran velocità l’Iraq. Ufficiali iracheni si unirono immediatamente agli jihadisti, dopo essersi impadroniti delle scorte di armi statunitensi appena consegnate all’esercito iracheno. La maggior parte erano ancora imballate.

 

Gli jihadisti ebbero così a disposizione un formidabile esercito da usare contro l’Iraq, ma soprattutto contro la Siria. Alcuni di questi ufficiali ora vivono negli Stati Uniti, segno che nel 2014 lavoravano già per gli americani.

 

La CIA usa sempre gli stessi metodi per aggirare la legge.

 

Nessuno si chiede come mai Daesh e i talebani abbiano combattenti addestrati a guidare carrarmati; ora però non si tratta di consegnare mezzi bellici terrestri, ma mezzi aerei. Già alla guida degli elicotteri Black Hawks ci sono, come per magia, piloti addestrati. Cosa ne sarà dell’aviazione afghana?

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

Immagine di MilitaryPhotos via DeviantArt pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

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Geopolitica

Maduro ha offerto ampie concessioni economiche agli Stati Uniti

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Il Venezuela ha proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Lo riporta il New York Times, citando fonti anonime.

 

Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.

 

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi al largo delle coste venezuelane contro quelle che hanno definito «imbarcazioni della droga», causando oltre venti morti e rafforzando la propria presenza militare nella regione. Funzionari americani hanno accusato Maduro di legami con reti di narcotraffico, accusa che il presidente venezuelano ha respinto.

 

Caracas ha accusato Washington di perseguire un cambio di regime, un’intenzione smentita dai funzionari statunitensi.

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Secondo fonti anonime di funzionari americani e venezuelani riportate dal NYT, dietro le tensioni pubbliche, Caracas avrebbe presentato un’ampia proposta diplomatica. Questa includeva l’apertura di tutti i progetti petroliferi e auriferi, attuali e futuri, alle aziende americane, l’offerta di contratti preferenziali per le imprese statunitensi, il reindirizzamento delle esportazioni di petrolio dalla Cina agli Stati Uniti e la riduzione degli accordi energetici e minerari con aziende cinesi, iraniane e russe.

 

I colloqui, condotti per mesi tra i principali collaboratori di Maduro e l’inviato statunitense Richard Grenell, miravano a ridurre le tensioni, secondo l’articolo. Sebbene siano stati fatti progressi in ambito economico, le due parti non sono riuscite a trovare un accordo sul futuro politico di Maduro, si legge nel rapporto.

 

Secondo il NYT, il Segretario di Stato americano Marco Rubio sarebbe stato il principale sostenitore della linea dura dell’amministrazione Trump per rimuovere Maduro. Si dice che Rubio sia scettico sull’approccio diplomatico di Grenell e abbia spinto per una posizione più rigida contro Caracas.

 

Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Immagine di Confidencial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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Geopolitica

Haaretz: Israele sarà indifendibile se violeremo questo piano di pace

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L’editoriale principale del quotidiano israeliano Haaretz, pubblicato il 10 e l’11 ottobre, lancia un severo monito agli israeliani attratti dai piani del primo ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi sostenitori estremisti per ostacolare gli accordi di pace negoziati.   «Se Israele fosse così sprovveduto da liberare gli ostaggi e poi trovare un pretesto banale per riprendere i combattimenti, consolidando la sua nuova immagine di Stato guerrafondaio che viola ripetutamente gli accordi, le proteste che hanno scosso l’Europa per la reazione di Israele alla flottiglia per Gaza si intensificheranno con una forza doppia e saranno inarrestabili».   L’editoriale, scritto dall’editorialista Carolina Landsmann, ribadisce: «se Israele riprendesse i combattimenti dopo aver recuperato tutti gli ostaggi, compirebbe un autentico suicidio diplomatico. Difendere il Paese diventerebbe impossibile. Nemmeno Trump potrebbe riuscirci».   L’editoriale è stato innescato dalle dichiarazioni del giornalista israeliano Amit Segal, trasmesse sul Canale 12 israeliano, secondo cui «non esiste una fase due, questo è chiaro a tutti, no?». Segal ha escluso qualsiasi soluzione che richiami gli accordi di Oslo, vantandosi che, una volta liberati gli ostaggi, Israele riprenderà a combattere,.   La Landsmann ha replicato che questo gioco è finito: «Il mondo ha compreso la realtà meglio di Israele», e persino i sostenitori di Trump «sono stanchi» di vedere i contribuenti americani finanziare le guerre di Israele. L’editorialista ha riportato le parole di Trump a Netanyahu: «Israele non può combattere contro il mondo, Bibi; non può combattere contro il mondo».  

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  Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
 
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Geopolitica

Il Cremlino dice di essere pronto per un accordo sull’Ucraina

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Mosca rimane aperta a una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina, ma le ostilità proseguiranno finché Kiev continuerà a ostacolare i negoziati, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.

 

Rispondendo al presidente francese Emmanuel Macron, che di recente ha scritto in un post su X che la Russia «dovrà pagare il prezzo» se si rifiutasse di dimostrare disponibilità a negoziare, Peskov, parlando ai giornalisti lunedì, ha sottolineato che Mosca ha sempre favorito una soluzione diplomatica alla crisi. Tuttavia, ha notato che Kiev, sostenuta dai suoi alleati occidentali, continua a respingere tutte le proposte russe.

 

«La Russia è pronta per una soluzione pacifica», ha affermato Peskov, evidenziando che la campagna militare di Mosca continua «a causa della mancanza di alternative». Ha aggiunto che la Russia raggiungerà infine i suoi obiettivi dichiarati, salvaguardando i propri interessi di sicurezza nazionale.

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Le sue dichiarazioni arrivano in vista dell’incontro previsto per venerdì a Washington tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.

 

Peskov ha espresso apprezzamento per gli sforzi diplomatici di Trump volti a risolvere pacificamente il conflitto, auspicando che «l’influenza degli Stati Uniti e le capacità diplomatiche degli inviati del presidente Trump contribuiscano a incoraggiare la parte ucraina a essere più proattiva e preparata al processo di pace».

 

La Russia ha ripetutamente ribadito la propria disponibilità a colloqui di pace con l’Ucraina. Le due parti erano vicine a un accordo a Istanbul all’inizio del 2022, ma, secondo Mosca, Kiev si è ritirata dopo che i suoi sostenitori occidentali l’hanno spinta a continuare il conflitto.

 

Da allora, i funzionari russi hanno sostenuto che né Kiev né i suoi alleati europei sono genuinamente interessati a porre fine alle ostilità, accusandoli di ostacolare i negoziati con condizioni mutevoli e ignorando le proposte russe.

 

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Immagine di A.Savin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic1.0 Generic

 

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