Sorveglianza
Corte UE: la polizia può accedere ai dati dei telefoni cellulari per reati minori
La Corte di giustizia europea (CGUE) ha stabilito che la polizia può accedere ai dati dei telefoni cellulari in relazione a reati minori e reati gravi. Lo riporta il sito European Conservative.
La sentenza, pubblicata venerdì 4 ottobre, afferma che sebbene l’accesso della polizia ai dati personali memorizzati su un telefono cellulare «possa costituire un’interferenza grave, o addirittura particolarmente grave, con i diritti fondamentali» del proprietario del telefono, l’accesso «non dovrebbe necessariamente» essere «limitato alla lotta contro i reati gravi».
#ECJ: Access by the police to #PersonalData contained in a mobile telephone is not necessarily limited to the fight against serious crime 👉 https://t.co/ATb3CgbPxg
— EU Court of Justice (@EUCourtPress) October 4, 2024
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La sentenza prosegue affermando che la polizia, salvo casi urgenti, potrà raccogliere le informazioni memorizzate su un telefono cellulare solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione da un tribunale o da un’autorità indipendente, e il proprietario del telefono deve essere informato dei motivi dell’indagine.
La sentenza deriva da un caso in Austria. La polizia austriaca aveva sequestrato il telefono cellulare del destinatario di un pacco contenente 85 grammi di cannabis. La polizia ha tentato di raccogliere dati dal telefono, ma non aveva l’autorizzazione della procura o di un tribunale e non ha informato il sospettato, che aveva contestato il sequestro del suo telefono in un tribunale austriaco e solo durante quel procedimento è venuta a conoscenza dei tentativi di sbloccare il suo telefono.
La corte austriaca si è rivolta alla Corte di Giustizia Europea per stabilire se le azioni intraprese dalla polizia fossero compatibili con il diritto dell’UE. Il tribunale austriaco ha osservato che il suddetto crimine costituisce solo un reato minore, punibile con una pena detentiva massima di un anno.
La CGUE ha sottolineato che «l’accesso a tutti i dati contenuti in un telefono cellulare può costituire un’ingerenza grave, o addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali dell’interessato», tuttavia, «considerare che solo la lotta contro la criminalità grave» possa giustificare l’accesso ai dati «limiterebbe indebitamente i poteri di indagine delle autorità competenti».
La Corte Europea conclude affermando che i parlamenti e i tribunali nazionali devono «trovare un giusto equilibrio» tra, da un lato, le «esigenze dell’indagine nel contesto della lotta alla criminalità» e, dall’altro, «i diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali».
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«La sentenza della CGUE potrebbe avere conseguenze di vasta portata e incoraggiare le autorità nazionali degli stati membri dell’UE ad accedere alle informazioni personali dei loro cittadini» scrive The European Conservative. «Verdetti come questi non fanno altro che rafforzare la convinzione che l’UE stia invadendo i diritti delle persone».
In passato, molto clamore hanno sollevato i casi negli USA di indagini in cui aziende tecnologiche hanno rifiutato di aiutare gli inquirenti dando accesso ai telefoni: è il caso del massacro di San Bernardino, California, nel 2016.
Secondo Renovatio 21, si trattava, anche allora, di pura simulazione: crackare un iPhone per averne l’accesso era già al tempo operazione alla portata di molti informatici. Le aziende, tuttavia, proiettavano così all’esterno la loro attenzione per la privacy dell’utente, anche in casi estremi.
Quel tempo è finito: dopo la pandemia, la società è diventata prona ad imposizioni autoritarie che distruggono i diritti individuali, anche se espressi chiaramente nella Costituzione.
Ad ogni modo, la quantità di spyware circolante – compresi i cosiddetti trojan di Stato, il cui uso presso le procure è stato esteso dal ministro Bonafede del governo Conte bis durante i primi giorni della pandemia 2020 – nessuno smartphone può dirsi sicuro nei confronti dello Stato, e non solo di esso.
Come riportato da Renovatio 21, un anno fa durante la rivolta etnica delle banlieue la Francia aveva approvato una legge per spiare i cittadini accedendo da remoto a telefonini ed altri dispositivi.
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Il nuovo presidente della Bolivia vuole la blockchain per combattere la corruzione
Il presidente eletto della Bolivia, Rodrigo Paz, punta a combattere la corruzione nel governo boliviano attraverso la tecnologia blockchain.
Paz ha sconfitto il rivale Jorge Quiroga con il 54,5% dei voti contro il 45,5% e assumerà la carica l’8 novembre. Con un messaggio centrista e favorevole al mercato, Paz ha vinto il ballottaggio di domenica, ereditando un’economia provata dalla carenza di carburante e dalla limitata disponibilità di dollari statunitensi, come riportato dall’AP. Per gli esperti del settore delle criptovalute, il programma di governo di Paz include due proposte specifiche legate alle risorse digitali e alla blockchain.
La prima proposta prevede l’uso della blockchain e degli smart contract negli appalti pubblici. Il programma ufficiale del Partido Demócrata Cristiano de Bolivia per il 2025 promette l’adozione di tecnologie blockchain e contratti intelligenti per eliminare la discrezionalità negli acquisti statali, con l’obiettivo di ridurre la corruzione automatizzando alcuni processi contrattuali.
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La seconda iniziativa consente ai cittadini di dichiarare le criptovalute in un nuovo fondo di stabilizzazione valutaria, sostenuto da un programma di regolarizzazione delle attività che include esplicitamente le criptovalute. Secondo il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, tali fondi servono a stabilizzare la valuta e a coprire importazioni essenziali in caso di scarsità di dollari. L’inclusione delle criptovalute permette al governo di tassarle o convertirle rapidamente in valuta forte, senza detenere token volatili.
Paz adotta un approccio pragmatico alle criptovalute, senza essere un sostenitore estremo del Bitcoin. La sua piattaforma considera la blockchain uno strumento anticorruzione e le criptovalute dichiarate come parte di un’iniziativa una tantum per capitalizzare un fondo di stabilizzazione valutaria. Non ci sono indicazioni di politiche per adottare il Bitcoin a livello nazionale, conservarlo nelle riserve o legalizzarne l’uso al dettaglio.
A giugno 2024, la Banca Centrale della Bolivia ha revocato il divieto sulle transazioni in criptovalute, autorizzando canali elettronici regolamentati e segnalando una modernizzazione dei pagamenti, scrive Cointelegraph. Nei mesi successivi, il volume medio mensile di scambi di asset digitali è raddoppiato rispetto alla media dei 18 mesi precedenti, secondo la banca.
Il cambiamento si è riflesso nell’economia reale. A ottobre 2024, Banco Bisa ha introdotto la custodia di USDT per le istituzioni, un primato tra le banche boliviane. A marzo, la compagnia petrolifera statale YPFB ha esplorato l’uso di criptovalute per le importazioni di energia, in un contesto di carenza di dollari. A settembre, i distributori locali di marchi automobilistici come Toyota, Yamaha e BYD hanno iniziato ad accettare USDT, segno di una crescente sperimentazione tra i commercianti.
Il 31 luglio, la banca centrale ha firmato un memorandum con El Salvador, definendo le criptovalute un’«alternativa valida e affidabile» alla valuta fiat e impegnandosi a collaborare su strumenti politici e di intelligence per modernizzare i pagamenti e promuovere l’inclusione finanziaria.
La banca ha riportato che i volumi mensili di scambio di criptovalute hanno raggiunto i 46,8 milioni di dollari al mese, con un totale di 294 milioni di dollari da inizio anno al 30 giugno.
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Immagine di Parallelepiped09 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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