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Cinque segreti contenuti nei documenti trapelati dal Pentagono

La «gola profonda» dei documenti trapelati dal Pentagono parrebbe essere stato catturato: si tratta di un 21enne militare in forza all’Aviazione USA, Jack Texeira.
Si tratta di oltre 100 pagine fotografate di documenti datati tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo ed etichettati come «Segreto», «Top Secret» e «NOFORN» (non per la visione da parte di cittadini stranieri) relativi alla guerra per procura NATO-Russia in corso in Ucraina
Il ragazzo, che aveva condiviso i documenti sui server di Discord – un servizio popolare tra amanti di videogiuochi e di altre sottoculture –, è stato preso forse con metodi di sorveglianza illegale. E pare pure che la cattura abbia avuto anche l’aiuto del Washington Post e del New York Times.
The FBI has arrested a suspect in the Pentagon leak, according to Fox News.
Earlier, a Pentagon spokesman said the United States had concluded that the leak of classified documents was intentional. pic.twitter.com/rZkkPlXfbr
— Spriter (@Spriter99880) April 13, 2023
Un tempo i giornali parteggiavano per gli informatori (come Daniel Ellsberg, che trafugando i famosi Pentagon Papers rese noto al pubblico americano che, differentemente da quel che dicevano i politici, gli USA non stavano vincendo la guerra in Vietnam), ora invece sono complici della repressione del potere sulla libera informazione e sulla trasparenza.
Quali sono i contenuti principali dei documenti? Proviamo ad elencarne cinque.
1) Carenze ucraine, corruzione, armi
Una pagina segnata come «Top Secret» di febbraio evidenzia apparenti gravi «carenze di generazione e mantenimento della forza» all’interno delle forze armate ucraine e avverte che Kiev sarebbe in grado di garantire solo «modesti guadagni territoriali» se decidesse di lanciare la tanto annunciata offensiva di primavera.
La valutazione è significativa perché evidenzia il contrasto tra la cupa valutazione interna del Pentagono e il sentimento entusiasta, tutto è fantastico espresso dai funzionari di Washington e Bruxelles, e dal discorso sfacciato del presidente Joe Biden sulle impressionanti capacità di Kiev di condurre operazioni offensive su larga scala con il sostegno degli Stati Uniti.
I documenti sollevano anche interrogativi su dove siano finite le decine di miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza degli Stati Uniti e della NATO a Kiev, date le crescenti preoccupazioni per le armi occidentali inviate in Ucraina che in qualche modo spuntano nelle mani di bande europee e ribelli africani e mediorientali e gruppi terroristici, mentre il valore in dollari delle forniture di armi all’Ucraina si avvicina all’equivalente dell’intero budget annuale della Russia per la difesa.
2) Attacchi fin dentro alla Russia
Un documento, anch’esso risalente a febbraio, evidenzia la raccomandazione del presidente Volodymyr Zelens’kyj che le forze ucraine effettuino attacchi di droni in massa contro «luoghi di schieramento russi nell’oblast’ di Rostov in Russia» e si lamenta che Kiev non abbia le necessarie capacità missilistiche a lungo raggio per tali colpi.
Questa informazione è significativa perché evidenzia l’apparente disperazione e prontezza del presidente Zelens’kyj all’escalation, attaccando direttamente la Russia nonostante gli avvertimenti di alcuni dei suoi finanziatori della NATO che così facendo potrebbero togliere il loro sostegno a Kiev.
3) 6 soldati ucraini uccisi per ogni russo ammazzato
I documenti sfidano la granitica narrativa del Pentagono e dell’esercito ucraino (poi propalata dai media mainstream) sulle vittime del conflitto. Un documento classificato «Top Secret» chiamato «Stato del Conflitto il 1° marzo 2023» stima che le perdite totali russe potrebbero essere fino a 16.000-17.500 uccise in azione e 61.000-71.500 da parte ucraina. Per ogni russo ucciso ci sarebbero almeno 6 morti ucraini.
Vi è quindi un abisso dalla valutazione del presidente del Joint Chiefs Mark Milley a novembre, che stimava «ben oltre» 100.000 soldati russi morti, così come le cifre del «personale eliminato» di 180.050 (cioè quasi corrispondenti alle 190.000 truppe in totale che l’Intelligence occidentale stimava fossero vicino al Donbass nel febbraio 2022 prima dell’escalation della crisi).
Funzionari ucraini e media occidentali hanno cercato di minimizzare le cifre del documento, accusando la Russia di «falsificare» le statistiche e assicurando che le vittime russe siano molto più alte e quelle ucraine molto più basse. Ovunque stia la verità, tali rivelazioni minano la fiducia nell’esercito ucraino, sostenuto ed equipaggiato dalla NATO.
4) La NATO è presente fisicamente su suolo ucraino con truppe delle forze speciali
Un’altra rivelazione chiave riguarda l’entità del coinvolgimento della NATO. Mentre i funzionari dell’alleanza hanno costantemente assicurato che nessuna forza occidentale è sul campo a combattere contro la Russia, un documento «Top Secret» datato 23 marzo indica che quasi una mezza dozzina di potenze della NATO hanno effettivamente «stivali a terra» nella forma delle truppe delle forze speciali.
Questi includono Gran Bretagna (50 soldati), Lettonia (17), Francia (15), Stati Uniti (14) e Paesi Bassi (1). Non è chiaro cosa stiano facendo esattamente queste forze in territorio ucraino, il documento non lo dice.
Apparentemente rendendosi conto delle gravi implicazioni di queste informazioni, il ministero della Difesa britannico ha respinto in toto i documenti trapelati, assicurando in un tweet martedì che «la fuga di notizie ampiamente segnalata di presunte informazioni classificate statunitensi ha dimostrato un grave livello di inesattezza» e che «i lettori dovrebbero essere cauti nel prendere per oro colato accuse che hanno il potenziale per diffondere disinformazione».
In response to the leak of alleged classified US information: pic.twitter.com/WWFLOhbeeU
— Ministry of Defence ???????? (@DefenceHQ) April 11, 2023
5) Difesa antiarea finita
Altre rivelazioni emerse riguardano lo Stato delle difese aeree dell’Ucraina. Una valutazione del Pentagono datata 28 febbraio prevedeva che le scorte di Kiev di sistemi missilistici Buk e S-300 di fabbricazione sovietica, che costituiscono quasi il 90% delle difese aeree del paese, sarebbero state «completamente esaurite» entro metà aprile e 3 maggio, rispettivamente. Una seconda diapositiva di una valutazione del 23 febbraio prevede che la protezione in prima linea delle forze ucraine sarà «completamente ridotta» entro il 23 maggio.
Ciò potrebbe confermare il fatto che «gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno finendo il tempo per rafforzare la protezione della difesa aerea del loro cliente prima che la Russia ottenga una superiorità aerea totale simile a quella di cui godeva la sua Air Force nell’operazione antiterrorismo in Siria, o il tipo che hanno tipicamente gli Stati Uniti e i loro alleati quando decidono di bombardare un Paese del Terzo Mondo», scrive la testata russa Sputnik.
Gli Stati Uniti avevano promesso di fornire all’Ucraina il loro sistema missilistico Patriot e di aumentare le consegne di altre armi antiaeree, ma gli osservatori hanno espresso preoccupazione per la capacità del complesso militare-industriale statunitense di aumentare la produzione abbastanza rapidamente e si sono chiesti se Washington sarà disposta a inviare ulteriore sofisticato hardware di difesa aerea in una zona di conflitto in cui le perdite significherebbero un colpo significativo per i produttori di armi statunitensi qualora l’equipaggiamento andasse perso.
La presenza di truppe NATO in Ucraina conferma le affermazioni di lunga data fatte da alti funzionari russi, tra cui il presidente Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, secondo cui gli Stati Uniti e i loro alleati stanno conducendo una «guerra totale» contro la Russia .
Inoltre, la situazione potrebbe fungere da pericoloso apripista per un futuro di guerre per procura. Come reagirebbero, ad esempio, gli Stati Uniti se la Russia o la Cina dispiegassero truppe delle forze speciali per combattere le forze della NATO in Iraq, Afghanistan, Libia o Jugoslavia?
Non c’è tuttavia conferma del fatto che i documenti siano autentici, e che non si tratti invece – come dicono alcuni analisti – di una grande operazione di inganno per confondere i comandi russi riguardo ai veri obiettivi di una controffensiva ucraina in arrivo.
«Non abbiamo una posizione», ha detto a Sputnik il viceministro degli Esteri Sergej Rjabkov quando gli è stato chiesto delle fughe di notizie. «Forse è una falsa, deliberata disinformazione».
Rjabkov ha spiegato che dal momento che Washington è una parte chiave nel conflitto ucraino e sta conducendo una guerra ibrida contro la Russia, i documenti potrebbero essere uno stratagemma per fuorviare la parte russa. «Non sto confermando nulla, ma capisco che qui sono possibili vari scenari».
In America alcuni invece sostengono che la colossale fuga di notizie potrebbe essere un tentativo da parte di «dissidenti» e «realisti» all’interno dell’establishment dello Stato di sicurezza statunitense di fornire a Washington una necessaria via di uscita dal conflitto in continua escalation, prima che si trasformi in una guerra mondiale.
Immagine di mariordo59 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
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Il Congresso USA pubblica la prima serie di file su Epstein

La Commissione per la vigilanza e la riforma del governo della Camera USA ha pubblicato più di 33.000 pagine di documenti relativi al finanziere caduto in disgrazia e condannato per reati sessuali Jeffrey Epstein.
Martedì sera la commissione del Congresso degli Stati Uniti ha pubblicato sul suo sito web un link alle 33.295 pagine.
Il presidente James Comer ha citato in giudizio il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti il mese scorso, dopo che un’indagine del Dipartimento di Giustizia e dell’FBI aveva concluso che Epstein non aveva tenuto alcuna «lista dei clienti». La rivelazione ha spinto i Democratici e alcuni Repubblicani ad accusare il Presidente Donald Trump di insabbiamento.
Parlando ai giornalisti martedì, Comer ha promesso la massima trasparenza e si è impegnato a pubblicare il resto dei documenti il prima possibile. «Continueremo a seguire i fatti e a chiedere giustizia per questi sopravvissuti», ha dichiarato il Comitato di Vigilanza.
There must be maximum transparency about the horrific crimes committed by Epstein and Maxwell.
We will continue to follow the facts and seek justice for these survivors. pic.twitter.com/qNYXYMgl3p
— Oversight Committee (@GOPoversight) September 2, 2025
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Il giornalista Nick Sortor, tuttavia, ha sottolineato che ogni file è formattato come un’immagine individuale, il che rende «molto difficile la consultazione da parte del pubblico». La scelta potrebbe essere dettata o da incompetenza o dalla volontà di rendere difficile la ricerca.
Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione Trump sembra aver tentato di sviare l’attenzione dal caso, con il presidente a dire che «solo gli stupidi si interessano dei file di Epstein». Il presidente aveva pure detto che l’amministrazione mai pubblicherà i video. In seguito alla rivolta dei suoi sostenitori, Trump, che nega l’insabbiamento, aveva ordinato la pubblicazione delle trascrizioni riguardante Epstein.
Si tratta di una grande giravolta – un tradimento – rispetto a quanto promesso in campagna elettorale. Si ritiene che, nel frattempo, sia successo qualcosa: forse qualcuno ha disegnato un particolare al presidente.
Secondo Tucker Carlson l’Intelligence starebbe proteggendo, più che Trump, il network di potere attorno a Epstein. Alcuni speculano sul fatto che la verità sul caso del magnate pedofilo potrebbe in realtà compromettere per sempre i rapporti con lo Stato di Israele, di cui Epstein è accusato di essere una spia.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; modificata
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Il presidente del Portogallo afferma che Trump è un «asset russo»

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Ci chiediamo ora come saranno i prossimi incontri, che, da qui alla scadenza del secondo mandato del presidente portoghese (2026) potrebbero essere inevitabili. Questo è lo stato in cui versano i vertici europei. Russofobia furiosa, forsennata al punto da compromettere i rapporti non solo con Mosca, ma con gli stessi USA. Ciò risulta incredibile solo per chi non ha capito il disegno in atto, e la mediocrità assoluta, malvagia della classe politica continentale.Today, it was my great honor to welcome President Marcelo Rebelo de Sousa of Portugal to the @WhiteHouse!🇺🇸🇵🇹 pic.twitter.com/yd37K4Ei8R
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 27, 2018
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L’FBI fa irruzione nella casa di Bolton. È iniziata la purga dello Stato profondo?

La scorsa settimana l’FBI ha fatto irruzione nell’abitazione e nell’ufficio di John Bolton, ben noto falco della politica estera ed ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Il New York Post, che per primo ha diffuso la notizia, ha affermato che le perquisizioni fanno parte di un’indagine di alto profilo sulla gestione di documenti classificati. Il sospetto, o meglio, la speranza, che abbiamo, è che si tratti dell’inizio di una grande purga del sistema americano che colpisca lo Stato profondo di Washington.
Il Bolton è noto per aver sostenuto il cambio di regime come strumento di politica estera degli Stati Uniti, ammettendolo perfino pubblicamente: il golpe internazionale come vanto politico, una fase di sfrontatezza (hybris, per i greci; chuzpah, per gli ebrei) mai veduta prima negli apparati esteri statunitensi.
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L’uomo aveva servito Trump per 18 mesi durante il suo primo mandato, prima di essere licenziato nel settembre 2019. Trump in seguito lo ha definito un «pazzo», un «perdente» e una «persona molto stupida», e ha descritto la sua assunzione come uno dei suoi «più grandi errori», accusandolo di recente di voler sabotare i colloqui con Putin. In passato The Donald aveva pure rivelato di averlo dapprima voluto nella squadra come elemento negoziale: le controparti geopolitiche, dice, vedevano Bolton dietro al presidente e si impaurivano sapendo quanto fosse furiosamente incline alla guerra.
Due anni fa il Boltone aveva sostenuto, lanciando l’allarme, che Trump avrebbe lasciato la NATO qualora rieletto. Bolton negli annisi è spesso scontrato con Trump sulla politica estera. Nel suo primo giorno di ritorno in carica quest’anno, Trump ha revocato le autorizzazioni di sicurezza a oltre 40 ex funzionari dell’Intelligence, tra cui Bolton, e gli ha tolto la scorta.
Il baffuto neocon lasciò l’amministrazione Trump dopo che il presidente richiamò un attacco aereo praticamente già in corso contro l’Iran, come ritorsione per aver colpito un drone americano. È stato riportato che i bombardieri erano a dieci minuti dall’obiettivo furono cancellati da un ordine perentorio di Trump, che si era convinto a fermare l’attacco – che sarebbe costato alcune morti – dopo una telefonata con Tucker Carlson.
Ora Trump – che ricordiamo, subì un raid dell’FBI nella sua magione di expresidente a Mar-a-Lago, anche questa cosa inedita nella storia americana, a cui seguirono incursioni domestiche del Bureau per almeno 35 suoi collaboratori – afferma di non sapere nulla dei raid e di averne appreso la notizia solo dai notiziari televisivi.
Secondo quanto riportato, gli agenti dell’FBI hanno perquisito la casa di Bolton a Bethesda, nel Maryland, e il suo ufficio a Washington, DC, venerdì mattina presto. I filmati circolati online mostrano gli agenti in quello che sembra essere il suo giardino e fuori dal suo ufficio, mentre caricavano oggetti sui veicoli. Bolton sarebbe stato visto nell’atrio del suo ufficio mentre parlava con due individui che indossavano giubbotti antiproiettile dell’FBI.
L’indagine si concentrerebbe sulla possibilità che Bolton possieda ancora documenti classificati risalenti al suo mandato, in particolare quelli legati alle sue memorie del 2020, The Room Where It Happened. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) sotto Trump ha cercato di bloccare la pubblicazione del libro, sostenendo che contenesse materiale secretato. Un giudice federale alla fine ne ha autorizzato la pubblicazione e il dipartimento di Giustizia di Biden ha archiviato sia il caso penale che quello civile nel giugno 2021.
Secondo quanto riportato, Bolton non è stato arrestato né è stato ancora incriminato; né il suo portavoce né la Casa Bianca avrebbero rilasciato dichiarazioni in merito.
Sebbene il Dipartimento di Giustizia non abbia rilasciato una dichiarazione ufficiale, il Procuratore Generale Pam Bondi ha pubblicato su X venerdì mattina: «La sicurezza dell’America non è negoziabile. La giustizia sarà perseguita. Sempre». La Bondi stava rispondendo al messaggio criptico del Direttore dell’FBI Kash Patel: «NESSUNO è al di sopra della legge… @agenti dell’FBI in missione». Anche il Vicedirettore dell’FBI Dan Bongino ha ripubblicato il commento di Patel, aggiungendo: «La corruzione pubblica non sarà tollerata». Patel aveva precedentemente elencato Bolton come parte del «Deep State» statunitense nel suo libro del 2023.
Non è chiaro cosa possa succedere: magari si tratta di una bolla di sapone, una miccetta fatta esplodere a caso – dai Bondi, Patel e Bongino, dopo il fiasco delle mancate rivelazioni di Epstein, è lecito a questo punto aspettarselo.
Tuttavia non è nemmeno sbagliato pensare al fatto che sia in arrivo una grande purga contro i neocon e il Deep State. Azzardiamo: non è escluso che si tratti di una condizione, o di un’offerta, trattata a porte chiuse nell’incontro tra Trump e Putin in Alaska.
Chi segue Putin sa quanto il presidente russo tema quella che, con gentilezza, chiama la «burocrazia» americana. Nella densa intervista a Oliver Stone di anni fa ne aveva parlato quando, sorpreso per la vittoria di Trump nel 2016, sembrò dire che i presidenti cambiano (di fatto, lui ne ha visti già cinque) ma la «burocrazia» (termine che crediamo implicasse non la coda all’ufficio postale, ma le trame del Deep State) rimangono.
Sempre a Stone Putin confidò che la sua opposizione all’Ucraina nella NATO era dovuta proprio al fatto che conosceva le dinamiche di questa «burocrazia», che piano piano avrebbe spinto per l’installazione di missili ad un tiro di schioppo da Mosca.
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Di più: nella storica intervista a Tucker Carlson l’anno passato, emerse con forza la sua animosità contro la CIA, definita, non si sa con quale grado di amara ironia, «seriosnaja organizatsija», ossia «organizzazione seria». L’uomo che viene dal KGB è abituato, a quanto sembra, a guardare negli occhi la controparte, sapendo benissimo cosa vi è dietro le spalle. Il sentimento di Putin per la CIA potrebbe spiegare anche la non eccessiva simpatia espressa verso Carlson, canzonato dal presidente russo per non essere entrato nei servizi americani, dove probabilmente – questo non è detto, ma potrebbe essere suggerito da dossier del vecchio KGB – aveva trafficato il padre di Tucker, Dick Carlson, che aveva gestito gli apparati di propaganda USA di Voice of America anche da Mosca.
I neocon – che sono per lo più provenienti da famiglie ebree fuggite dallo Zar e per questo riempite di russofobia rabbiosa incurabile – purgati su richiesta di Putin per avere, finalmente, la pace tra Mosca e Washingtone? È un’ipotesi.
Come lo è la possibilità che una simile purga può essere stata offerta allo Zar odierno, o addirittura programmata comunque vadano le cose.
Il disprezzo per i neocon di Trump è uscito diverse volte: come riportato da Renovatio 21, in un messaggio video di due anni fa Trump attaccava direttamente Victoria Nuland, già vicesegretario di Stato e regina dei neocon, come la causa della guerra in corso. Il marito della Nuland, Robert Kagan, in questi anni ha ricambiato l’amore, scrivendo per il Washington Post articoli disperati in cui scriveva che nonostante la sconfitta di Trump contro Biden in società rimanevano tanti, troppi trumpiani (la soluzione, chiediamo quindi, cos’è? Una guerra civile? Oppure una pulizia etnica, come fa l’amato Stato di Israele a Gaza?)
In ultima, abbiamo visto tre mesi fa lo storico discorso anti-neocon tenuto da Trump in Arabia Saudita.
Donald Trump’s comments about “nation builders, neocons, and Western interventionists” in Saudi Arabia:
“Before our eyes, a new generation of leaders is transcending the ancient conflicts of tired divisions of the past and forging a future where the Middle East is defined by… pic.twitter.com/jDEKlNMFk4
— Liam McCollum (@MLiamMcCollum) May 13, 2025
Non si tratta solo del presidente. Robert F. Kennedy jr., il suo segretario alla Salute, è un anti-neocon sfrenato – nonostante l’essersi trovato con un figlio turlupinato ad andare a combattere in Ucraina in una guerra che Kennedy ritiene fomentata dagli stessi USA.
Quando raccontò del suo ingresso nel team Trump – il momento che ha messo fine alla sua campagna presidenziale, lanciandolo come stella del MAGA-MAHA –RFK rivelò pure di essere rimasto colpito dai primi colloqui con Don junior, il primogenito Trump. Il quale, racconta Kennedy, era apertis verbis in opposizione ai neocon, con nomi e cognomi.
Di recente Kennedy ha fatto di sfuggita un’ulteriore rivelazione sul gabinetto Trump: dice che va d’accordo con gli altri segretari, in particolare la Bondi, che è diventata amica sua e di sua moglie, ma quello più simpatico, che fa ridere tutti, dice, è Marco Rubio: qui Kennedy dice che dapprima provava freddezza nei suoi confronti, in quanto riconosciuto come neocon estremista, ma ha avuto una «conversione», mollando completamente il campo dei falchi antirussi.
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In pratica, se c’è una purga da fare, l’amministrazione Trump sa già chi andare a prendere. Il problema, tuttavia, è che potrebbe non bastare.
Perché alla radice della questione neocon, oramai lo hanno capito tutti, ce ne è una più grande, e indicibile: l’influenza di Israele sugli USA. Notiamo che quanto stiamo dicendo ha effetti geopolitici immediati, autoevidenti: la guerra russo-ucraina, fomentata dai neocon, potrebbe finire a breve (o quantomeno, c’è tanto lavoro in corso per la sua cessazione); al contrario, il massacro etnico di Israele non dà cenni – nonostante le urla di Trump a Netanyahu, di cui si è detto – di essere arginato davvero.
Una purga trumpiana anti-israeliana è di là da venire, anche se un accenno vi è stato: tre mesi fa ha licenziato quantità di funzionari ritenuti troppo filo-israeliani.«Il direttore senior del NSC per il Medio Oriente e il Nord Africa Eric Trager e il direttore del NSC per Israele e l’Iran Merav Ceren erano tra coloro che sono stati cacciati via venerdì 23 maggio», ha scritto Times of Israel il 25 maggio, aggiungendo che entrambi erano stati nominati dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, il pezzo grosso tolto dallo staff e piazzato all’ONU (promoveatur ac amoveatur) accusato di troppa intimità con Netanyahu.
Non basterà: è di pochi giorni fa l’emersione del caso dell’esperto di cibersicurezza israeliano, impiegato negli uffici stessi del premier dello Stato Ebraico, arrestato a Las Vegas in una retata anti-pedofili. All’uomo, finito in manette per aver adescato quella che credeva essere una minorenne, è stato consentito tornare in Israele con il suo volo, poco dopo: non ha nemmeno visto un giudice, libero subito. Renovatio 21 ne parlerà nei prossimi giorni – ricordando che il celeberrimo caso di sfruttamento seriale di minori ad usum dell’oligarcato, cioè la vicenda Epstein, è anche quella oramai collegata da tantissimi a Israele e ai suoi servizi segreti.
Sappiamo che suo genero Jared Kushner, il marito dell’amatissima figlia Ivanka, non solo è ebreo, ma è figlio di uno dei principali donatori americani di Netanyahu, il quale, si racconta, quando veniva a Nuova York dormiva nella cameretta dello stesso Jared. Il padre, palazzinaro ebreo, venne incarcerato per aver tentato di ricattare suo cognato, facendogli incontrare una prostituta: grazie a Trump, ora Kushner è nominato ambasciatore a Parigi. Ricordiamo pure come Jared – accusato da una parente Trump di essere la talpa FBI dietro al raid di Mar-a-Lago – abbia parlato in questi mesi di conflitto del grande valore immobiliare della riviera di Gaza… Le strambe idee trumpiane sulla costruzione di un paradisiaco resort mediterraneo sulla Striscia potrebbero venire, tragicamente, da qui.
Ciò detto, non tutta la speranza è perduta. Nel suo podcast, lo studioso E. Michael Jones – bollato come ingiustamente antisemita e censurato prima ancora che la cosa fosse materia comune – mesi fa ha fatto una rivelazione: un amico, che conosce Tucker Carlson, dice che questi testimonia come in privato Trump parli a sua volta «come noi». Non capiamo bene cosa significhi, ma detto da Jones, fa un certo effetto.
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Si tratta quindi di un lavorìo lento e dissimulato? Non impossibile: pensiamo all’attacco «simbolico» contro il programma nucleare iraniano. E ai suoi effetti: due giorni fa il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha licenziato il capo dell’agenzia di Intelligence del Pentagono, il tenente generale Jeffery Kruse, poche settimane dopo che la Casa Bianca aveva respinto una revisione che valutava l’impatto degli attacchi americani sull’Iran. Il rapporto insisteva sul fatto che il programma nucleare di Teheran era solo ritardato di pochi mesi, invece che essere stato «annientato» come aveva dichiarato dopo i bombardamenti Trump.
C’è tanto, tantissimo da fare. Steve Bannon, grande fautore della politica del drain the swamp («prosciuga la palude», dove la palude è Washington) ha sostenuto che lo swamp, cioè il Deep State, che è più di ogni cosa un «business model di successo» che arricchisce tantissime, ha bisogno non di pochi anni, ma di almeno due decenni per essere sanificato.
Abbiamo idea che la palude da prosciugare sia più grande di Washington. Si estende per tutto l’Atlantico (con i suoi patti), attraversa il Mediterraneo, per arrivare sulle rive di quel piccolo Stato tanto importante per la storia e la geopolitica mondiale.
Ripetiamo: la grande purga è un lavoro arduo, difficilissimo: ma non impossibile. Il problema è solo sapere se c’è, da qualche parte nascosta sotto coltri di diplomazia e ricatto, la volontà di farlo.
La purga non era solo una promessa della strana religione oracolare QAnon. La grande purificazione è quello che il mondo intero chiede dal profondo del suo cuore.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0; immagine modificata
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