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Geopolitica

Cina, varata una legge per agire contro chiunque nel pianeta

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Secondo una disposizione celata nella nuova legge, il PCC può agire contro chiunque sul pianeta ne contesti il regime. .

 

Questa prospettiva apre alla realtà mostruosa di possibili exatrordinary rendition cinesi, da eseguirsi su tutto il mondo, senza confini possibili – in ispecie in Paese come il nostro dove al governo ci sono forze filocinesi. Le rendition sono quei rapimenti a scopo di estradizione con seguente prigionia (e, nei casi CIA emersi, financo tortura) perpetrate dagli USA del dopo 11 settembre  (caso Abu Omar, detto anche «caso dell’Imam rapito»).

 

Pensare a dei rapimenti da parte delle forze cinesi ci preoccupa assai; tuttavia la Cina sotto il presidente Xi ha già dato prova di poter effettuare azioni su cittadini anche stranieri al di fuori dei propri confini: è il caso dei librai-editori di Hong Kong, spariti mentre si trovavano fuori dal territorio della Repubblica Popolare Cinese, come è avvenuto per il cittadino svedese Gui Minhai  portato via mentre dal treno era in compagnia di diplomatici di Stoccolma.

Secondo una disposizione celata nella nuova legge, il PCC può agire contro chiunque sul pianeta ne contesti il regime

 

«In base a questa norma, la Cina, o meglio il PCC, rivendica la giurisdizione su ogni essere umano su questo pianeta e forse anche su altri».

 

Renovatio 21 pubblica questo articolo del professor Massimo Introvigne, giù apparso sul sito Bitter Winter – Libertà religiosa e diritti umani in Cina. «Il nostro lavoro funziona grazie a qualche centinaio di reporter cinesi, una cinquantina dei quali sono stati arrestati e una trentina ancora in prigione – ci ricorda il professor Introvigne– Nessuno di loro è retribuito e continuano a fare uscire notizie e fotografie inedite a rischio della galera».

 

 

Questa prospettiva apre alla realtà mostruosa di possibili exatrordinary rendition cinesi

 

Molto è già stato scritto a proposito della nuova Legge della Repubblica popolare cinese per la salvaguardia della sicurezza nazionale nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong, di cui ora è disponibile il testo completo.

 

La legge estende a Hong Kong le disposizioni anti-sovversione vigenti nella Cina continentale, rendendo di fatto crimine qualsiasi forma di critica nei confronti del PCC ed eliminando le garanzie precedentemente esistenti per la libertà di parola e una certa indipendenza dei tribunali di Hong Kong.

 

Secondo alcuni commentatori della nuova legge imposta da Pechino Hong Kong il controllo è diventato più severo e repressivo che nella Cina continentale

La legge istituisce inoltre una nuova agenzia, l’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale (维护 国家 安全 公署), cui ne è demandata l’applicazione nei casi ritenuti particolarmente gravi. L’Ufficio lavorerà prevalentemente in segreto e potrà trasferire, di fatto estradare, gli accusati nella Cina continentale dove saranno processati.

 

Tutte le disposizioni della nuova legge sono già state ampiamente commentate da studiosi e osservatori specializzati, e alcuni di loro hanno notato che a Hong Kong il controllo è diventato più severo e repressivo che nella Cina continentale. Vi è però una disposizione che non ha ricevuto sufficiente attenzione e che è veramente straordinaria.

 

Si tratta dell’Articolo 38, che recita: «Questa Legge si applica ai reati ai sensi della presente legge commessi contro la Regione amministrativa speciale di Hong Kong al di fuori della regione stessa da un soggetto che non risieda permanente della regione».

Vi è una disposizione che non ha ricevuto sufficiente attenzione e che è veramente straordinaria

 

Bisogna leggerlo due volte prima di concludere che, in base a questa norma, la Cina, o meglio il PCC, rivendica la giurisdizione su ogni essere umano su questo pianeta e forse anche su altri.

 

Il sottoscritto non risiede permanente a Hong Kong, ma credo di infrangere «questa Legge» quotidianamente.

 

Violo l’Articolo 20 perché, scrivendo spesso a sostegno del diritto all’identità storica, culturale e religiosa dei cittadini di Hong Kong, del Tibet e dello Xinjiang, posso essere accusato del crimine di «separatismo» per il quale la pena nei casi di «natura grave» è l’ergastolo. Inoltre infrango regolarmente l’Articolo 22, in quanto critico e dunque «mino» «la base del sistema della Repubblica popolare cinese», una «base del sistema» fondata sul potere assoluto del PCC e della sua ideologia. Per la sistematica e grave violazione dell’Articolo 21 la pena è ancora l’ergastolo.

 

Si tratta dell’Articolo 38, che recita: «Questa Legge si applica ai reati ai sensi della presente legge commessi contro la Regione amministrativa speciale di Hong Kong al di fuori della regione stessa da un soggetto che non risieda permanente della regione».

Quel che è peggio, poi, è che potrei essere accusato di violare anche l’Articolo 29 poiché mi procuro e pubblico su Bitter Winter informazioni non generalmente conosciute altrove e probabilmente dannose per la «sicurezza nazionale» della Cina, il che comporta una terza condanna all’ergastolo.

 

Una persona ragionevole potrebbe pensare che, essendo io un cittadino italiano e scrivendo dall’Europa, non dovrei preoccuparmi degli effetti di una legge cinese valida per Hong Kong. Tuttavia quella persona ragionevole si sbaglierebbe. Infatti l’Articolo 38 stabilisce chiaramente che la legge si applica anche a tutti coloro che «non risiedono permanentemente nella Regione» (Hong Kong).

 

Significa che il PCC verrà a cercarmi in Italia per catturarmi? Forse no, ma, come ha scritto Donald Clarke, docente nella George Washington University ‒ uno dei maggiori esperti di Diritto cinese ‒, l’Articolo 38 «attribuisce alla Legge una portata ancor più ampia di quella della legge penale vigente nella Cina continentale. Secondo quest’ultima, uno straniero non è perseguibile per un atto che secondo la legge è un crimine a meno che l’atto o i suoi effetti non si verifichino in Cina. Ma la Legge per la sicurezza nazionale a Hong Kong non prevede questa limitazione».

«In base a questa norma, la Cina, o meglio il PCC, rivendica la giurisdizione su ogni essere umano su questo pianeta e forse anche su altri»

 

Il professor Clarke ipotizza l’esempio di un giornalista che scriva per testate statunitensi, sostenendo che l’occupazione cinese del Tibet è illegale o che per qualsiasi motivo «offenda le autorità cinesi o di Hong Kong». Ebbene, in base all’Articolo 38, costui è «responsabile ai sensi della legge per la sicurezza nazionale di Hong Kong» e se vi mette piede può essere arrestato.

 

E questo, sostiene il professor Clarke, non è tutto. «Supponiamo che quell’editorialista si rechi non a Hong Kong, ma a Pechino. Sebbene non abbia commesso alcun crimine ai sensi della legge penale vigente nella RPC, lo ha fatto ai sensi della Legge per la sicurezza nazionale di Hong Kong. Se le autorità di Hong Kong chiedessero a quelle della Cina continentale di arrestare il giornalista e di estradarlo queste respingerebbero la richiesta?». Probabilmente no, e per territorio cinese si intendono anche i velivoli cinesi e quelli di Hong Kong (esplicitamente menzionati nella nuova legge), nonché le ambasciate cinesi in tutto il mondo.

 

Secondo l’Articolo 38, i critici del PCC che mettano piede sul territorio cinese, considerato in senso ampio, possono essere arrestati

La pretesa cinese di una giurisdizione planetaria è chiaramente assurda e illegale ai sensi del diritto internazionale. Ma ciò è irrilevante. Secondo l’Articolo 38, i critici del PCC che mettano piede sul territorio cinese, considerato in senso ampio, possono essere arrestati.

 

Chi ritiene che ciò non accadrà mai davvero, può semplicemente considerare cosa sta accadendo ai «due Michaels» canadesi. Certo si tratta un caso diverso, ma obbedisce alla stessa logica perversa.

 

È un peccato che solo 27 Paesi (oltre agli Stati Uniti d’America, che non hanno firmato per via dei problemi che hanno con il Consiglio per i diritti umaniabbiano appoggiato la dichiarazione del Regno Unito alle Nazioni Unite che condanna le violazioni dei diritti umani a Hong Kong e nello Xinjiang (mentre 53 Paesi, la cui lista non è stata resa pubblica, sono entrati nel nuovo «asse della vergogna», firmando una dichiarazione redatta da Cuba a sostegno della Cina).

La pretesa cinese di una giurisdizione planetaria è chiaramente assurda e illegale ai sensi del diritto internazionale. Ma ciò è irrilevante. Secondo l’Articolo 38, i critici del PCC che mettano piede sul territorio cinese, considerato in senso ampio, possono essere arrestati

 

Vale allora la pena pubblicare i nomi dei 27 Paesi che hanno firmato a sostegno della libertà e dei diritti umani: Australia, Austria, Belgio, Belize, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Islanda, Irlanda, Germania, Giappone, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Repubblica delle Isole Marshall, Regno dei Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Palau, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Regno Unito.

 

I nostri lettori sono abbastanza intelligenti da notare quali Paesi democratici non sono nella lista e di intuirne il motivo. Forse tali Paesi cambieranno opinione quando i loro cittadini inizieranno a essere arrestati in Cina.

 

 

Aggiornamento. L’elenco dei Paesi che hanno sottoscritto la dichiarazione di appoggio alla Cina è stato pubblicato.

 

 

 

 

Articolo apparso su Bitter Winter con il titolo «L’art. 38 della Legge sulla sicurezza nazionale ci manderà tutti in galera»

 

 

Immagini di Tksteven via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)

 

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Geopolitica

Putin ha parlato con il presidente iraniano

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Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.

 

Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.

 

Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.

 

Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.

 

Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».

 

Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.

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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.

 

Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.

 

«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.

 

Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.

 

Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.

 

Se Renovatio 21 è stata bandita dai principali social atlantici un motivo ci sarà – e già dovrebbe fungere, agli occhi degli accorti, da grande bollino di qualità.

 

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Immagine di Kremlin.ru via Wikimedia pubblicata su licenza e Creative Commons Attribution 4.0 International.

 

 

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Geopolitica

L’Ucraina vuole dall’Occidente le stesse garanzie di Israele

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Kiev vuole garanzie di sicurezza da parte dei suoi sostenitori occidentali simili al livello di protezione che gli Stati Uniti forniscono a Israele, ha detto mercoledì il capo dello staff del presidente Volodymyr Zelens’kyj, Andrey Yermak.   Il governo ucraino sta negoziando una serie di trattati intesi a suggellare l’allineamento filo-occidentale del paese fino a quando non gli verrà concessa la piena adesione alla NATO. Funzionari di Kiev affermano che gli accordi garantiranno assistenza militare a lungo termine da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, indipendentemente dai cambiamenti politici che potrebbero altrimenti spingere i donatori a tagliare gli aiuti.   «Un accordo tra Stati Uniti e Ucraina non deve funzionare peggio del memorandum americano con Israele, la cui efficacia è stata confermata dalle azioni congiunte degli alleati durante la deviazione dell’attacco di massa contro Israele da parte dell’Iran», ha scritto lo Yermak sui social media.

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Teheran ha lanciato una raffica di droni e missili contro Israele lo scorso fine settimana come rappresaglia per l’attacco aereo del 1° aprile sul suo consolato a Damasco, di cui ha attribuito la colpa allo Stato ebraico.   La mossa attesa da tempo ha provocato solo «danni minori», secondo Israele, poiché Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno utilizzato le loro risorse militari per aiutare a fermare la maggior parte dei proiettili iraniani.   Secondo gli esperti della difesa locale, le intercettazioni sono costate a Israele un miliardo di dollari.   Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse ore, lo Zelens’kyj ha condannato gli attacchi iraniani dichiarandosi completamente dalla parte di Israele e tracciato paralleli tra le azioni di Teheran e le tattiche della Russia in Ucraina   I funzionari occidentali hanno chiarito che Kiev non dovrebbe aspettarsi il tipo di intervento di cui ha beneficiato Israele la settimana scorsa.   «Mettere le forze della NATO direttamente in conflitto con le forze russe – penso che sarebbe un’escalation pericolosa», ha detto lunedì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Invece di «aerei occidentali sui cieli che cercano di abbattere qualcosa», l’Ucraina ha bisogno di sistemi di difesa aerea, ha spiegato.   Kiev sollecita da mesi gli Stati Uniti ad andare avanti con lo stanziamento di oltre 60 miliardi di dollari in aiuti, che è stato bloccato dal presidente della Camera Mike Johnson. Le discussioni a cui lo Yermak ha partecipato riguardavano «il piano d’azione subito dopo che il Congresso degli Stati Uniti avrà preso una decisione sugli aiuti militari per l’Ucraina», ha detto.   Alcuni media statunitensi hanno ipotizzato che Johnson potrebbe cedere alle pressioni pro-Kiev e sottoporre al voto il disegno di legge approvato dal Senato dopo l’attacco iraniano. Il disegno di legge prevede fondi per Ucraina, Israele e Taiwan.   Come riportato da Renovatio 21, secondo alcuni, come la deputata trumpiana della Georgia Marjorie Taylor-Greene, il Johnson potrebbe essere sotto ricatto.

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I rapporti tra Kiev ed Israele sono stati, in questi due anni di guerra, altalenanti. Ad inizio del conflitto l’atteggiamento dello Stato ebraico era ben diverso: dopo una visita al Cremlino, l’allora premier Naftali Bennet di fatto consigliò a Zelens’kyj di arrendersi; il Paese resisteva alle pressioni di Biden per la fornitura di armi agli ucraini, e l’immancabile collegamento dello Zelens’kyj (che è di origini ebraiche, come lo è il suo mentore, l’oligarca Igor Kolomojskij, cittadino israeliano che nel Paese fu visitato molteplici volte dal futuro presidente ucraino) con la Knesset, cioè il Parlamento israeliano, incontrò una certa freddezza.   Ora il quadro sembra cambiato. Dopo Naftali Bennet, il premier è divenuto Yair Lapid, che sembra avere rapporti estremamente cordiali con il Paese occidentale più ferocemente nemico della Russia, la Gran Bretagna. Con il nuovo governo Netanyahu le cose cambiano ulteriormente: a fine 2023 Israele ha detto a Zelens’kyj di non volere la sua visita.   Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 Zelens’kyj non è stato incluso nella lista dei 50 «ebrei più influenti» del 2023 compilata ogni anno dal quotidiano israeliano Jerusalem Post. Lo Zelens’kyj era in cima alla lista nel 2022 nel conflitto in corso tra Mosca e Kiev, quest’anno invece ne è stato escluso, ed è stata data menzione invece a Evgenij Prigozhin, che era anch’egli di origine ebraiche. Nello Stato Ebraico l’attuale presidente ucraino avrebbe comprato una casa per i genitori.   Putin ha accusato l’Occidente di usare le origini ebraiche di Zelens’kyj per distrarre dal ritorno del nazismo in Ucraina. Tre mesi fa una timida critica, superficiale e con paraocchi, era stata tentata anche dall’ambasciatore israeliano a Kiev. Nel frattempo, una delegazione del battaglione Azov, un tempo denunciato da vari quotidiani internazionali come neonazista, è andata in visita in Israele.   Zelens’kyj lo scorso mese ha dichiarato di voler perseguire un «modello israeliano», facendo dell’Ucraina un alleato finanziato e armato pesantemente dagli USA.   Israele in questi mesi aveva dichiarato di non voler fornire il sistema di difesa antiaerea «Iron Dome» agli ucraini per timore che potesse cadere poi in mano iraniana. A inizio anno Tel Aviv aveva rifiutato la pressione USA per fornire batteria di difesa aerea all’Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbe ora fuggita all’estero, ha rivelato un rabbino di Kiev al Washington Post a inizio mese.

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Geopolitica

Milei offre «chiaro e inflessibile sostegno a Israele» contro l’Iran: l’ambasciatore dello Stato Ebraico partecipa a una riunione del «gabinetto di crisi» argentino

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Il presidente argentino Javier Milei ha interrotto la sua visita negli Stati Uniti il ​​13 aprile, è tornato a Buenos Aires e ha incontrato immediatamente l’ambasciatore israeliano Eyal Sela la mattina del 14 aprile, per offrire il suo sostegno illimitato a Israele, che aveva appena subito l’attacco dei droni iraniano.

 

La mossa di Milei ha scioccato le «istituzioni della politica estera argentina, nonché settori patriottici», scrive EIRN.

 

Negli USA, Milei aveva avuto solo il tempo per ricevere a Miami un premio come «Ambasciatore Internazionale della Luce» da una gruppo locale di ebrei Lubavitcher – religione dei suoi principali consiglieri spirituali, che lo starebbero portando alla conversione al giudaismo – e poi incontrare a Houston, in Texas, Elon Musk (che si è dichiarato un fan del suo discorso a Davos lo scorso gennaio), prima di salire su un aereo per tornare a casa per annunciare che l’Argentina si stava allineando con Israele in la sua guerra contro il mondo islamico.

 


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La prima pagina del quotidiano argentino Página 12 di ieri mostrava una foto di Milei, vestito con la divisa dell’esercito che indossava quando ha incontrato il comandante del Comando meridionale degli Stati Uniti, generale Laura Richardson, nella città più meridionale di Ushuaia, sotto il titolo «Milei se fue a la guerra», cioè «Milei è andato in guerra».

 

 

Secondo quanto riportato, l’accaduto ha fatto infuriare molti funzionari professionisti del servizio estero presso il ministero degli Esteri argentino. Dopo aver incontrato Sela in privato al palazzo presidenziale e aver fatto pubblicare una foto dei due abbracciati, il Milei ha poi compiuto il passo senza precedenti di invitare l’ambasciatore dello Stato Ebraico a partecipare a una riunione del «gabinetto di crisi» di emergenza da lui istituito per monitorare e rispondere, gli eventi del fine settimana.

 

Sono state rese pubbliche fotografie che mostrano Sela seduta al tavolo con Milei e i membri del gabinetto, mentre li informavano sulla situazione.

 

Successivamente, l’ambasciatore israeliano ha partecipato a una «conferenza stampa», che è stata registrata, ma non includeva la stampa, durante la quale ha espresso la gratitudine del primo ministro Benjamin Netanyahu e del presidente Isaac Herzog al presidente Milei per «il suo chiaro e inflessibile sostegno a Israele e per essere stato dalla parte giusta della storia», ha riferito Página 12.

 

Come riportato da Renovatio 21, della conversione al giudaismo di Javier Milei si parla da tanto tempo, e abbondano immagini e video in cui il personaggio sventola in pubblico grandi bandiere israeliane.

 

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Sul Milei vi sarebbe l’influenza del rabbino Shimon Axel Wahnish, rabbino capo della comunità ebraica marocchina dell’Argentina (ACILBA), «un moderno dottore ortodosso in psicologia dell’educazione, Wahnish è stato direttore e professore presso un centro studi ebraico per giovani studenti universitari presso i Sucath David Programs» scrive Tablet Magazine, che riporta come dopo il loro incontro nel 2021, Milei abbia cominciato lo studio della Torah proprio sotto la guida di rabbi Wahnish.

 

Secondo il sito ispanofono La Politica online, il rabbino Tzvi Grunblatt (anche lui della corrente dell’ebraismo Lubavitch) avrebbe accompagnato il presidente eletto «durante il Forum Economico Latam dove il libertario è stato il relatore principale. La Fondazione Chabab era co-organizzatrice dell’evento insieme a Dario Epstein, consigliere di Milei».

 

Secondo il sito ebraico Anash, i rapporti di Milei con il rabbinato andrebbero oltre la guida spirituale del rabbino Wahnish.

 

«L’economista ed ex esperto televisivo e radiofonico ha stretti legami con il capo argentino Shliach Rabbi Tzvi Grunblatt» scrive il sito. «Secondo quanto riportato dalla stampa argentina, il rabbino Grunblatt ha contribuito a creare legami tra Milei e importanti uomini d’affari come Eduardo Elsztain». Elzstain, argentino di origine ebraica (il nonno fuggì dalla Russia sconvolta dalla rivoluzione del 1917) è considerato a capo del più grande impero economico del Paese, che spazia dagli immobili all’agricoltura, da settore minerario a quello bancario.

 

La società dell’Elzstain chiamata Inversiones y Representaciones S.A. (IRSA), la più grande società immobiliare argentina, è quotata alla Borsa di New York. CRESUD, azienda leader nel settore agroalimentare che opera in Argentina, Bolivia, Paraguay e Uruguay di cui Elzstain è presidente, è pure quotata al NASDAQ. L’uomo d’affari ebreo-argentino è presidente inoltre di BrasilAgro (Companhia Brasileira de Propriedades Agrícolas), anch’essa quotata alla Borsa di Wall Street. Il partenariato pubblico-privato Banco Hipotecario, la principale banca ipotecaria argentina, vede Elsztain come il maggiore azionista privato.

 

Devoto alla religione giudaica, si dice che il ricco Elzstain abbia costruito una sinagoga appena fuori da casa sua. Sua sorella vive in Israele. Il businessman sarebbe affiliato al movimento ebraico Chabad Lubavitch, corrente dello chassidismo nata nel XVIII secolo e ora avente come base principale Nuova York, in particolare nel quartiere di Crown Heights, a Brooklyn.

 

Elsztain ha vissuto a New York nel 1989-90. Durante quel periodo, nel 1990, «si presentò a un incontro con il leggendario investitore George Soros», secondo il quotidiano israeliano Haaretz. Un articolo del quotidiano La Nacion afferma che Elsztain incontrò Soros «attraverso contatti… nella comunità ebraica di Buenos Aires». In ogni caso, Soros «fu convinto a lasciare che l’ambizioso giovane gestisse 10 milioni di dollari per lui», cosa che Elsztain fece «con grande successo», riporta l’enciclopedia online.

 

Oltre a Soros, Elsztain ha anche lavorato a stretto contatto con il magnate immobiliare statunitense Sam Zell (vero nome Shmuel Zielonka), miliardario americano attivo in molte cause filantropiche per l’ebraismo in America e in Israele.

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Elszstain avrebbe contatto anche con il manager di hedge fund Michael Steinhardt, miliardario pure lui attivo assai nelle cause ebraiche, con donazioni per più di un centinaio di milioni, ad esempio con viaggi gratuiti di 10 giorni offerti ad ebrei di età tra i 18 e i 26 anni. Steinhardt fa parte del «Mega Group», un club vagamente organizzato di 20 tra gli uomini d’affari ebrei più ricchi e influenti, formato da Leslie Wexner, il padrone del marchio di lingerie Victoria’s Secret considerato mentore (e forse vittima?) di Jeffrey Epstein, cui cedette la lussuosissima magione di Nuova York.

 

Un altro contatto riconosciuto dell’Elsztain è il magnate di Hollywood Edgar Bronfman junior, ex CEO della Warner e di Seagram, il colosso del whisky costruito dal padre, Edgar Bronfman senior, che come presidente del World Jewish Congress (di cui Elsztain nel 2005 sarebbe divenuto tesoriere), aveva avviato un’attività diplomatica con l’Unione Sovietica per portare alla legittimazione della lingua ebraica nell’URSS e ha contribuito a far sì che gli ebrei sovietici potessero legalmente praticare la propria religione, come così come emigrare in Israele. En passant, ricordiamo che le due sorelle di Bronfman jr. sono state oggetto delle cronache recenti perché coinvolte a vario titolo nello scandalo della setta psico-sessuale NXIUM, della quale tuttavia il defunto padre sembrava diffidare molto.

 

Secondo quanto riportato, Elsztain partecipa annualmente al World Economic Forum di Davos, e avrebbe partecipato anche ai Business Summit dei G20. Nel 2008 ha incontrato Hugo Chavez – un uomo che per il forsennato antisocialista Milei dovrebbe rappresentare il male… – per discutere dell’antisemitismo, lodando la volontà di ascolto che il caudillo di Caracas aveva per la causa della comunità ebraica.

 

Secondo la stampa argentina, Elsztain sarebbe divenuto un visitatore regolare della Casa Rosada, ossia il palazzo presidenziale, quando al potere vi era Christina Kirchner, divenendone, secondo articoli apparsi all’epoca «un alleato strategico». Si tratta della massima rappresentante di quel sistema che il Milei, grillescamente, diceva di voler rottamare.

 

Il Milei è comparso questa settimana anche nel programma YouTube dell’ebreo sionista americano Ben Shapiro, il cui grande gruppo editoriale di supposta «controinformazione» di area conservatrice, il Daily Wire, sta perdendo colpi dopo che è stata allontanata la stella del gruppo Candace Owens, commentatrice nera accusata di essere antisemita per la sua opposizione al sostegno degli USA e Israele nel massacro dei palestinesi e per aver detto, questione interessante, che «Cristo è re».

 

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Lo Shapiro aveva organizzato anni fa una grande intervista rilassata con il premier israeliano Beniamino Netanyahu, portandosi appresso anche un altro idolo degli spettatori conservatori di YouTube, lo psicologo canadese Jordan Peterson, allora appena uscito da anni di depressione nascosta ai fan così come dalle traversie, anche gravi, dalla conseguenza dolorosissima dipendenza da psicofarmaci cagionatagli dalle scelte mediche.

 


L’operazione dello Shapiro – mantenere israelizzata la destra americana – era già allora piuttosto chiara, ora è più spudorata che mai, e al contempo, fragile, perché non tutti paiono obbedire al filogiudaismo di default installato in questi decenni. Anzi: ha destato stupore come il pubblico di un comizio di Trump abbia cominciato a cantare «Genocide Joe!», riferendosi al supporto di Biden al massacro dei palestinesi da parte degli israeliani.

 

 

Sorprendentemente, il Trump riferendosi ai supporter che scandivano lo slogan, ha dichiarato «non hanno torto».

 

A Buenos Aires – a quarta città al mondo per numero di cittadini di religione ebraica che, per coincidenza, è anche il luogo di origine dell’attuale papa – invece si ascolta tutt’altra musica.

 

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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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