Geopolitica
Centinaia di navi cinesi continuano a depredare le risorse ittiche del Sudamerica
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Silvina Premat su gentile concessione di Asianews
Dopo il passaggio nel Pacifico, ora si trovano al largo della costa argentina. Buenos Aires minimizza e dice di avere avviato negoziati con Pechino. Rifiutato l’aiuto degli USA. Gruppi ambientalisti: serve regolamentazione a livello internazionale.
La «città galleggiante» formata da centinaia di barche, per lo più battenti bandiera cinese, che pescano calamari e altre specie ittiche al largo delle coste dei Caraibi e del Sudamerica, si trova ora nei pressi della zona economica esclusiva (ZEE) dell’Argentina
La «città galleggiante» formata da centinaia di barche, per lo più battenti bandiera cinese, che pescano calamari e altre specie ittiche al largo delle coste dei Caraibi e del Sudamerica, si trova ora nei pressi della zona economica esclusiva (ZEE) dell’Argentina. La loro presenza è considerato un vero e proprio atto di depredazione delle risorse naturali. Esso è favorito dalla mancata regolamentazione della pesca in acque internazionali e dai timidi controlli costieri dei Paesi rivieraschi.
Il tutto avviene mentre le autorità argentine e quelle di Pechino starebbero negoziando un accordo sulla pesca, e il governo kirchnerista di Alberto Fernandez respinge l’aiuto USA per scoraggiare l’attività illegale. Gli Stati Uniti hanno offerto i servizi della nave più moderna della loro Guardia costiera, la USS Stone, che in questi mesi è impegnata nell’Atlantico del Sud in un’operazione di pattugliamento. Il ministero degli Esteri argentino ha comunicato che l’imbarcazione sarà ricevuta nelle prossime settimane nel porto di Mar del Plata, ma solo per una visita di protocollo.
L’amministrazione Fernandez ha dichiarato che i compiti di sorveglianza e controllo della pesca nelle zone marittime nazionali sono svolti «solo con mezzi e personale dello Stato argentino», la cui funzione è la protezione della sovranità e delle risorse. Buenos Aires ha ricordato inoltre con orgoglio che nel 2020 ha catturato tre pescherecci stranieri illegali: «Un numero che non si raggiungeva dal 2005».
Il governo kirchnerista di Alberto Fernandez respinge l’aiuto USA per scoraggiare l’attività illegale
Il blocco temporaneo di solo tre delle oltre 500 imbarcazioni che operano in modo illegale non incidono sul business milionario di questa attività. Lo stesso discorso vale per le multe comminate a chi opera nella ZEE argentina senza averne diritto: nel 2020 si sono fermate a 150mila dollari.
La flotta cinese presente al largo della costa argentina è la stessa che lo scorso luglio ha spinto il governo ecuadoriano a protestare con la Cina. Per prevenire, scoraggiare e combattere la pesca illegale nel Pacifico, Quito ha poi siglato un accordo con Cile, Perù e Colombia.
Il blocco temporaneo di solo tre delle oltre 500 imbarcazioni che operano in modo illegale non incidono sul business milionario di questa attività
Le organizzazioni ambientaliste chiedono ora al governo argentino un maggiore controllo per impedire la pesca illegale nella ZEE. Secondo l’attivista Diego Moreno, consulente indipendente ed ex funzionario del ministero argentino dell’Ambiente, il problema di fondo non è però la presenza illegale di qualche imbarcazione: è lo sfruttamento delle risorse, dato che lo stock di calamari – o di qualunque altra specie – è lo stesso a 199 miglia dalla costa come a 201.
Le opzioni disponibili per quello che sembra un vicolo cieco esistono, anche se sono complesse. Per Moreno, i diversi Paesi dovrebbero firmare accordi regionali di pesca nel quadro della Convenzione ONU sul diritto del mare. Essi dovrebbero promuovere anche iniziative congiunte nell’alveo della Convenzione sulla biodiversità, e concludere accordi bilaterali fra loro.
La flotta cinese presente al largo della costa argentina è la stessa che lo scorso luglio ha spinto il governo ecuadoriano a protestare con la Cina
Moreno ricorda che i negoziati per gestire le risorse comuni nell’Atlantico meridionale sono stati finora bloccati dalla disputa tra Argentina e Regno Unito sul possesso delle isole Falkland (Malvinas per gli argentini). L’attenzione – sostiene l’esperto – si deve concentrare sulle norme internazionali di regolamentazione: «Una questione che sarà senza dubbio centrale nell’agenda ambientale del prossimo decennio».
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Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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