Gender
Cappellano afferma che la Chiesa d’Inghilterra lo ha ritenuto «un rischio per i bambini» per aver messo in discussione l’ideologia LGBT
Un cappellano della Chiesa d’Inghilterra ha dovuto lasciare il suo lavoro per un sermone in cui diceva che mettere in discussione l’ideologia LGBT era un diritto. Lo rivela Epoch Times.
Per questo sermone, cappellano sarebbe stato anche denunciato da un ente osservatorio del terrorismo.
Ora il reverendo Bernarld Randall, 49enne del Derbyshire, afferma che la Chiesa d’Inghilterra lo avrebbe messo in una blacklist come soggetto che mette a rischio i bambini.
Il reverendo Randall ha reagito portando davanti ad un tribunale del lavoro il Trent College accusando discriminazioni religiose e filosofiche. Nel processo iniziato questa settimana, il religioso inglese chiede 120 mila sterline (circa 135 mila euro) di danni.
«Gli attivisti woke che hanno conquistato gran parte del Chiesa d’Inghilterra non possono tollerare alcuna opposizione alla loro agenda, nemmeno un’opposizione moderata e ponderata che incoraggia il dibattito», ha affermato in un comunicato il reverendo Randall, ordinato dalla chiesa anglicana.
Il reverendo ha dichiarato che inizialmente si aspettava il sostegno della gerarchia anglicana, ma invece ha scoperto di essere stato contrassegnato come un «rischio per i bambini» dai funzionari della chiesa per aver «espresso, con moderazione» l’insegnamento della Chiesa d’Inghilterra sulla sessualità umana.
I fatti risalgono al 2019, quando Randall è stato punito e ha perso il lavoro come cappellano al Trent College dopo aver predicato un sermone che presentava il punto di vista cristiano sull’identità di genere e l’ideologia LGBT.
Nel sermone il Randall afferma di aver presentato la tradizionale visione cristiana dell’identità umana e della sessualità, dicendo agli studenti che non erano obbligati ad «accettare un’ideologia con cui non sono d’accordo», ma che dovevano discutere e prendere una decisione sulla questione.
La scuola aveva denunciato Randall al Prevent, l’organismo di controllo antiterrorismo del governo, dopo che un gruppo LGBT esterno alla scuola, Educate and Celebrate, aveva sollevato preoccupazioni. Lo stesso gruppo aveva incoraggiato il personale scolastico a cantare «distruggi l’eteronormatività» durante una sessione di formazione.
Il team legale del cappellano, rappresentato da Christian Concern, sostiene che il vescovo di Derby, il reverendo Libby Lane, ha rifiutato di consentirgli di officiare nei servizi della Chiesa e ha affermato che si tratta di un atto di discriminazione, molestia e violazione dell’Equality Act 2010.
«Non credo che tenere un sermone possa essere una questione di salvaguardia. Non pensavo che quello che avevo detto fosse sbagliato. Di certo non ho fatto attacchi personali. Il team di tutela della diocesi di Derby mi ha detto che il mio sermone e le mie opinioni, basate sull’insegnamento della Chiesa di Inghilterra, potrebbero potenzialmente causare ansia a qualcuno, come se si trattasse di un abuso», ha detto il reverendo Randall.
«Se la Chiesa d’Inghilterra crede che il proprio insegnamento basato sulla Bibbia sia un rischio da cui guardarsi, cosa dice ciò riguardo lo stato in cui si trova?».
Gender
Stoltenberg promette che la NATO difenderà i «diritti LGBT»
La NATO difenderà i diritti delle persone LGBTQ, ha dichiarato venerdì il Segretario generale Jens Stoltenberg.
È stato tra centinaia di funzionari pubblici, istituzioni e organizzazioni occidentali a rilasciare una dichiarazione a favore della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (IDAHOBIT).
«La NATO esiste per difendere 32 nazioni e il diritto dei nostri popoli a vivere liberamente e in pace», ha scritto lo Stoltenberg su X. «Nella Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, e ogni giorno: tutto l’amore è uguale. Le persone LGBTQ+ meritano rispetto e dignità e sono orgoglioso di definirmi tuo alleato».
#NATO exists to defend 32 nations, and our peoples’ right to live freely & in peace. On the International Day against Homophobia, Biphobia & Transphobia, and every day: all love is equal. LGBTQ+ people deserve respect & dignity, and I am proud to call myself your ally. #IDAHOBIT
— Jens Stoltenberg (@jensstoltenberg) May 17, 2024
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La stragrande maggioranza delle risposte ai post di Stoltenberg, riporta RT, è stata tuttavia negativa.
«E il rapporto tra un’alleanza militare di mutua difesa e i diritti di alcune minoranze è…?» si è chiesto un utente X. Altri hanno parlato delle guerre offensive del blocco contro la Jugoslavia (1999) e la Libia (2011), e del fatto che ha trascorso 20 anni in Afghanistan aiutando gli Stati Uniti a «sostituire i talebani con i talebani».
«Mi avete semplicemente fatto sostenere un po’ di più la Russia», si legge in un’altra risposta, mentre qualcun altro si chiedeva se i russi fossero riusciti in qualche modo ad hackerare l’account di Stoltenberg.
Un altro utente di social media lo ha accusato di «dipingere in modo rosa i crimini di guerra e il guerrafondaio», usando un termine che descrive individui o organizzazioni che abbracciano l’agenda LGBTQ per distogliere l’attenzione dal loro cattivo comportamento.
IDAHOBIT è stato concepito nel 2004 da un attivista gay francese. Organizzazioni come l’Associazione Internazionale Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans e Intersessuali (ILGA), la Commissione Internazionale per i Diritti Umani di Gay e Lesbiche (IGLHRC), il Congresso Mondiale degli Ebrei LGBT e la Coalizione delle Lesbiche Africane hanno approvato il progetto, portando a la prima celebrazione nel 2005.
Come data è stata scelta il 17 maggio, per commemorare la rimozione dell’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie da parte dell’OMS nel 1990.
Al nome è stato aggiunto «transfobia» nel 2009, seguito da «bifobia» – che dovrebbe significare la repulsione per i bisessuali, fenomeno che, un po’ come la bisessualità organizzata in genere, non sapevamo esistere – nel 2015, dando vita all’acronimo nella sua forma attuale.
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Immagine di California National Guard via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Gender
Il Perù classifica i transgender come «malati di mente»
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Arte
Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio
Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.
Teatro della vicenda è per il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.
Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.
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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.
Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.
E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.
La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.
Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.
Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.
Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.
Taro Negishi
Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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Immagine screenshot da YouTube
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