Politica
Bolsonaro agli arresti domiciliari

La Corte Suprema del Brasile ha ordinato gli arresti domiciliari per l’ex presidente Jair Bolsonaro, sotto processo per aver tentato di ribaltare i risultati delle elezioni del 2022 dopo la sua sconfitta.
Il caso ha già generato tensioni con gli Stati Uniti, dopo che il presidente Donald Trump l’ha definito una «caccia alle streghe» e ha imposto tariffe doganali del 50% sul Brasile.
Lunedì, il giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre De Moraes ha stabilito che Bolsonaro sarà posto agli arresti domiciliari e gli sarà vietato l’uso dei telefoni cellulari, e ha proibito all’ex presidente di ricevere visite, ad eccezione del suo team legale e di persone autorizzate dal tribunale.
Bolsonaro ha violato le misure cautelari giudiziarie impostegli il mese scorso e ha utilizzato gli account sui social media dei suoi tre figli per pubblicare messaggi «chiaramente incoraggianti e istiganti ad attaccare la Corte Suprema Federale e a sostenere apertamente l’intervento straniero nella magistratura brasiliana», ha affermato Moraes nella sua sentenza.
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La scorsa settimana, Trump ha accusato Brasilia di varie violazioni dei diritti umani e di aver perseguitato ingiustamente Bolsonaro, e ha imposto una tariffa del 50% sui prodotti brasiliani, la più alta attualmente applicata dagli Stati Uniti. Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha condannato i tentativi di Trump di usare i dazi per fare pressione sul Brasile in merito al processo a Bolsonaro.
Intervenendo domenica a un evento del Partito dei Lavoratori a Brasilia, Lula ha accusato Washington di usare gli affari interni del Brasile come pretesto per imporre sanzioni e ha sottolineato che gli Stati Uniti «hanno già contribuito a organizzare un colpo di Stato» nel Paese.
Gli Stati Uniti vogliono «porre fine al multilateralismo» e tornare ad «accordi tra Paesi in cui i grandi dominano i piccoli», ha affermato. Il Brasile non dipende più economicamente dagli Stati Uniti e, pur essendo aperto ai negoziati, lo farà «a parità di condizioni», ha aggiunto Lula, ribadendo la sua volontà di smettere di essere «subordinato al dollaro».
Trump ha ripetutamente minacciato dazi aggiuntivi del 10% contro i membri BRICS come il Brasile, accusandoli di tentare di spodestare il dollaro statunitense dal ruolo di valuta di riserva globale. Il blocco economico ha negato le accuse, sostenendo che le azioni politiche di Washington stesse indeboliscono il dollaro.
Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa gli Stati Uniti hanno revocato il visto al De Moraes.
In un recente post su Truth Social, il presidente Trump ha affermato che il Brasile «sta facendo una cosa terribile» a Bolsonaro, a cui è stato vietato di candidarsi a cariche politiche fino al 2030 e che dovrà affrontare un processo alla Corte Suprema per il suo ruolo in un tentato colpo di Stato per rovesciare l’elezione di Lula, cosa che lui nega strenuamente.
Come riportato da Renovatio 21, il giudice supremo De Moraes è da sempre considerato acerrimo nemico dell’ex presidente Jair Bolsonaro, che lo ha accusato di ingerenze in manifestazioni oceaniche plurime. Ad alcuni sostenitori di Bolsonaro, va ricordato, sono stati congelati i conti bancari, mentre ad altri è stata imposta una vera e propria «rieducazione».
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Come riportato da Renovatio 21, di recente con De Moraes si era scontrato anche Elone Musk, quando il giudice supremo aveva ordinato il blocco dei conti finanziari di Starlink nel Paese, nel contesto di una faida in corso sulla piattaforma di social media X riguardante la libertà di parola: l’establishment brasiliano chiedeva la censura di determinate voci politiche, cosa che Musk si era rifiutato di fare.
Musk aveva reagito in modo duro nei suoi post sui social, tornando a paragonare De Moraes – di cui ha chiesto le dimissioni o la messa in stato di accusa – a Darth Vader e a Lord Voldemort, e pubblicando un’immagine generata artificialmente del giudice supremo in galera.
L’imprenditore sudafricano è arrivato a dire che il vero potere in Brasile è nelle mani di De Moraes, definito tiranno travestito da giudice, mentre il presidente Lula è solo il suo cane da salotto. «Alexandre de Moraes è un dittatore malvagio che fa cosplay come giudice» dichiarato il Musk.
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Immagine di Agência Senado via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Politica
Una cattolica esclusa dalle elezioni presidenziali irlandesi

È difficile essere cattolici orgogliosi delle proprie convinzioni e tuttavia raggiungere la carica più alta in Irlanda: questo è ciò che Maria Steen, una politica che non è riuscita a ottenere il sostegno dei parlamentari irlandesi per candidarsi alle elezioni presidenziali del 24 ottobre 2025, ha imparato a sue spese.
L’Isola dei Santi non è certo più quella di una volta, e San Patrizio potrebbe rivoltarsi nella tomba: Maria Steen, un’avvocatessa che ha difeso pubblicamente gli insegnamenti della Chiesa durante i dibattiti referendari sull’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la definizione di famiglia, non è riuscita a ottenere un sostegno sufficiente per candidarsi alle elezioni presidenziali.
Questo appoggio ha richiesto l’approvazione di 20 membri dell’Oireachtas – il Parlamento irlandese, che comprende 174 membri del Dail Éireann e 60 senatori del Seanad Éireann – consentendole di candidarsi alle elezioni presidenziali del 24 ottobre.
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In Irlanda, la qualificazione per le elezioni presidenziali richiede un filtro parlamentare, ufficialmente per impedire un numero eccessivo di candidati, ma – alcuni sostengono – per bloccare la strada ai candidati non politicamente corretti.
Madre di cinque figli e candidata indipendente, Maria Steen ha comunque ottenuto il sostegno di 18 membri, ma non è riuscita a raccogliere le due firme mancanti prima della scadenza del 24 settembre. Storicamente, è stato difficile per un candidato non affiliato ai principali partiti politici irlandesi, come Fianna Fáil o Fine Gael, qualificarsi per le elezioni presidenziali.
Presentando la sua candidatura a fine agosto, l’avvocatessa ha cercato di proporsi come alternativa ai candidati dei partiti tradizionali, in un contesto di crescente sfiducia dell’elettorato nei confronti della classe politica irlandese. La presidenza irlandese, pur essendo in gran parte simbolica, gode comunque di grande visibilità, rappresentando il Paese a livello internazionale.
Il 24 settembre, annunciando la fine della sua campagna, Maria Steen ha dichiarato: «sebbene sia onorata di aver ottenuto il 90% delle firme richieste, mi dispiace dire che questo non è stato sufficiente e che il termine ultimo è ormai scaduto». Ha aggiunto: «Sebbene sarebbe stato l’onore di una vita servire come prima cittadina irlandese, essere cittadina è un onore sufficiente per me».
David Quinn, editorialista di un quotidiano nazionale irlandese, ha elogiato la performance di Maria Steen: «penso che raggiungere questo livello sia già un enorme riconoscimento per Maria e le sue capacità, ma allo stesso tempo è molto deludente che sia arrivata così vicina a entrare nella corsa presidenziale», ha dichiarato in un’intervista al sito web di informazione religiosa The Pillar.
Ha aggiunto: «I partiti stanno impedendo la nomina di qualcuno esterno». Considerando il cattolicesimo dichiarato di Maria Steen come una delle ragioni del suo fallimento, David Quinn ritiene che «sia un fattore determinante. Molti politici disapproverebbero che qualcuno noto per le sue convinzioni cattoliche e pro-life ottenga la carica più alta del paese, anche se quella carica non ha potere legislativo e lei non userebbe quella posizione per promuovere le sue convinzioni».
Ha concluso: «Ironicamente, il prossimo presidente potrebbe benissimo essere protestante» – del Fine Gael – «e dubito che la sua religione sarà molto discussa». Le elezioni presidenziali metteranno a confronto questo protestante con un politico sostenuto dai partiti di sinistra e un ex giocatore di football gaelico, sostenuto dal Fianna Fail. Tutti e tre i candidati hanno votato a favore dell’aborto nel referendum del 2018 e condividono opinioni simili su molte cosiddette questioni sociali.
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Ma Maria Steen potrebbe non aver detto l’ultima parola: la politica è diventata nota in Irlanda per le sue straordinarie comparse nei dibattiti televisivi prima di tre referendum molto contestati. Il primo è stato il referendum del 2015 sul «matrimonio per tutti», dove ha difeso il «No» durante un dibattito, prima che l’Irlanda votasse con il 62,07% dei voti per legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso.
Ha anche sostenuto il «No» nei dibattiti televisivi precedenti il referendum del 2018 sull’aborto, dove i cittadini irlandesi hanno votato con il 66,40% per abrogare l’Ottavo Emendamento della Costituzione, che tutelava il diritto alla vita dei nascituri.
In vista dei referendum costituzionali del 2024 sulla definizione di famiglia, si è confrontata con l’ex Tanaiste (Vice Primo Ministro) Micheál Martin in un dibattito. È uscita vittoriosa quando i cittadini hanno respinto gli emendamenti con il 67,69% dei voti contro il 32,31%.
La candidatura proposta da Maria Steen ha ricevuto riscontri positivi da alcune personalità inaspettate, come il giornalista liberale Fintan O’Toole, che ha sostenuto che le elezioni presidenziali necessitavano di un «cattolico conservatore serio». E tra sette anni – la data delle prossime elezioni presidenziali – molto potrebbe cambiare in Irlanda e nel Vecchio Continente, regioni sempre più stremate da decenni di progressismo.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine screenshot da YouTube
Politica
Merz contro la Von der Leyen

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