Economia
Blackout in Turchia

Un’interruzione delle importazioni di gas naturale dall’Iran ha causato un livello senza precedenti di interruzioni di corrente in Turchia.
Le interruzioni di corrente hanno in gran parte colpito le principali zone industriali, con alcune aziende costrette a interrompere la produzione di conseguenza. L’Iran afferma che i flussi di gas naturale sono stati ripristinati, ma la Turchia ha affermato che le sue forniture e la pressione del gas rimangono molto basse.
«Il sistema è stato interrotto a causa della bassa quantità e pressione. Le stazioni di compressione sul lato turco sono pronte, operative e non ci sono problemi tecnici sul lato turco», ha detto venerdì scorso all’agenzia Reuters un funzionario turco.
La Turchia entra nel variegato gruppo di Paesi che sta sperimentando o teme di sperimentare a breve blackout energetici
A partire da lunedì, la produzione industriale turca si fermerà completamente per almeno tre giorni, ha riportato l’altro ieri la testata Daily Sabah.
Per la Turchia, il gas rappresenta più della metà della produzione di elettricità. L’arresto dei flussi dell’Iran arriva in un momento in cui le importazioni di gas in aumento per la Turchia, che sono diventate molto più costose a causa della crisi della lira turca.
La Renault ha già annunciato che interromperà la produzione nel suo stabilimento di Bursa per 15 giorni, secondo quanto riportato dai media turchi citati dal giornale economico americano Bloomberg.
La Turchia entra quindi nel variegato gruppo di Paesi che sta sperimentando o teme di sperimentare a breve blackout energetici.
Come riportato da Renovatio 21, la Germania – a causa di una improvvida politica di privatizzazioni delle forniture – ha poc’anzi evitato di un soffio un blackout del gas. Non che la cosa non sia prevista, dato che i cittadini tedeschi sono da mesi destinatari di apocalittiche campagne di sensibilizzazione su cosa fare in caso di interruzione dell’energia. La Germania il mese scorso non aveva abbastanza vento per far girare le pale eoliche, aumentando di conseguenza l’uso del carbone.
Per la Turchia, il gas rappresenta più della metà della produzione di elettricità. L’arresto dei flussi dell’Iran arriva in un momento in cui le importazioni di gas in aumento per la Turchia, che sono diventate molto più costose a causa della crisi della lira turca
La Cina sta sperimentando blackout, che spaventano i partner commerciali internazionali. Anche le autorità del Dragone stanno cominciando a dare «consigli» sulle provviste da fare per l’inverno.
L’Indonesia, nel timore delle interruzioni di corrente, ha vietato l’export del carbone.
Austria e Romania sono state teatro di comunicazioni pubbliche riguardo al rischio di vedere l’elettricità sparire di colpo.
In Italia a parlare apertamente di rischio blackout fu il ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti.
C’è una relazione tra il programma ecologista (con la «transizione ecologica» di cui tanto ciancia il governo italiano) e l’agenda della de-industrializzazione, che altro non è che una forma di realizzazione del pensiero eugenetico
Del rischio blackout ha trattato lo scorso 13 gennaio il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica – l’organo del Parlamento della Repubblica Italiana che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani, che ha trasmesso alle presidenze una Relazione sulla sicurezza energetica. «L’Italia potrebbe, comunque, subire indirettamente gli effetti di razionamenti energetici condotti a livello europeo ovvero di fenomeni di blackout in uno dei Paesi dell’Unione che inciderebbero sugli scambi commerciali intra UE e quindi sulla tenuta del sistema produttivo nazionale» dice il documento.
Ma le industrie non si fermano solo a causa di blackout. In Francia, dove inaspettati danni a quattro reattori nucleari hanno fatto schizzare il prezzo dell’elettricità, ha dovuto chiudere la più grande raffineria di zinco del Paese. I costi dell’energia erano divenuti tecnicamente insostenibili.
Sull’«harakiri energetico» dei governi, Renovatio 21 ha pubblicato un approfondimento dell’analista William F. Engdahl, che mette in relazione il programma ecologista (con la «transizione ecologica» di cui tanto ciancia il governo italiano) con l’agenda della de-industrializzazione, che altro non è che una forma di realizzazione del pensiero eugenetico.
Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Economia
Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

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Cina
Trump: gli USA imporranno dazi del 100% alla Cina

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che, a partire dal 1° novembre 2025, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 100% sui prodotti cinesi, in reazione a quelle che ha definito restrizioni commerciali «straordinariamente aggressive» introdotte da Pechino.
Giovedì, la Cina ha reso noti nuovi controlli sulle esportazioni di minerali strategici con applicazioni militari, giustificando la misura come necessaria per tutelare la sicurezza nazionale e adempiere agli obblighi internazionali, inclusi quelli legati alla non proliferazione.
In un messaggio pubblicato venerdì su Truth Social, Trump ha accusato la Cina di aver assunto «una posizione estremamente ostile in materia di commercio», annunciando l’intenzione di imporre «controlli su larga scala sulle esportazioni di quasi tutti i prodotti che producono, inclusi alcuni non realizzati da loro», secondo una comunicazione inviata a livello globale. Tali misure, ha sottolineato il presidente, avrebbero impatto su tutti i paesi «senza eccezioni».
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«In risposta a questa posizione senza precedenti della Cina, gli Stati Uniti imporranno un dazio del 100% sui prodotti cinesi, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente in vigore», ha scritto Trump, specificando che, dalla stessa data, saranno introdotti controlli sulle esportazioni di «qualsiasi software critico».
Ad agosto, Stati Uniti e Cina avevano concordato una tregua tariffaria di 90 giorni, che ha ridotto i dazi americani sui prodotti cinesi dal 145% al 30% e quelli cinesi sui prodotti americani dal 125% al 10%. Questa tregua scadrà a novembre. Trump ha definito la mossa di Pechino «assolutamente inaudita nel commercio internazionale» e «una vergogna morale nei rapporti con altre nazioni», precisando di parlare esclusivamente a nome degli Stati Uniti, non di altre nazioni similmente minacciate.
L’annuncio ha provocato un forte impatto sui mercati globali, con un crollo delle borse statunitensi nella giornata di venerdì. Come visibile nella finance card sopra, l’indice S&P 500 ha registrato un calo del 2,7%, segnando la peggiore perdita giornaliera da aprile, mentre il Dow Jones Industrial Average è sceso di circa 900 punti, pari all’1,9%.
Il NASDAQ, fortemente legato al settore tecnologico, ha subito un ribasso del 3,6%, con gli investitori che hanno venduto titoli ad alta crescita, particolarmente vulnerabili alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento cinesi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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