Economia
Blackout in Pakistan

Il Pakistan si aggiunge alla cospicua serie di Paesi che in tutto il mondo sta affrontando blackout elettrici significativi.
Bloomberg riferisce che quasi un quinto della capacità pakistana di generazione di elettricità è offline. La ragione sarebbe la difficoltà da parte di alcune centrali elettriche ad acquistare gas naturale liquefatto e carbone a causa dei prezzi record.
Miftah Ismail, nominato ministro delle finanze dal nuovo primo ministro Shehbaz Sharif, ha twittato che 3.500 megawatt di capacità di alimentazione sono offline a causa della carenza di carburante e un importo simile è dovuto a guasti tecnici.
La capacità totale offline è di 7.000 megawatt o circa un quinto della capacità di generazione totale del Paese.
Il Pakistan, nazione al contempo povera e nucleare, è fortemente dipendente dall’energia importata, il che lo rende molto sensibile alle oscillazioni dei prezzi.
Il Pakistan, che ha appena avuto un cambio di governo, vive un’inflazione paralizzante.
Il Paese ha appena defenestrato il premier Imran Khan, noto per il suo passato di stella del cricket e per il suo matrimonio (non l’ultimo…) altolocato con una membra della famiglia ebraico-inglese dei Goldsmith.
Il Kahn, pur godendo di appoggi internazionali di spessore, non aveva accettato di tagliare totalmente i rapporti con la Russia (e con la Cina, altro grande sponsor di Islamabad) come richiesto dall’«alleato» USA.
La reazione dell’establishment pakistano è stata rapida. Kahn è stato destituito mentre gridava al complotto americano contro di lui, e il Paese, ovviamente, si trova nella crisi del gas a cui sono sottoposti tutti i Paesi del mondo, quasi che la cosa fosse pezzo di un programma internazionale.
«Potrebbe essere solo questione di tempo prima che i blackout continui, l’aumento dei prezzi del cibo e del carburante incitino disordini. Questo sta già accadendo in tutto il mondo nei paesi più deboli» scrive Zerohedge.
Come riportato da Renovatio 21, blackout di varia natura e intensità hanno interessato in questi mesi la Cina, la Turchia, il Giappone, il Kazakistan, l’Uzbekistan, Taiwan, il Kirghizistan e lo Sri Lanka, mentre il Perù è alle prese con una rivolta della popolazione per il caro presso di benzina e non solo.
Una nazione al collasso, ma dotata di armi atomiche, a chi conviene?
Immagine di Scott Edmunds via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Economia
Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

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Cina
Trump: gli USA imporranno dazi del 100% alla Cina

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che, a partire dal 1° novembre 2025, gli Stati Uniti applicheranno dazi del 100% sui prodotti cinesi, in reazione a quelle che ha definito restrizioni commerciali «straordinariamente aggressive» introdotte da Pechino.
Giovedì, la Cina ha reso noti nuovi controlli sulle esportazioni di minerali strategici con applicazioni militari, giustificando la misura come necessaria per tutelare la sicurezza nazionale e adempiere agli obblighi internazionali, inclusi quelli legati alla non proliferazione.
In un messaggio pubblicato venerdì su Truth Social, Trump ha accusato la Cina di aver assunto «una posizione estremamente ostile in materia di commercio», annunciando l’intenzione di imporre «controlli su larga scala sulle esportazioni di quasi tutti i prodotti che producono, inclusi alcuni non realizzati da loro», secondo una comunicazione inviata a livello globale. Tali misure, ha sottolineato il presidente, avrebbero impatto su tutti i paesi «senza eccezioni».
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«In risposta a questa posizione senza precedenti della Cina, gli Stati Uniti imporranno un dazio del 100% sui prodotti cinesi, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente in vigore», ha scritto Trump, specificando che, dalla stessa data, saranno introdotti controlli sulle esportazioni di «qualsiasi software critico».
Ad agosto, Stati Uniti e Cina avevano concordato una tregua tariffaria di 90 giorni, che ha ridotto i dazi americani sui prodotti cinesi dal 145% al 30% e quelli cinesi sui prodotti americani dal 125% al 10%. Questa tregua scadrà a novembre. Trump ha definito la mossa di Pechino «assolutamente inaudita nel commercio internazionale» e «una vergogna morale nei rapporti con altre nazioni», precisando di parlare esclusivamente a nome degli Stati Uniti, non di altre nazioni similmente minacciate.
L’annuncio ha provocato un forte impatto sui mercati globali, con un crollo delle borse statunitensi nella giornata di venerdì. Come visibile nella finance card sopra, l’indice S&P 500 ha registrato un calo del 2,7%, segnando la peggiore perdita giornaliera da aprile, mentre il Dow Jones Industrial Average è sceso di circa 900 punti, pari all’1,9%.
Il NASDAQ, fortemente legato al settore tecnologico, ha subito un ribasso del 3,6%, con gli investitori che hanno venduto titoli ad alta crescita, particolarmente vulnerabili alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento cinesi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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