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Geopolitica

Birmania, non regge il cessate il fuoco tra milizie etniche ed esercito

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il Ta’ang National Liberation Army ha comunicato che i militari ha continuato ad attaccare e bombardare le regioni al confine con la Cina, che aveva mediato gli accordi per proteggere i propri cittadini e investimenti. Nel frattempo l’Arakan Army ha ripreso il controllo della frontiera con l’India. I militari, in difficoltà, cercano di reclutare personale tra i civili delle regioni centrali.

 

È durato meno di un giorno il cessate il fuoco mediato dalla Cina tra la giunta militare del Myanmar e le milizie etniche della Three Brotherhood Alliance che a fine ottobre hanno lanciato un’offensiva contro la giunta militare birmana per la riconquista dei territori nello Stato Shan settentrionale. A riferirlo è stato ieri uno dei gruppi ribelli firmatari della tregua, il Ta’ang National Liberation Army (TNLA), che ha spiegato che i militari, già dal giorno successivo alla firma degli accordi, il 12 gennaio, hanno condotto diversi attacchi e bombardamenti in tre municipalità dello Shan violando l’intesa, che prevedeva una pausa dei combattimenti solo nello Stato settentrionale confinante con la Cina.

 

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Il cessate il fuoco era stato siglato dopo che le milizie avevano riconquistato il 5 gennaio la città di Laukkai, nella regione Kokang, in cui lavorano e risiedono molti cittadini cinesi.

 

Ieri la Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA) – anch’essa parte dell’Alleanza – ha dichiarato di aver rimosso in tutta l’area la legge marziale che era stata imposta dalla giunta militare. Come confermato anche da una dichiarazione da parte delle tre milizie etniche, il cessate il fuoco mirava anche a proteggere gli investimenti e i civili cinesi nello Stato Shan, un’ulteriore conferma di come Pechino lavori per la salvaguardia dei propri interessi in Myanmar più che per una soluzione complessiva del conflitto.

 

Nel frattempo, l’Arakan Army, una milizia attiva nello Stato occidentale del Rakhine, sempre parte dell’Alleanza, ha annunciato di aver riconquistato Paletwa, una città che si trova sul fiume Kaladan nello Stato Chin, vicino al confine con India e Bangladesh. In questo modo le milizie hanno ora il controllo di tutta la frontiera meridionale, compresi i valichi che conducono allo Stato indiano del Mizoram, dove molti profughi, a partire dallo scoppio del conflitto dopo il colpo di Stato del febbraio 2021, si sono rifugiati.

 

Si tratta dell’ennesimo successo delle forze della resistenza, che negli ultimi tre mesi hanno riconquistato 42 centri urbani, localizzati soprattutto lungo le frontiere.

 

La battaglia per il controllo della municipalità di Paletwa era iniziata a metà novembre, ma da quando a fine ottobre le milizie etniche della Three Brotherhood Alliance hanno lanciato l’Operazione 1027, l’esercito birmano si è trovato in grandi difficoltà, al punto che pare possa essere a rischio la stabilità del regime.

 

L’offensiva, inoltre, ha ricevuto grande attenzione perché, per la prima volta dallo scoppio delle ostilità, i gruppi armati che combattono contro i militari hanno unito le forze: anche negli Stati Kachin, Chin e Kayah negli ultimi mesi le milizie etniche locali hanno ottenuto il controllo di centinaia di basi e avamposti dell’esercito, hanno catturato alcuni generali e costretto alla resa centinaia di soldati. Le milizie di etnia Kayah, per esempio, il 12 gennaio hanno comunicato di aver riconquistato la maggior parte della municipalità di Pekon, nella parte meridionale dello Stato Shan.

 

Date le crescenti difficoltà, secondo Radio Free Asia, nelle aree centrali del Paese i militari stanno cercando di reclutare personale tra i civili: nella regione di Bago, fino a 50 residenti per villaggio verranno estratti per unirsi alle forze dell’esercito dopo un mese di addestramento, hanno raccontato in forma anonima alcuni abitanti del posto. I soldati hanno minacciato di bruciare i villaggi se le famiglie si rifiuteranno di collaborare. Altrimenti, per essere esonerati dal servizio, gli abitanti possono scegliere di pagare tra 800mila e un milione di kyat (380 – 476 dollari), cifre proibitive per la stragrande maggioranza della popolazione.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Gli USA hanno tentato di reclutare il pilota di Maduro per un rapimento

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Un agente federale statunitense ha cercato di reclutare in segreto il pilota personale del presidente venezuelano Nicolás Maduro per un piano volto a catturare il leader e consegnarlo alle autorità americane con l’accusa di narcotraffico. Lo riporta l’agenzia Associated Press.   Citanto tre funzionari statunitensi in servizio ed ex, oltre a un oppositore di Maduro, l’agenzia ha indicato che l’agente della Sicurezza Nazionale Edwin Lopez ha incontrato il pilota di Maduro, il generale Bitner Villegas, nella Repubblica Dominicana nel 2024. Lopez avrebbe proposto al pilota denaro e protezione in cambio del dirottamento dell’aereo presidenziale verso un luogo dove le autorità USA potessero arrestarlo. Il pilota non ha dato una risposta immediata, ma ha proseguito a messaggiare con l’agente per oltre un anno, anche dopo il pensionamento di Lopez nel luglio 2025.   L’agente avrebbe menzionato l’annuncio del Dipartimento di Giustizia che portava a 50 milioni di dollari la taglia per la cattura di Maduro, incitando Villegas a «diventare l’eroe del Venezuela». Il pilota ha infine declinato, definendo Lopez un «codardo» e interrompendo i contatti.   Le rivelazioni emergono mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione militare e di intelligence su Caracas. Il presidente Donald Trump ha autorizzato la CIA a condurre operazioni clandestine in Venezuela e ha schierato navi da guerra, aerei e migliaia di truppe nei Caraibi per quella che Washington presenta come una campagna antidroga. Negli ultimi mesi, raid statunitensi contro imbarcazioni al largo di Venezuela e Colombia avrebbero causato decine di morti.   Trump sostiene che le azioni mirano ai narcotrafficanti, mentre funzionari USA accusano il governo Maduro di gestire uno «narcostato».

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Il presidente venezuelano ha respinto le accuse come pretesto per un cambio di regime. Ha definito l’ammissione di Trump su attività segrete della CIA in Venezuela come senza precedenti e «disperata». Maduro ha posto l’esercito in massima allerta e ha ricordato che il Paese dispone di un ampio arsenale di sistemi antiaerei Igla-S di epoca sovietica.   Mosca, alleata di Caracas, ha condannato la campagna USA. All’inizio del mese, l’ambasciatore russo all’ONU, Vassily Nebenzia, ha accusato Washington di orchestrare un colpo di Stato in Venezuela sotto la copertura di un’operazione antidroga, definendola «una palese violazione del diritto internazionale e dei diritti umani».   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.   Nelle scorse settimane perfino l’account YouTube di Maduro è stato rimosso da YouTube.   Secondo notizie emerse nelle ultime ore Trump punterebbe ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela.  

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Economia

USA e Giappone firmano un accordo sui minerali essenziali

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Martedì, Stati Uniti e Giappone hanno siglato un accordo di cooperazione per la produzione e la fornitura di minerali essenziali e terre rare. La mossa arriva dopo la decisione della Cina di rafforzare i controlli sulle esportazioni di terre rare e attrezzature per la produzione di chip, in risposta ai dazi imposti dal presidente statunitense Donald Trump.

 

L’intesa è stata conclusa durante la visita di Trump a Tokyo, dove ha incontrato per la prima volta il nuovo primo ministro giapponese, Sanae Takaichi.

 

Secondo la Casa Bianca, le due nazioni hanno convenuto di promuovere iniziative congiunte «necessarie a sostenere le industrie nazionali, incluse le tecnologie avanzate e le rispettive basi industriali», e di impiegare «strumenti di politica economica e investimenti coordinati per accelerare lo sviluppo di mercati diversificati, liquidi ed equi per minerali essenziali e terre rare».

 

I leader hanno inoltre sottoscritto un documento che impegna i rispettivi governi a «intraprendere ulteriori passi verso una nuova era d’oro per l’alleanza in continua crescita tra Stati Uniti e Giappone».

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Trump ha definito il Giappone un «alleato al livello più alto», elogiando Takaichi, insediatosi la settimana scorsa, come «uno dei più grandi primi ministri». Takaichi, dal canto suo, ha promesso di rafforzare i legami bilaterali, che ha descritto come «la più grande alleanza al mondo».

 

Trump ha da tempo manifestato interesse a garantire l’accesso ai minerali di terre rare in diverse regioni del mondo, perseguendo sia opportunità economiche vantaggiose sia una maggiore influenza geopolitica.

 

All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno firmato un accordo sui minerali con l’Ucraina, considerato da diplomatici e politici americani una forma di garanzia di sicurezza per Kiev. Trump ha inoltre concluso un’intesa di investimento con l’Australia all’inizio di questo mese, mirata a contrastare il dominio cinese nel mercato delle terre rare e dei minerali essenziali.

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Economia

I mercati argentini salgono dopo la vittoria elettorale di Milei, che ringrazia il presidente Trump

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Il presidente argentino Javier Milei ha conquistato una vittoria schiacciante alle elezioni di medio termine del suo Paese, considerate un importante banco di prova per il sostegno alle sue riforme radicali di «terapia d’urto» e alla sua politica economica «a motosega».   Il partito di Milei, La Libertad Avanza, ha ottenuto il 40,8% dei voti a livello nazionale per la camera bassa del Congresso e ha prevalso in sei delle otto province che hanno eletto un terzo del Senato.   L’opposizione di sinistra, rappresentata dai peronisti, ha raccolto il 31,7% dei voti. Sebbene Milei non abbia conquistato la maggioranza assoluta in Congresso, questo risultato complicherà notevolmente gli sforzi dei suoi oppositori per ostacolare il suo programma.   Milei ha implementato un ambizioso piano libertario, caratterizzato da tagli significativi a normative, spesa pubblica, politiche statali e dipartimenti governativi, con l’obiettivo di risollevare l’Argentina da decenni di stagnazione economica.   Il suo approccio ha ricevuto il sostegno del presidente statunitense Donald Trump, che ha offerto supporto finanziario per garantire l’avanzamento delle riforme, soprattutto dopo il recente crollo drammatico del peso argentino.   Durante un incontro alla Casa Bianca con Milei la settimana scorsa, Trump ha promesso un pacchetto di aiuti da 20 miliardi di dollari, con la possibilità di raddoppiarlo in caso di successo alle elezioni di medio termine.   «Se non vince, siamo fuori», ha dichiarato Trump. «Se perde, non saremo generosi con l’Argentina».

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All’inizio di questo mese, il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha stipulato uno swap valutario da 20 miliardi di dollari con la banca centrale argentina per stabilizzare il mercato obbligazionario del Paese in vista delle elezioni. Bessent ha chiarito che il pacchetto di aiuti non va considerato un «salvataggio», ma piuttosto una «Dottrina Monroe economica», richiamando la politica del XIX secolo volta ad affermare la supremazia degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale.   Il segretario del Tesoro USA ha sottolineato che il successo dell’Argentina è nell’interesse degli Stati Uniti, non solo per stabilizzare il Paese, ma anche per renderlo un «faro» per altre nazioni della regione. «Non vogliamo un altro Stato fallito o sotto l’influenza cinese in America Latina», ha affermato Bessent.   Le obbligazioni, la valuta e le azioni argentine hanno registrato un’impennata lunedì mattina, dopo che il partito del presidente Javier Milei ha ottenuto una decisiva vittoria alle elezioni di medio termine. Il risultato è fondamentale per preservare il radicale rilancio economico di Milei in un Paese devastato da decenni di mala gestione socialista che ha distrutto la nazione.   Le riforme del libero mercato e l’aggressivo programma di austerità di Milei hanno già iniziato a raffreddare l’inflazione e a stabilizzare le condizioni finanziarie, segnalando agli investitori che il percorso di ristrutturazione resta intatto.   Milei ha poi ringraziato Trump su X:     «Grazie, Presidente Trump, per la fiducia accordata al popolo argentino. Lei è un grande amico della Repubblica Argentina. Le nostre nazioni non avrebbero mai dovuto smettere di essere alleate. I nostri popoli vogliono vivere in libertà. Contate su di me per lottare per la civiltà occidentale, che è riuscita a far uscire dalla povertà oltre il 90% della popolazione mondiale».

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