Persecuzioni
Birmania, l’esercito mantiene la presa sulla cattedrale di Loikaw, il vescovo rifugiato «in foresta»

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Mons. Celso Ba Shwe, dopo essere stato testimone della devastazione totale della cattedrale di Cristo Re, ha abbandonato la città. La dissacrazione dei soldati nei confronti dei luoghi di culto ha impressionato anche i buddhisti, raccontano fonti di AsiaNews. Nel frattempo la Cina sta cercando di mediare colloqui di pace tra la giunta golpista e le milizie della resistenza, al momento con scarso successo.
A due settimane ormai dalla dichiarazione in cui raccontava l’attacco dell’esercito birmano contro la cattedrale di Cristo Re a Loikaw, capitale dello Stato Kayah, il vescovo Celso Ba Shwe resta rifugiato in un luogo sicuro nella foresta birmana, raccontano fonti di AsiaNews.
Le immagini che sono circolate in seguito alla devastazione della chiesa hanno scioccato anche i birmani buddhisti: «i soldati hanno dato prova di essere dissacratori veri e propri», hanno raccontato le fonti.
Lo stesso vescovo era riuscito a tornare alla chiesa per recuperare alcuni documenti e ha trovato la devastazione più totale. «Segni di morte e di dissacrazione sono stati trovati all’interno della chiesa», hanno detto le fonti, citando anche lo stupro di donne i cui corpi dilaniati sono stati ritrovati nei pressi della cattedrale.
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«Diverse volte le autorità di fatto del Myanmar avevano chiesto al vescovo di Loikaw di utilizzare il compound della cattedrale come base militare operativa». L’esercito si è alla fine preso il luogo di culto con la forza.
«La città ora è spaccata in due», hanno proseguito le fonti, secondo cui le truppe mantengono il controllo sulla chiesa e i dintorni, «un territorio vasto», mentre le milizie della resistenza anti-golpe, guidate dalla Karenni Nationalities Defense Force, stanno combattendo per ottenere il totale controllo di Loikaw.
«Le percentuali che circolano sulla riconquista del territorio non possono essere considerate affidabili perché sono inverificabili. Ciò che è certo – hanno proseguito i contatti locali – è che ora si combatte veramente ovunque e i controlli sono diventati ancora più stringenti». In altre parole, in ogni strada i civili vengono ispezionati in maniera dettagliata da parte dei soldati.
«I birmani si distinguono per i loro silenzi, ma il silenzio attorno ad alcune vicende sta aumentando», hanno continuato le fonti di AsiaNews. «Le persone stanno subendo l’esperienza della guerra in maniera ancora più diretta. Coloro che in questi anni si sono presi cura dei più fragili e dei vulnerabili, come i bambini, gli sfollati e i minori senza famiglia, coloro che sono rimasti soli, stanno crollando sotto il peso del loro dolore e di quello delle persone di cui si sono fatti carico. E questo aumenta ancora di più il silenzio, perché il male e la violenza spaventano, diventano indicibili e attaccano a livello emotivo le persone dall’interno».
Migliaia di sfollati continuano a migrare da una regione all’altra nel tentativo di evitare i bombardamenti. All’interno della diocesi di Loikaw, circa 26 delle 41 parrocchie sono state del tutto abbandonate.
Nel frattempo la Cina, che aveva finora evitato il coinvolgimento diretto nel conflitto, nei giorni scorsi ha dichiarato di aver mediato i colloqui tra l’esercito golpista e le tre milizie etniche che il 27 ottobre (esattamente un mese prima dell’attacco alla cattedrale di Loikaw da parte dell’esercito) hanno lanciato nel nord del Myanmar l’Operazione 1027, un’offensiva congiunta per la riconquista del Paese.
Da settimane i combattimenti infuriano nello Stato Shan settentrionale, dove sono stati registrati almeno 30mila sfollati interni. L’Arakan Army, la Myanmar National Democratic Alliance Army e la Ta’ang National Liberation Army, che formano quella che ha preso il nome dell’Alleanza della Fratellanza, hanno attaccato una serie di avamposti lungo il confine tra Myanmar e Cina, bloccando il commercio transfrontaliero e provocando una certa preoccupazione a Pechino.
Dopo la notizia riguardo i colloqui di pace (di cui un secondo round dovrebbe svolgersi entro la fine del mese), però, ieri le tre milizie hanno riaffermato la volontà di sconfiggere il regime militare al potere.
«Sono stati compiuti progressi significativi, ma raggiungere i nostri obiettivi completi richiede più tempo e sforzi continui», hanno scritto le tre milizie sul social X, senza menzionare i colloqui. «Il nostro impegno rimane forte nei confronti dell’intera popolazione del Myanmar».
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Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
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