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Economia

Biden e lo sfruttamento della manodopera cinese

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire.

 

 

 

L’amministrazione Joe Biden è animata da un’ideologia fanatica, presa a prestito da gruppuscoli di credenti di sinistra. È sostenuta da due potenti lobby: il complesso militare-industriale e le multinazionali che producono in Cina. Thierry Meyssan si occupa di quest’ultima lobby, cui non viene attribuita la dovuta rilevanza.

 

 

L’amministrazione Biden adotterà la strategia definitiva nei confronti del rivale cinese non prima di giugno, quando la commissione ad hoc del Pentagono presenterà le proprie proposte alla Casa Bianca.

 

Sotto l’autorità di Xi Jinping, la Cina ha iniziato a travalicare i propri confini. Ha già collocato tremila soldati nelle Forze delle Nazioni Unite e ha aperto una base a Gibuti. A rigor di logica, per proteggere gli scambi internazionali dovrebbe – come avvenne con la storica via della seta – installare presidi militari lungo le vie che sta costruendo. E, cosa non meno importante, si sta reinsediando sugli isolotti del Mar della Cina, abbandonati nel XIX secolo.

 

La Cina vuole innanzitutto recuperare lo spazio vitale di cui è stata spogliata dai coloni occidentali. È certa di averne pieno diritto e ritiene di poter usare qualsiasi mezzo per prendersi la rivincita.

 

La Cina intende evitare ogni scontro diretto con gli Stati Uniti. Preferisce non affrontare direttamente l’avversario e s’impegna in guerre, non dichiarate, sul piano commerciale, economico, finanziario, psicologico, mediatico e altro ancora

Ma, come vuole la strategia esposta nel 1999 dal generale Qiao Liang e dal colonnello Wang Xiangsui (1), intende evitare ogni scontro diretto con gli Stati Uniti. Preferisce non affrontare direttamente l’avversario e s’impegna in guerre, non dichiarate, sul piano commerciale, economico, finanziario, psicologico, mediatico e altro ancora.

 

L’irredentismo cinese presuppone l’estromissione degli Occidentali, che da oltre un secolo e mezzo occupano l’Estremo Oriente. Non va confuso con la strategia di sviluppo economico, che è riuscita in pochi anni a far uscire dalla povertà centinaia di milioni di cinesi.

 

La strategia economica della Nuova Cina è iniziata nel 1978, sotto la direzione di Deng Xiaoping, ma ha cominciato a dare frutti soltanto nel 1994. All’epoca l’Unione Sovietica era scomparsa; l’esercito USA era stato in gran parte smobilitato; il presidente Bush aveva dichiarato che era tempo di far soldi e il successore, Bill Clinton, era stato indotto da alcune grandi compagnie ad aprire il mercato del lavoro cinese. Un operario cinese, ancorché non qualificato, costava circa 20 volte meno di un operaio USA.

 

Il presidente Clinton inizia allora a sganciare i negoziati sui Diritti dell’uomo (in senso anglosassone) dalle questioni commerciali. Poi fa entrare la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). In pochi anni le grandi società trasferiscono le loro fabbriche sulla costa cinese, a vantaggio dei consumatori e a scapito degli operai statunitensi

Il presidente Clinton inizia allora a sganciare i negoziati sui Diritti dell’uomo (in senso anglosassone) dalle questioni commerciali. Poi fa entrare la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). In pochi anni le grandi società trasferiscono le loro fabbriche sulla costa cinese, a vantaggio dei consumatori e a scapito degli operai statunitensi.

 

Vent’anni dopo gli statunitensi consumano in massa prodotti cinesi e le grandi imprese, diventate multinazionali, aumentano i guadagni in misura esponenziale. Ma contemporaneamente le fabbriche di beni di consumo negli Stati Uniti sono state delocalizzate o hanno chiuso, sicché la disoccupazione ha dilagato. La ripartizione della ricchezza è stata modificata in modo che ormai la classe media è pressoché sparita; per contro, ci sono soprattutto molti poveri e alcuni ultramiliardari.

 

Quando il fenomeno comincia a estendersi all’Europa, ecco che gli elettori statunitensi scelgono Donald Trump come presidente.

 

Trump tenta dapprima di risolvere bonariamente la questione della bilancia dei pagamenti con la Cina (Border-adjustment tax), ma i Democratici e parte dei Repubblicani glielo impediscono. Non riuscendo a far adottare una chiusura parziale delle frontiere, si butta in una guerra delle tariffe doganali, su cui il Congresso non ha voce in capitolo.

 

La ripartizione della ricchezza è stata modificata in modo che ormai la classe media è pressoché sparita; per contro, ci sono soprattutto molti poveri e alcuni ultramiliardari

Nel 2021 il presidente Biden succede ufficialmente a Trump. È sostenuto dalle multinazionali che traggono la loro immensa fortuna dalla globalizzazione economica.

 

Biden dichiara subito di voler normalizzare le relazioni fra Stati Uniti e Cina. Chiama il presidente Xi Jinping per la situazione degli uiguri e di Hong Kong, ma si affretta a riconoscere che Tibet e Taiwan sono cinesi, realtà in parte contestata dal predecessore. Ma, soprattutto, in una conferenza stampa dichiara che ogni Paese ha «proprie norme» e che le posizioni politiche di Cina e Stati Uniti seguono ciascuna la propria peculiare logica.

 

Così, una volta insediato alla Casa Bianca, ha potuto affermare di «comprendere» la repressione cinese del terrorismo uiguro, benché solo poche settimane prima accusasse la Cina di «genocidio» del popolo uiguro, travestendolo da repressione del terrorismo.

 

Biden è sostenuto dalle multinazionali che traggono la loro immensa fortuna dalla globalizzazione economica

Nei prossimi quattro anni l’amministrazione Biden dovrebbe perciò continuare l’opera dei presidenti Clinton, Bush figlio e Obama: a massimo profitto dei multimiliardari e a scapito del popolo statunitense. Si appoggerà a una classe dirigente che dal sistema trarrà beneficio personale.

 

Per capire il meccanismo, ricapitoliamo le peculiarità delle otto principali personalità che sostengono l’alleanza fra Stati Uniti e Cina. Innanzitutto sul piano politico: una delle principali icone dei Democratici e il capo dei Repubblicani in senato; poi sul piano economico: i due principali distributori di beni di consumo; infine sul piano governativo: chi decide nell’amministrazione Biden.

 

I sostegni di parte

Dianne Feinstein
Sindaco di San Francisco dal 1978 al 1988; senatrice dal 1992.
Partito Democratico.
Quand’era sindaco di San Francisco, nel 1978 strinse legami con Jiang Zemin, che prese parte alla repressione della rivoluzione colorata di Tienanmen (1989) e in seguito successe a Deng Xiaoping. Grazie a questo contatto, la senatrice divenne un intermediario obbligato per le multinazionali USA che volevano impiantare industrie in Cina e fece la fortuna del terzo marito, il finanziere Richard C. Blum (Blum Partners).
In cambio del silenzio sugli 80 mila prigionieri segreti della Navy in acque internazionali, la signora Feinstein ottenne la divulgazione delle informazioni sui 119 prigionieri della CIA – compresi quelli di Guantanamo – e sulle torture loro inflitte. Un fatto che la rese celebre.

 

Nei prossimi quattro anni l’amministrazione Biden dovrebbe perciò continuare l’opera dei presidenti Clinton, Bush figlio e Obama: a massimo profitto dei multimiliardari e a scapito del popolo statunitense

Mitch McConnell
Senatore dal 1984; attuale presidente della minoranza repubblicana del Senato.
Partito Repubblicano.
In cambio del sostegno del Partito Repubblicano alla politica del presidente, è riuscito a imporre la moglie, Elaine Chao, segretaria ai Trasporti dell’amministrazione Trump. Il suocero, l’uomo d’affari James S.C. Chao, è un generoso donatore della facoltà di economia di Harvard. Ha potuto così esigere che l’università formasse una generazione di dirigenti cinesi.

 

I sostegni dei grandi distributori

Walmart: famiglia Walton
Proprietà familiare dei Walton.
Finanzia il Partito Democratico. Hillary Clinton è stata membro del consiglio di amministrazione.
È il primo distributore di beni di consumo negli Stati Uniti.
Nel 2020 i Walton sono ritenuti la famiglia più ricca al mondo.

Mitch McConnell è riuscito a imporre la moglie, Elaine Chao, segretaria ai Trasporti dell’amministrazione Trump

 

Amazon: Jeff Bezos
Jeff Bezos, presidente-direttore generale di Amazon, Blue Origin e Washington Post.
Donatore del movimento transumanista.
Primo distributore di beni di consumo a domicilio in Occidente.
Nel 2020 è ritenuto l’uomo più ricco al mondo.

 

I sostegni dell’amministrazione Biden

Ron Klain
Capo di gabinetto del vicepresidente Al Gore, poi del vicepresidente Joe Biden (1999-2011); capo di gabinetto della Casa Bianca (ossia coordinatore dell’amministrazione Biden) dal 2021.
Partito Democratico.
La moglie, Monica Medina, lavorava per la Walton Family Foundation, ossia per Walmart.

 

Durante la campagna elettorale è stato fatto di tutto per impedire che gli elettori venissero a conoscenza dell’inchiesta del New York Post sul figlio del presidente Biden, Hunter, che, tra l’altro, si è appropriato in Ucraina di un miliardo di dollari, con la complicità della CEFC China Energy

Antony Blinken
Consigliere per la Sicurezza Nazionale del vicepresidente Biden (2009-2013); vice consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Obama (2013-2015); cofondatore di WestExec Advisors (2017-2021); segretario di Stato dal 2021.
Neoconservatore.
La sua società di lobbying, WestExec Advisors, è formata da membri dell’amministrazione Obama. Ha il compito di mettere in relazione le multinazionali USA sia con il dipartimento USA della Difesa sia con il governo cinese.

 

Avril Haines
Vicedirettrice della CIA (2013-2015); vice consigliera per la Sicurezza Nazionale (2015-2017); lobbysta della WestExec Advisors (2018-2021); direttrice dell’intelligence nazionale dal 2021.
Partito Democratico.
Quando è stata alla WestExec Advisors, ha difeso gli interessi delle grandi società USA a trasferire le loro fabbriche in Cina.
La signora Haines è soprannominata «regina dei droni» per aver concepito il programma mondiale di uccisioni mirate per mezzo di droni. Fu lei a negoziare con la signora Feinstein affinché non venissero resi pubblici i sequestri e le torture della Navy.

 

Neera Tanden
Direttore del Center for American Progress; dal 2021 direttore dell’Ufficio per la gestione e il budget.
Neoconservatrice. Amica personale di Hillary Clinton.
Pur essendo direttrice del think-tank dei Democratici, Tanden era membro della China-United States Exchange Foundation (CUSEF), oggi sciolta. Era un’organizzazione incaricata dal governo cinese di neutralizzare le critiche negli Stati Uniti contro la politica delle multinazionali di delocalizzazione in Cina.

 

L’elezione del presidente Biden è un colpo di fortuna per la Cina, che ancora non è completamente uscita dal sottosviluppo. Spera di sfruttare il gusto per i soldi facili degli ultramiliardari statunitensi al fine d’indurli a costruire, a loro spese, nuove fabbriche nel Paese

Ricordiamo che durante la campagna elettorale è stato fatto di tutto per impedire che gli elettori venissero a conoscenza dell’inchiesta del New York Post sul figlio del presidente Biden, Hunter, che, tra l’altro, si è appropriato in Ucraina di un miliardo di dollari, con la complicità della CEFC China Energy, società in seguito sciolta.

 

 

La posizione cinese

L’elezione del presidente Biden è un colpo di fortuna per la Cina, che ancora non è completamente uscita dal sottosviluppo. Spera di sfruttare il gusto per i soldi facili degli ultramiliardari statunitensi al fine d’indurli a costruire, a loro spese, nuove fabbriche nel Paese.

 

La Cina sa che non può perdere l’occasione. Infatti, man mano che lo sviluppo progredisce, gli operai cinesi diventano maggiormente qualificati e diventano un costo sempre maggiore. Già adesso, quelli che vivono sulla costa del Mar della Cina hanno salari paragonabili a quelli degli operai statunitensi. Quindi non sono più appetibili per il mercato straniero e si rivolgono al mercato interno, ora solvibile.

 

Ovvio che la Cina abbia cominciato a proteggere la parte sviluppata del Paese da possibili delocalizzazioni. Costringe tutte le società occidentali a operare attraverso joint-venture, possedute per metà da cittadini cinesi. Impone inoltre la presenza di un rappresentante del Partito all’interno del consiglio di amministrazione di queste imprese, in modo d’assicurarsi che non possano adottare una strategia anti-nazionale.

La Cina s’appresta a dare il benservito agl’investitori stranieri e a inondare i loro stessi mercati

 

A termine, la Cina s’appresta a dare il benservito agl’investitori stranieri e a inondare i loro stessi mercati. Questa volta però nel proprio primario interesse.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

(1) Qiao Liang & Wang Xiangsui, Unrestricted Warfare: China’s Master Plan to Destroy America, Echo Point Books & Media (2015); traduzione italiana Liang Qiao e Wang Xiangsui, Guerra senza Limiti, LEG edizioni, 2019.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Biden e lo sfruttamento della manodopera cinese», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 23 febbraio 2021.

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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Economia

Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani

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Il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe rinunziando alla sua speciale tecnologia «Just Walk Out» che permetteva ai clienti di mettere la spesa nella borsa e lasciare il negozio senza dover fare la fila alla cassa. Lo riporta The Information, testata californiana che si occupa del business della grande tecnologia.

 

La tecnologia, disponibile solo nella metà dei negozi Amazon Fresh, utilizzava una serie di telecamere e sensori per tracciare ciò con cui gli acquirenti lasciavano il negozio. Tuttavia, secondo quanto si apprende, invece di chiudere il ciclo tecnologico con la pura automazione e l’intelligenza artificiale, l’azienda ha dovuto fare affidamento anche su un esercito di oltre 1.000 lavoratori in India, che fungevano da cassieri a distanza.

 

Di questo progetto denominato «Just Walk Out» – uno stratagemma di marketing per convincere più clienti a fare acquisti nei suoi negozi, minando attivamente il mercato del lavoro locale – forse non ne sentiremo la mancanza.

 

Nel 2018 Amazon ha iniziato a lanciare il suo sistema «Just Walk Out», che avrebbe dovuto rivoluzionare l’esperienza di vendita al dettaglio con l’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Diverse altre società, tra cui Walmart, hanno seguito l’esempio annunciando negozi simili senza cassiere.

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Tuttavia più di cinque anni dopo, il sistema sembra essere diventato sempre più un peso. Stando sempre a quanto riportato da The Information, la tecnologia era troppo lenta e costosa da implementare, con i cassieri in outsourcing che avrebbero impiegato ore per inviare i dati in modo che i clienti potessero ricevere le loro ricevute.

 

Oltre a fare affidamento su manodopera a basso costo e in outsourcing e invece di pagare salari equi a livello locale, le critiche hanno anche messo in dubbio la pratica di Amazon di raccogliere una quantità gigantesca di dati sensibili, compreso il comportamento dei clienti in negozio, trasformando una rapida visita al negozio in un incubo per la privacy, scrive Futurism.

 

L’anno scorso, il gruppo di difesa dei consumatori Surveillance Technology Oversight Project, aveva intentato un’azione legale collettiva contro Amazon, accusando la società di non aver informato i clienti che stava vendendo segretamente dati a Starbucks a scopo di lucro.

 

Nonostante la spinta aggressiva nel mercato al dettaglio, l’impatto dei negozi di alimentari di Amazon negli Stati Uniti, è ancora notevolmente inferiore a quella dei suoi concorrenti quali Walmart, Costco e Kroger, come sottolinea Gizmodo.

 

Invece di «Just Walk Out», Amazon ora scommette su scanner e schermi incorporati nel carrello della spesa chiamato «Dash Carts». Resta da vedere se i «Dash Carts» si riveleranno meno invasivi dal punto di vista della privacy dei dati.

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Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Economia

FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»

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I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.   L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».   L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».   «Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».

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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.   Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.   Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazionesuperinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.   Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.

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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari

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Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.

 

Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.

 

Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.

 

Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.

 

L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.

 

Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.

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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.

 

Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.

 

Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.

 

I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.

 

Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.

 

Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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