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Geopolitica

Ayatollah iraniano assassinato in pubblico

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La vittima è il 75enne ex imam di Zahedan, capoluogo del Sistan e Baluchistan. Stretto collaboratore di Khamenei, in passato è stato membro dell’Assemblea degli esperti. Ignota al momento la matrice dell’uccisione e le ragioni del gesto. La provincia d’origine del leader sciita teatro di proteste e scioperi.

 

 

Un omicidio avvolto nel mistero e dai contorni oscuri che, a 24 ore di distanza, lascia aperti diversi interrogativi. A partire dalla vittima, l’ayatollah Abbas Ali Soleimani, ex imam di Zahedan, capoluogo della provincia del Sistan e Baluchistan, provincia a maggioranza sunnita nel sud-est dell’Iran dove sono avvenuti gli scontri più violenti nell’ambito delle proteste per Mahsa Amini.

 

Il leader religioso è deceduto in un attacco armato mentre si trovava all’interno di una banca della città di Babolsar, nella provincia settentrionale di Mazandaran: secondo l’agenzia Irna, l’assalitore – una guardia giurata, poi arrestata – ha aperto il fuoco colpendolo alla testa.

 

Finora non sono emersi ulteriori dettagli in merito all’accaduto, né si conosce il movente che ha armato la mano dell’assalitore, che ha ferito altre tre persone e la cui identità resterebbe ignota.

 

Di certo vi è il valore della 75enne vittima, che in passato era fra i membri dell’Assemblea di 88 esperti chiamata a nominare il leader supremo della Repubblica islamica oltre a essere stato stretto collaboratore di Khamenei. Le telecamere di sorveglianza mostrerebbero Soleimani seduto su una sedia, mentre la guardia alle sue spalle apre il fuoco colpendolo mentre il turbante rotola a terra.

 

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha chiesto una pronta indagine sull’uccisione di Soleimani, appellandosi alle forze di sicurezza perché «agiscano il più rapidamente possibile» per determinare «le cause dell’incidente» e «identificare il movente».

 

Fra le altre versioni circolate in queste ore, anche quella secondo cui il leader sciita si trovava all’interno dell’istituto di credito quando un uomo ha sfilato l’arma a una guardia e ha iniziato a sparare. Dopo una fase iniziale di confusione e paura, i colleghi sarebbero intervenuti disarmando e bloccando l’aggressore, poi arrestato.

 

Sebbene al momento non vi siano ulteriori elementi e non è chiara la matrice a partire da «questioni di sicurezza o terrorismo», come afferma Mahmoud Hosseinipour Nouri, governatore di Mazandaran, fra le piste ritenute plausibili vi è anche quella sunnita.

 

Soleimani aveva servito come rappresentante personale del leader supremo Khamenei nella provincia di Sistan e Baluchistan, confinante con due nazioni a larga maggioranza sunnita come il Pakistan e l’Afghanistan. Al loro interno operano gruppi estremisti contrari al governo sciita di Teheran, insieme a bande dedite al contrabbando e al narcotraffico.

 

Già nell’aprile dello scorso anno un sospetto estremista sunnita ha pugnalato a morte due religiosi sciiti e ne ha ferito un altro nella città di Mashhad.

 

Nell’area si sono registrati alcuni fra gli scontri più violenti fra manifestanti e forze di sicurezza, nel novero delle proteste per la morte della 22enne curda per mano della polizia della morale nel settembre scorso a Teheran, perché non indossava correttamente l’hijab. Fra questi l’uccisione di 80 dimostranti, con le forze di sicurezza che avevano aperto indiscriminatamente il fuoco sulla folla inerme.

 

Scontri si sono registrati anche ieri nell’area di Fanuj, in seguito alla morte di un giovane manifestante sempre per mano della polizia mentre; nei giorni scorsi, per la seconda volta i lavoratori del settore energetico, minerario e petrolchimico hanno incrociato le braccia chiedendo l’aumento dei salari.

 

In un clima di proteste e malcontento diffuso in tutta la Repubblica Islamica, i leader religiosi sono diventati un bersaglio dei manifestanti che a più riprese hanno tolto loro i turbanti dalla testa in segno di sfida (e dispregio), rilanciando video e filmati su internet.

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

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Geopolitica

Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.

 

Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».

 

Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.

 

Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.

 

Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.

 

Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».

 

Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.

 

Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.

 

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La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».   In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.   Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».   «Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».  

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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.   Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.   Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.

 

In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».

 

Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.

 

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.

 

In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.

 

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».

 

Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».

 

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