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Geopolitica

Afghanistan, è già tornato il mercato delle schiave sessuali – anche bambine

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Il giornale britannico Guardian ha raccontato che i talebani hanno demandato agli imam delle zone sotto il loro controllo (in pratica, tutto l’Afghanistan) di consegnare loro un elenco di femmine «non sposate, di età compresa tra i 12 e i 45 anni, affinché possano essere sposate dai loro soldati in quanto qhanimat (bottino di guerra) che spetta ai vinti».

 

«I combattenti sono quindi andati di porta in porta per reclamare i loro “premi”, anche guardando attraverso gli armadi delle famiglie per stabilire l’età delle ragazze prima di costringerle a una vita di servitù sessuale» scrive il Daily Mail.

 

Lo stupro, in realtà, potrebbe solo l’inizio di un lungo inferno.

 

«Poi, dopo la violenza sessuale, le stesse possono essere vendute o cedute nell’ambito di qualche trattativa commerciale vedi armi o droga», scrive la Verità.

 

La produzione di oppio in Afghanistan di fatto non si è mai arrestata, anzi, come riportato da Renovatio 21, pare propria aver prosperato sotto il comando americano. Parimenti, le armi che arrivano ora da Paesi stranieri a breve diventeranno un surplus da vendere ad altri – destabilizzando altre regioni limitrofe o meno.

 

«Ora i talebani stanno andando porta a porta in alcune aree, compilando elenchi di donne e ragazze di età compresa tra i 12 ei 45 anni affinché i loro combattenti possano sposarsi forzatamente»

Il Guardian racconta la storia raccapricciante della fuga di una ventiduenne accompagnata dallo zio, che, a piedi, hanno raggiunto vari villaggi, dove però erano costantemente traditi dai locali che informavano i talebani della presenza di una possibile schiava da reclamare tra le spoglie di guerra.

 

Omar Sadr, che all’Università americana dell’Afghanistan è docente di politica (non si saper quanto…) sostiene che «i combattenti talebani si sentono autorizzati a fare tutto questo in base alla loro rigida interpretazione dell’Islam, che vede le donne come kaniz», cioè merce.

 

Nelle aree che gli islamisti hanno catturato, alle donne è stato vietato di andare a scuola, lavorare o lasciare le loro case senza permesso.

 

Su Bloomberg l’editorialista Ruth Pollard ha affermato che la caccia alle donne bottino di guerra ora si è estesa alle ragazze di appena 12 anni.

 

«Ora i talebani stanno andando porta a porta in alcune aree, compilando elenchi di donne e ragazze di età compresa tra i 12 ei 45 anni affinché i loro combattenti possano sposarsi forzatamente», scrive la giornalista.

 

«Non devono nemmeno sposarli, è una forma di schiavitù sessuale», puntualizza la Pollard, aggiungendo che costituisce anche una forma di “pulizia etnica” poiché altre culture vengono forzatamente assimilate al gruppo pashtun dei talebani

«Non devono nemmeno sposarli, è una forma di schiavitù sessuale», puntualizza la Pollard, aggiungendo che costituisce anche una forma di “pulizia etnica” poiché altre culture vengono forzatamente assimilate al gruppo pashtun dei talebani.

 

Questi racconti sul ritorno della schiavitù (il futuro che ora, grazie all’inetto BiPden, è dinanzi a molte donne afghane) fanno tornare alla mente un ricordo lontano, ma in qualche modo legato alla storia del Paese.

 

Joanne Herring è una miliardaria texana che, intima del controverso presidente pakistano Muhammad Zia-ul-Haq, fece da console onorario del Pakistan in Texas. Come visibile nel film La guerra di Charlie Wilson, dove è interpretata da Julia Roberts, la Herring – il cui anticomunismo era alimentato da uno strano zelo protestante – ebbe, e neppure tanto dietro le quinte, un ruolo di primo piano nell’Operazione Ciclone, ossia del programma CIA di addestramento e armamento dei Mujaheddin afghani durante l’invasione sovietica del Paese (1979-1989).

 

La Herring, che è dipinta come una esuberante libertina strapiena di contatti (come il suo amico d’infanzia James Bakler III, poi Segretario di Stato USA), rastrellò la forza politica necessaria a Washington per far sì che la CIA investisse miliardi (con i sauditi, gli egiziani e pure gli israeliani) nel sostegno degli allora chiamati «freedom fighters» afghani, di cui i talebani sono una variante etnico-religiosa tribale.

 

La texana era un’inevitabile regina degli eventi a Houston, e divenne famosa per la sontuosa e decadente festa di compleanno che suo marito le organizzò nel 1959: un grande party a tema «orgia romana» che includeva costumi d’epoca e una finta asta di schiave. Il festone, di dubbia sensibilità estetico-politica perfino per gli anni Cinquanta, finì sull’allora onnipresente rivista Life. Del resto, parlare di schiavitù in America, almeno da dopo la Guerra di Secessione, è davvero difficile… Scherzarci ancora di più.

 

Ebbene, questo invece non è uno scherzo.

 

L’Afghanistan, dove più di quaranta anni fa la Herring e gli USA cominciarono pompare l’islamismo tribal-takfiro che stiamo vedendo ora risalire, ora vede il ritorno della schiavitù come un fatto concreto.

 

Non come una burla per una festa di miliardari: come la realtà che vivranno le donne afghane nei secoli a venire, se tutti faranno come ha fatto Biden: cioè, niente.

 

 

 

 

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Geopolitica

Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.

 

In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».

 

Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.

 

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.

 

In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.

 

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».

 

Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».

 

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Geopolitica

Orban: i funzionari dell’UE «violano la legge»

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Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha accusato i funzionari dell’UE di «violazione sistematica della legge» per il loro piano di privare gli Stati membri del diritto di veto sul congelamento degli asset russi.   Venerdì pomeriggio la Commissione Europea ha votato una proposta per attivare l’articolo 122 dei trattati UE, una clausola di emergenza che permette di adottare decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità. Tale misura consentirebbe all’Unione di mantenere indefinitamente il blocco dei beni sovrani russi e di destinare i profitti o gli interessi generati a sostegno dell’Ucraina, anche in presenza di opposizioni da parte di singoli Stati membri.   «Con la procedura di oggi, i burocrati di Bruxelles aboliscono con un solo tratto di penna l’obbligo di unanimità, un atto palesemente illegale», ha scritto Orban su X venerdì. «Lo stato di diritto nell’Unione Europea sta giungendo al termine e i leader europei si pongono al di sopra delle regole. Anziché garantire il rispetto dei trattati UE, la Commissione Europea viola sistematicamente il diritto europeo».   Orban ha denunciato che i «burocrati» e i guerrafondai dell’UE stanno spingendo per «protrarre la guerra in Ucraina, un conflitto che è chiaramente impossibile vincere».  

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«Con questo passo, lo stato di diritto nell’UE viene sostituito dal governo dei burocrati. In altre parole, si è instaurata una dittatura di Bruxelles», ha aggiunto. «L’Ungheria protesta contro questa decisione e farà tutto il possibile per ripristinare un ordine legittimo».   Dopo l’escalation del conflitto ucraino nel 2022, i partner occidentali di Kiev hanno congelato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, la maggior parte dei quali depositati presso Euroclear a Bruxelles. Nelle ultime settimane è scoppiata una forte controversia tra i Paesi europei favorevoli all’utilizzo di tali fondi come garanzia per un «prestito di riparazione» a Kiev e quelli contrari, che invocano rischi legali e finanziari.   L’attivazione della clausola di emergenza per un congelamento a tempo indeterminato toglierebbe a Stati oppositori come l’Ungheria la possibilità di veto sul rinnovo semestrale. Secondo il piano, il blocco rimarrebbe in vigore fino al pagamento da parte della Russia delle riparazioni post-conflitto all’Ucraina e fino a quando l’UE non riterrà cessata «una minaccia immediata» ai propri interessi economici derivante da possibili ritorsioni legali.   Mosca ha condannato come illegittimo qualsiasi tentativo di appropriazione dei suoi beni. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha dichiarato questa settimana che la Russia reagirà a ogni espropriazione, aggiungendo che «derubare» il Paese rappresenta l’ultima carta rimasta ai sostenitori europei dell’Ucraina per continuare a finanziare Kiev nel conflitto con Mosca.   L’Ungheria si oppone da tempo a ulteriori aiuti a Kiev: Orban li ha paragonati al «mandare un’altra cassa di vodka a un alcolizzato». Budapest non è tuttavia isolata: anche il Belgio, che custodisce la maggior parte dei fondi, ha criticato duramente il piano, con il primo ministro Bart De Wever che lo ha definito «equivalente a rubare» denaro russo.   I capi di Stato e di governo dell’UE voteranno la proposta al vertice della prossima settimana.

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Immagine di Manfred Weber via Flickr con licenza CC BY-NC-SA 2.0
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Geopolitica

Trump fa pressione su Zelens’kyj affinché ceda terreni alla Russia

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta esercitando forti pressioni su Volodymyr Zelens’kyj affinché accetti di cedere territori alla Russia per porre fine alla guerra tra Kiev e Mosca. Lo riporta il giornale tedesco Bild, citando fonti anonime.

 

Sabato il quotidiano ha scritto che la Casa Bianca sta «esercitando una pressione intensa sul leader ucraino per ottenere concessioni». Secondo l’articolo, Trump potrebbe «sfruttare la vulnerabilità interna di Zelens’kyj» causata da uno scandalo della corruzione miliardaria di Kiev.

 

Il mese scorso le agenzie anticorruzione ucraine, sostenute dall’Occidente, hanno reso noti i risultati preliminari di un’inchiesta su presunte tangenti per circa 100 milioni di dollari nel settore energetico, coinvolgendo figure vicine all’entourage del presidente. A seguito dello scandalo si sono dimessi la ministra dell’Energia Svetlana Grinchuk, il ministro della Giustizia German Galushchenko e il principale consigliere nonché stretto collaboratore di Zelens’kyj, Andrey Yermak.

 

La Bild sostiene che i negoziati di pace promossi dagli Stati Uniti si trovino nella fase più avanzata dall’inizio dell’escalation del conflitto in Ucraina, nel febbraio 2022. Trump starebbe cercando di chiudere un accordo tra Mosca e Kiev in tempi brevi, indicando il Natale come possibile scadenza.

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Kiev ha sempre escluso il riconoscimento delle ex regioni ucraine del Donbass come territorio russo. Le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk hanno aderito alla Federazione Russa in seguito ai referendum del 2022. Zelensky ha tuttavia ammesso che l’Ucraina potrebbe indire un referendum su eventuali concessioni territoriali.

 

Il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov ha replicato che il Donbass è territorio sovrano russo e che Mosca, prima o poi, riprenderà il controllo sulle aree ancora occupate dalle forze ucraine, aggiungendo che Zelens’kyj si è finora opposto al ritiro delle truppe dalla regione, nonostante questa richiesta figuri tra le proposte di pace avanzate da Washington.

 

Giovedì Trump ha dichiarato ai giornalisti alla Casa Bianca che «a parte il presidente Zelens’kyj, il suo popolo ha apprezzato il concetto dell’accordo di pace» da lui proposto il mese scorso. Il presidente americano ha precisato che il processo è «un po’ complicato perché si tratta di dividere il territorio in un certo modo».

 

Nel frattempo, le truppe russe proseguono la loro avanzata nel Donbass, avendo recentemente liberato la importante piazzaforte di Seversk.

 

In un’intervista rilasciata a Politico lunedì, Trump ha affermato che lo Zelens’kyj «dovrà rimboccarsi le maniche e cominciare ad accettare le cose».

 

Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi giorni Trump ha esortato l’ex attore ucraino ad essere «realista», chiosando che «in Ucraina tutti tranne Zelens’kyj hanno apprezzato il mio piano». Lo stesso presidente americano, che si era detto «deluso» dalla mancata risposta di Kiev alla sua proposta di pace, aveva quindi esortato il presidente ucraino ad indire le elezioni.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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