Geopolitica
La Malesia riabilita il controverso predicatore islamico Zakir Naik

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In India è ricercato per presunti reati legati al riciclaggio di denaro. Dopo cinque anni di messa al bando per i suoi sermoni incendiari, può tornare a predicare in pubblico. L’appello di politici e attivisti pro diritti umani al governo, perché riconsideri la decisione. I suoi attacchi contro i fedeli di altre religioni rischiano di minare l’armonia e la coesistenza.
Il controverso predicatore islamico fuggitivo Zakir Naik, sul cui capo pende un mandato di ricerca in India per presunti reati legati al riciclaggio di denaro, ottiene il via libera dalle autorità di Kuala Lumpur per tornare a predicare dopo il bando emesso ormai cinque anni fa. Dietro il divieto di tenere sermoni pubblici per il leader musulmano nato a Mumbai vi sarebbero state alcune dichiarazioni riguardanti indù e cinesi nel Paese del Sud-est asiatico, durante un discorso tenuto a a Kota Baru, nello Stato di Kelantan, nel 2019.
Un provvedimento notificato dalla polizia, alla base del quale venivano evidenziati interessi superiori per la sicurezza nazionale e il proposito di preservare l’armonia razziale.
Il mese scorso Naik ha tenuto un discorso davanti a una folla riunita per la Perlis International Sunnah Convention 2025 in cui avrebbe detto che i musulmani dovranno rispondere nell’aldilà della loro mancanza di sforzi di proselitismo. Egli si è rivolto in modo diretto ai musulmani della Malaysia, esortandoli a intensificare gli sforzi per diffondere l’islam fra i non musulmani. Inoltre, ha affermato che i cittadini della Malaysia non stanno utilizzando appieno le leggi che permettono la propagazione della fede fra quanti non professano l’islam.
La scorsa settimana, quando la questione è stata sollevata in Parlamento, il ministro degli Interno Saifuddin Nasution Ismail ha dichiarato che non vi sono ordini che limitano Zakir dal tenere discorsi in pubblico. Egli ha quindi aggiunto che «sebbene sia stato emesso un divieto temporaneo contro il controverso predicatore nel 2019, al momento [il provvedimento] non è in vigore».
Inoltre, in risposta a una domanda di un deputato di Penang ha confermato che il governo «non ha posto alcuna restrizione a Zakir Naik (nel tenere discorsi pubblici)».
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Riconsiderare la decisione
In una risposta immediata, il deputato del Sarawak Baru Bian ha chiesto al governo federale di riconsiderare la decisione e ripristinare il divieto per Zakir di tenere discorsi pubblici.
«Sono rimasto estremamente deluso» ha sottolineato «nel leggere la dichiarazione del ministro degli Interni» secondo cui il bando non è più in vigore. «È incomprensibile» ha proseguito il deputato cristiano evangelico di Sarawak «per i malaysiani benpensanti che il divieto sia stato revocato senza alcuna giustificazione e senza che siano stati resi noti i rapporti delle indagini sugli incidenti denunciati contro Zakir». La polizia stessa, all’epoca del provvedimento, aveva citato «gravi preoccupazioni» per la sicurezza nazionale e l’armonia razziale e questi elementi non sono venuti meno, osserva Baru Bian.
«Mi risulta» sottolinea il politico cristiano «che dall’agosto 2019 il Sarawak abbia vietato a Zakir Naik di entrare nello Stato. Questo divieto è stato attuato durante il mandato del defunto Chief Minister Pehin Sri Adenan Satem. Spero che il governo del Sarawak faccia in modo che il divieto rimanga in vigore» almeno fino a quando «non si scuserà» impegnandosi a rispettare i principi di armonia e libertà di culto, perché sicurezza nazionale e coesistenza «non devono mai essere compromesse per convenienza politica».
In passato Zakir Naik avrebbe rivolto parole di scherno e ingiuria verso minoranze e fedeli di altre religioni, in particolare verso i cittadini della Malaysia di origine cinese e indiana. «Non si è mai scusato per le sue dichiarazioni offensive» ha ricordato Baru Bian «e trovo difficile accettare che gli sia nuovamente permesso di parlare in pubblico». Anche perché la revoca del divieto mostra che il governo non considera una minaccia le sue parole e lo consideri un leader «non controverso».
Tuttavia, denigrando le altre religioni Zakir «non solo non aderisce ai valori di rispetto reciproco e di tolleranza, che sono parte integrante della società diversificata della Malaysia, ma rischia anche di seminare divisioni tra la popolazione. Sono proprio questi scenari – osserva il deputato di Sarawak – a sottolineare la necessità di leggi come il Sedition Act, che servono a salvaguardare i discorsi che hanno il potenziale di istigare disordini».
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Libertà e armonia
Baru ha quindi sottolineato come la difesa della libertà di parola non debba andare a discapito dell’armonia nazionale, un fattore primario. Il Sarawak, noto per il suo impegno di lunga data a favore della convivenza religiosa e del rispetto reciproco, è un esempio di come una società multi-religiosa possa coesistere pacificamente.
«Siamo orgogliosi» afferma «delle politiche che promuovono l’inclusione e l’unità, laddove le diverse comunità religiose ed etniche vivono insieme senza temere discriminazioni o divisioni». «La pace e la stabilità del tessuto sociale della Malaysia – conclude – devono avere la precedenza sul diritto alla libertà di parola di ogni individuo, in particolare quando tale parola ha il potenziale di incitare all’odio, all’intolleranza o alla discordia».
Facendo eco ai sentimenti di Baru, il vice-presidente della Global Human Rights Federation, Peter John Jaban, ha esortato il governo del Sarawak a mantenere il divieto sui predicatori radicali. Egli ha quindi insistito sul fatto che il divieto dovrebbe rimanere a dispetto delle direttive di tono opposto del ministero degli Interni.
Lo stesso Peter ha sottolineato che Zakir, predicatore di origine indiana e ricercato in patria, ha un passato di dichiarazioni controverse nel Paese. «Speriamo che il governo del Sarawak continui a proteggerne gli interessi nel mantenere un ambiente pacifico e nel sostenere i valori di inclusività, tolleranza e armonia sociale. Non gli deve essere permesso – conclude la nota dell’attivista – di diffondere l’odio o di causare tensioni tra le nostre comunità».
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Geopolitica
Orban: i leader UE «vogliono andare in guerra» con la Russia

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato giovedì che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.
In un post su X, il noto critico delle politiche occidentali verso l’Ucraina ha avvertito che «sono in discussione proposte apertamente favorevoli alla guerra», riferendosi ai colloqui tenuti durante un vertice informale dei leader dell’UE a Copenaghen questa settimana.
«Vogliono destinare i fondi dell’UE all’Ucraina. Cercano di accelerare l’adesione dell’Ucraina con vari espedienti legali. Vogliono finanziare la fornitura di armi. Tutte queste proposte dimostrano chiaramente che i burocrati di Bruxelles vogliono la guerra», ha scritto Orbán, promettendo che Budapest si opporrà a tali iniziative.
📍 Copenhagen, day two. The situation is serious. Outright pro-war proposals are on the table. They want to hand over EU funds to Ukraine. They are trying to accelerate Ukraine’s accession with all kinds of legal tricks. They want to finance arms deliveries. All these proposals… pic.twitter.com/86qEC83kIX
— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) October 2, 2025
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L’incontro di Copenaghen è stato convocato in risposta a una serie di avvistamenti di droni non identificati in Europa. La premier danese Mette Frederiksen ha dichiarato che il suo governo non è in grado di identificare l’origine dei velivoli, ma ha sostenuto che «possiamo almeno concludere che c’è un solo Paese che rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Europa, ovvero la Russia».
I leader dell’UE hanno discusso l’idea di un «muro di droni», un sistema vagamente definito per contrastare le minacce aeree. Secondo i media, i colloqui hanno prodotto pochi progressi: Politico ha descritto la sessione come caduta in un «tipico stallo», mentre Bloomberg ha definito il muro di droni più un’«etichetta pubblicitaria» che un piano concreto.
Nel frattempo, Mosca ha accusato l’Ucraina e i suoi alleati europei di orchestrare provocazioni per inasprire le tensioni.
Come riportato da Renovatio 21, Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha affermato questa settimana che la recente incursione di droni nello spazio aereo polacco – attribuita da Varsavia alla Russia – fosse in realtà un’operazione ucraina sotto falsa bandiera, prevedendo ulteriori incidenti simili in futuro.
La leadership dell’UE continua a spingere per un maggiore sostegno a Kiev e per una crescente militarizzazione degli Stati membri. In quest’ottica, Bruxelles ha cercato di limitare il potere di veto di nazioni dissenzienti come l’Ungheria sulle decisioni di politica estera e di sicurezza.
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata su indicazioni.
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