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L’ingresso di Trump all’UFC, il nuovo formato del potere massivo

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Donald Trump è una strana miscela di un’uomo di affari con un uomo di spettacolo, ha detto il podcaster Joe Rogan qualche giorno fa per descrivere l’inarrivabile capacità del presidente eletto di comprendere e dominare la scena.

 

C’è qualcosa di più da dire – ossia la capacità di Trump di creare vere e proprie «strutture» con le quali egli propaga il suo potere massivo.

 

I comizi, con attentati inclusi, sono una forma di manifestazione politica che ha completamente reinventato – con discorsi di ore, letti al teleprompter in parte e in parte improvvisati. Arriva tra folle sterminate, magari con il Trump Force One sullo sfondo (capita quando si celebra nella spianata di un aeroporto), intrattiene il pubblico con dei tempi completamente sconosciuti alla politica, dove inserisce delle parentesi pazzesche, ridondanti o sorprendenti, che lui chiama weaving, poi prende, fa due passi di danza, e se ne va.

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Va fatto un discorso riguardo tale capacità «strutturale» (è, del resto, un costruttore edile, uno che mette in piedi torri altissime) anche per la danza e la musica. È stato capace di prendere una canzone-inno della comunità gay – YMCA dei Village People – e farne un suo inno, totalmente incurante dei significati omosex che si portava addietro (tra, consideriamo, le masse di conservatori…).

 

Alla canzoncina ha aggiunto la sua struttura unica, la mossa di danza con le braccia che vanno su e giù, a destra e sinistra: ecco che la canzone, il momento, il palco, il pubblico, il mondo, diviene sua. Brandizzata, marchiata col fuoco – Trump.

 

Vedendo lo spettacolo di iersera al Madison Square Garden di Nuova York (dove pochi giorni fa aveva tenuto uno dei comizi più importanti, con la stampa mainstream che lo accusava di aver scelto il luogo dove i simpatizzanti di Hitler negli anni Trenta tennero un rally) abbiamo capito che The Donald ha inventato un altra struttura di teatro politico di estrema potenza, una coreografia un rito, che inizialmente si attacca parassiticamente all’evento principale – l’incontro di MMA – per poi dominarlo del tutto, mentre non solo si irradia il potere di Trump specchiato dal calore assoluto degli spettatori-elettori, ma si mandano anche messaggi politici precisi.

 

Trump è un fan dell’UFC, così come lo era, da proprietario di casinò ad Atlantic City, della grande boxe di Tyson e compagnia. Tuttavia Donaldo sembra aver stabilito un rapporto particolare, praticamente da subito, con il patron dell’UFC Dana White, che ha perfino parlato durante il discorso della vittoria di Trump a Mar-a-Lago la scorsa settimana.

 

Negli ultimi tempi, si era notato come il suo ingresso stesse divenendo sempre più codificato: prima dell’incontro, il suo arrivo nel palazzetto viene annunciato, poi parte la canzone del cantante Kid Rock American Badass («Americano cazzuto»), ed ecco che entrano Dana White con Trump, poi dietro lo stesso Kid Rock (amico del presidente e suo compagno di golf), poi un pool di personaggi intercambiabili, da Tucker Carlson a Mike Tyson a tanti altri.

 

La folla in visibilio strepita applaude, riprende col telefonino, fa selfie condivide sui social come mai prima.

 

«Sono come gli Avengers» aveva commentato ancora Rogan mesi fa, accorgendosi del fenomeno: di fatto Trump non presenta solo se stesso, ma una squadra, dove ogni elemento – come nei Vendicatori della Marvel – ha un suo superpotere, un suo significato, un suo ruolo nell’architettura d’insieme.

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Ieri lo spettacolo al Madison Square Garden ha rivelato del tutto la meccanica del sistema di teatro politico introdotto qui da Trump: ha presentato il suo intero governo nella sua camminata all’UFC.

 

Eccoti, in fila, sorridenti, felici, acclamati dalla massa in solluchero, tutte le nomine di questa settimana: la futura direttrice dell’Intelligence Tulsi Gabbard, il futuro segretario della Giustizia Matt Gaetz, il futuro segretario della sanità Robert Kennedy, il futuro responsabile DOGE (cioè, dell’efficienza del governo) Elon Musk. In più, lo speaker della Camera Mike Johnson, un cristiano sionista che Tucker e Marjorie Taylor-Green ritengono ricattato, ma non importa: quello che si offre qui non è una scampagnata tra amici (nonostante i buoni sentimenti nel gruppo paiono reali) ma un’immagine del potere, validato per direttissima da strilli e applausi della popolazione.

 

 

 

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Una cartolina del potere e del consenso, scattata e francobollata dal tepore del pubblico, nel luogo dove si consuma la lotta più tremenda del mondo.

 

Il risultato è strabiliante. Le foto rimbalzate sui social della serata di ieri sono impressionanti, di un’intensità a dire il vero mai vista nella comunicazione politica: il governo Trump non esiste ancora ma è unitissimo, e pure si diverte.

 

Il futuro di Trump è geniale come Musk e autentico come la Gabbard, determinato come Kennedy e spietato come Gaetz.

 

Lo spettacolo nello spettacolo – la struttura trumpiana scavata anche dentro questo evento – poi continua con ramificazioni irresistibili.

 

Sono divertenti le immagini di Kennedy che guarda con Trump l’MMA sul Trump Force One (sono arrivati tutti a spettacolo iniziato), così come quelle in cui viene costretto, la faccia di pietra, a mangiare McDonald’s come tutti.

 


è simpatica, e rilevante, la foto con Trump, Kennedy, Musk e la Gabbard: una foto in cui tutti sono ex democratici.

 

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Così come non è possibile resistere ai momenti di omaggio che i lottatori danno tutti al presidente: il vincitore della serata, al suo ultimo incontro, non solo ha indicato il presidente per poi procedere con i passi di quella che oramai chiamano «Trump Dance», ma gli ha donato la sua cintura di campione.

 

 

 

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C’è da pensare che duemila anni fa, quando i cesari avevano già ben compreso il valore politico degli spettacoli di lotta (panem et circenses, e gladiatori a go-go), non si erano sviluppati gli artifici che, in modo completamente organico, ha messo in piedi Donaldo Trump.

 

C’è tanto da imparare dalla storia di questo presidente.

 

Quale struttura si inventerà per il Monte Rushmore non è dato ancora saperlo.

 

Roberto Dal Bosco

 

PS per quanti lo chiederanno: sì, quello seduto a fianco a Musk è Ari Emanuel, vertice della società di «talenti» hollywoodiani Endeavour, cioè vero padrone dell’UFC, fratello dell’ex capo di gabinetto di Obama ora ambasciatore in Giappone Rahm Emanuel, fratello dell’ex consulente governativo bioetico, eutanatico e ultravaccinista, Ezekiel Emanuel, e figlio del terrorista sionista dell’Irgun Benjamin Emanuel. Ne abbiamo parlato varie volte, torneremo a dire qualcosa in un prossimo articolo.

 

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Arruolamento forzato anche per l’autista ucraino di Angelina Jolie

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La visita a sorpresa della star di Hollywood ed ex ambasciatrice umanitaria ONU Angelina Jolie in Ucraina martedì scorso è stata interrotta dagli agenti della leva obbligatoria, che hanno arrestato un membro del suo entourage e lo hanno arruolato. Lo riporta la stampa locale.   L’episodio si è verificato a un posto di blocco militare vicino a Yuzhnoukrainsk, nella regione di Nikolaev, mentre il convoglio di Jolie era diretto verso una zona della regione di Kherson controllata da Kiev.   Nonostante avesse segnalato alle autorità di trasportare una «persona importante», un componente del gruppo – identificato in alcuni resoconti come autista, in altri come guardia del corpo – è stato fermato dagli ufficiali di reclutamento.   Un video circolato su Telegram mostra la Jolie (il cui vero nome è Angelina Jolie Voight, figlia problematica dell’attore supertrumpiano John Voight) recarsi di persona al centro di leva per tentare di ottenerne il rilascio.  

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Secondo TASS, avrebbe persino cercato di contattare l’ufficio del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj. Fonti militari ucraine avevano inizialmente riferito all’emittente locale TSN che la presenza della diva al centro non era legata all’arresto, sostenendo che aveva semplicemente «chiesto di usare il bagno». Le autorità hanno poi precisato che l’uomo, cittadino ucraino nato nel 1992 e ufficiale di riserva senza motivi di esenzione, era trattenuto per verifiche sulla mobilitazione.   Alla fine, l’attrice americana ha lasciato il membro dello staff e ha proseguito il viaggio. Gli addetti alla leva di Kiev sono stati aspramente criticati per i video virali che mostrano uomini trascinati nei furgoni, pratica nota come «busificazione».   L’indignazione pubblica è cresciuta, con numerose denunce di scontri violenti e persino decessi legati alla mobilitazione forzata. Il mese scorso, il giornalista britannico Jerome Starkey ha riferito che il suo interprete ucraino è stato «arruolato con la forza» a un posto di blocco di routine. «Il tuo amico è andato in guerra. Bang, bang!», avrebbe scherzato un soldato.   Anche le modalità di coscrizione ucraine hanno attirato l’attenzione internazionale: a settembre, il ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto ha condannato quella che ha definito «una caccia all’uomo aperta», accusando i governi occidentali di chiudere un occhio.   La Jolie aveva già visitato l’Ucraina nell’aprile 2022, poco dopo l’escalation del conflitto, in un periodo in cui numerose celebrità, come gli attori Ben Stiller e Sean Penn, si erano recate nel Paese. Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha sostenuto che le star di Hollywood venivano pagate tramite USAID – il canale USA per finanziare progetti politici all’estero, ormai chiuso – per promuovere narrazioni pro-Kiev.   In seguito l’autista, di nome Dmitry Pishikov, ha dato una sua versione dell’accaduto.   «A quel posto di blocco mi hanno fermato per qualche motivo, senza spiegazioni, e mi hanno chiesto di seguirli in auto per chiarire alcuni dettagli. Evidentemente con l’inganno», ha dichiarato Pishikov a TSN in un’intervista pubblicata venerdì.   È stato portato in un centro di leva locale, dove è stato trattenuto con falsi pretesti, ha aggiunto. «”Dieci minuti, c’è un piccolo dettaglio, ti lasceremo andare non appena avremo chiarito la situazione”, hanno detto. Hanno mentito», ha riferito all’emittente, aggiungendo di essere ancora «un po’ indignato» per le azioni dei funzionari della coscrizione.   L’uomo dichiarato a TSN che venerdì si trovava in un centro di addestramento militare e che «verrà addestrato e presterà servizio nell’esercito».   Igor Kastyukevich, senatore della regione russa di Kherson – la parte controllata dall’Ucraina visitata da Jolie – ha condannato il viaggio definendolo «un’altra trovata pubblicitaria che sfrutta la fame e la paura». Nessuna visita di star di Hollywood «che usa i soldi dei contribuenti americani ed europei» aiuterà la gente comune, ha dichiarato alla TASS.

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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix

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Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.

 

Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».

 

«I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.

 

Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.

 

Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

 

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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA

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La I.R.S. Records venne fondata nel 1979 da Miles Copeland III. L’etichetta produsse alcuni tra i più rappresentativi artisti musicali degli anni Ottanta. L’influenza che esercitò nel punk inglese e nella new wave fu fondamentale producendo prodigi come i Police, i R.E.M., i Dead Kennedys. Il logo della casa discografica statunitense ritraeva un uomo in primo piano con un cappello anni ’50 stilizzato in bianco e nero e chiamato spy guy   Un altro fratello Copeland, Ian (1949-2006), fondò la Frontier Booking International, in acronimo F.B.I., una agenzia di talenti specializzata nella musica e che rappresentò tra gli altri anche i R.E.M., Jane’s Addiction, Snoop Dog, Sting.    Il terzo fratello Copeland, Steward invece era il batterista dei Police e quindi proprio di Sting. Entrato di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Police, venne aggiunto anche nella Modern Drummer Hall of Fame e nella Classic Drummer Hall of Fame. Ha avuto poi una carriera come compositore di colonne sonore per il cinema, musicando pellicole rimaste nella storia come il capolavoro di Francis Ford Coppola Rusty il selvaggio (1983), Wall Street (1987) e Talk Radio (1988) di Oliver Stone, Riff-Raff (1991) e Piovono pietre (1993) di Ken Loach e pure il videogioco Alone in the Dark.

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Se i tre fratelli denotano una esagerata presenza di talento scorrere nelle loro vene quello che sorprende ancora di più è la fonte da cui questi tre fenomeni derivano. Il loro padre, di nome Miles Copeland, fu uno dei fondatori della CIA nonché musicista e personaggio eccezionale nel panorama politico dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti.    Prima della guerra, ancora in Alabama provò a seguire le orme del padre iscrivendosi alla locale università con l’intenzione di diventare medico. Folgorato dal jazz, invece, comprò una tromba e si diede totalmente allo swing. Nel giro di poco si ritrovò a suonare e comporre con giganti come Glenn Miller, Benny Goodman, Buddy Rich, racconta lo storico John Simkin in un suo articolo.   Arrivò però Pearl Harbour e la direzione della sua vita cambiò completamente. Entrò a far parte dell’ufficio finanziario della guardia nazionale. Racconta proprio il sito della CIA che un giorno gli venne chiesto di ripetere un test d’intelligenza perché, dal risultato ottenuto, erano tutti convinti che avesse utilizzato un trucco. Una volta ripetuto guadagnò un risultato se possibile ancora maggiore.    L’esito del test attirò l’attenzione del generale William «Wild Bill» Donovan, direttore di una nuova agenzia chiamata Office of Strategic Service (OSS), la prima agenzia americana che fungeva da servizio segreto. Donovan, che stava formando la base della nuova agenzia, era sempre alla ricerca dei migliori prospetti e con le migliori connessioni. Miles aveva senza dubbio colpito il generale anche per quello che il figlio Stewart chiamava il gift of gab, il dono della chiacchiera. Era un abile oratore e una persona di grande spirito per cui creare empatia non era mai stato un problema.   Amava giocare, si considerava un giocatore, prendeva parte con entusiasmo alle simulazioni di guerra. Nel dopo guerra creò un gioco da tavola cult basato sul suo fondamentale libro, pieno di rivelazioni, Games of Nation, anche questo diventato introvabile oggetto di culto.   Mentre era Londra Copeland divenne amico di Boris Pash, capo della sicurezza del Manhattan Project e anche di Ernest Hemingway. Venne assegnato a dirigere la scuola di controspionaggio, la Corps of Intelligence Police, che divenne nel 1942 la Counterintelligence Corps, CIC, partecipazione che gli valse la Legione di Merito. Copeland partecipò attraverso la CIC all’operazione Overlord, lo sbarco in Normandia ed era parte della BIGOT list, acronimo per British Invasion of German Occupied Territory, un ristrettissimo gruppo di persone con un passato inattaccabile e degne di ottenere i documenti più protetti e riservati.    La CIC, oltre ad impegnarsi nel più famoso Manhattan Project si occupò anche di altri progetti di spicco per l’epoca. Uno di questi, la missione ALSOS, diretta da Boris Pash, era il tentativo da parte degli alleati di raccogliere quante più informazioni possibili sugli sviluppi scientifici nazisti in ambito nucleare; quindi l’operazione Paperclip che cooptò oltre 1600 scienziati, ingegneri e tecnici vari dalla Germania nazista per reinserirli in ambito per lo più scientifico militare statunitense; l’operazione TICOM che aveva come scopo l’impadronirsi di risorse riguardanti la crittografia e le ultime vette della ricerca scientifica sulle telecomunicazioni, ambito in cui i tedeschi eccellevano. Alla fine della guerra Copeland venne anche incaricato di redigere la cronaca del controspionaggio del periodo appena trascorso, intervistando decine di spie e scienziati nazisti.    In seguito alla trasformazione dell’OSS in CIA, Copeland partecipò alla messa a punto del progetto fino alla sua realizzazione nel 1947, anno di nascita della più grande agenzia spionistica americana. Dopodiché ottenne la gestione dell’ufficio dell’agenzia a Damasco in Siria e divenne l’uomo in Medio Oriente per i servizi statunitensi. Nel marzo del 1949 supportò il colpo di stato in Siria in cui venne deposto il governo legalmente eletto in favore del potere militare. Nel 1953 prese parte all’operazione Ajax incaricata di destituire il primo ministro iraniano, Mohammed Mossadegh, reintegrando Reza Pahlavi, assicurando così l’accesso statunitense al petrolio iraniano e contemporaneamente istituendo un avamposto del primo mondo contro i sovietici.    Fluente in almeno dieci lingue, divenne amico personale del presidente egiziano Nasser. Nonostante il cammino tra USA e Egitto avesse preso due strade differenti e i servizi americani avessero preso in considerazione operazioni estreme verso il presidente africano Copeland rimase genuinamente al suo fianco e un ammiratore dell’opera politica di Nasser.    Mantenne ufficialmente questo ruolo per dieci anni costruendo la posizione dell’Intelligence americana nel territorio attraverso il reclutamento di agenti in loco e la costruzione delle reti informative necessarie.

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In seguito, dopo aver rassegnato le dimissioni perché in totale disaccordo con le politiche di Eisenhower, continuò a lavorare privatamente nel solco dell’Intelligence a stelle e strisce fino agli anni Settanta quando si distaccò completamente dando vita a una nuova carriera di autore. I vari articoli e libri che scrisse ottennero un notevole successo ma ebbero anche la conseguenza di esacerbare definitivamente i rapporti con l’agenzia governativa. Nel 1988, scrisse un articolo «Spooks for Bush» in cui dichiarò il totale supporto del mondo dell’Intelligence verso la candidatura di G. W. Bush all’elezione come presidente del 1994.   E. Micheal Burke, ex ufficiale OSS, CIA, e in seguito con una importante carriera nel mondo dello spettacolo, scrisse nell’agosto 1974 una recensione su uno dei suoi testi più famosi Without cloak or dagger (1974). Copeland nel suo libro descriveva la CIA come il demonio di cui ignoriamo l’esistenza, gestita da una cricca di vecchi commilitoni abbastanza potenti da buttare giù un direttore non particolarmente apprezzato come James Schlesinger.   La CIA è un organo interno più potente dei vari governi succedutosi sullo sfondo che ha come grande dilemma trovare il modo per restare potenti, anonimi, silenziosi ma allo stesso vincere la confidenza del pubblico. Come scrive Copeland nel libro: «conosciamo il nemico, sappiamo come gestirlo, siamo incorruttibili. Anche se non ci conoscete, potete implicitamente fidarvi di noi».   Marco Dolcetta Capuzzo  

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