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Il premio Nobel per la pace al movimento giapponese anti-armi nucleari

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Padre Alberto Berra – missionario del PIME a Hiroshima, la città della prima bomba atomica del 1945 – commenta la scelta di assegnare il riconoscimento all’associazione che dà voce alle vittime che portano ancora i segni dell’esplosione di quasi ottant’anni fa. «Sentono di aver ricevuto una missione: essere voce per il mondo. Perché, come ha detto qui papa Francesco nel 2019, non solo l’uso ma anche il possesso delle armi nucleari è immorale».

 

«Non è un riconoscimento sul passato, ma una scelta che guarda alla situazione internazionale di oggi. Dare il Premio Nobel per la pace agli hibakusha è un appello al mondo che è tornato a parlare dell’uso di questi terribili ordigni».

 

Padre Alberto Berra, missionario italiano del PIME, commenta proprio da Hiroshima la notizia dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2024 all’associazione Nihon Hidankyo, che riunisce le vittime delle terribili esplosioni degli ordini nucleari sganciati dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki.

 

In Giappone dal 1990, padre Berra svolge da tanti anni il suo ministero proprio nella città segnata dalla prima delle due esplosioni atomiche che 79 anni fa lasciò dietro di sé oltre 148mila morti, circa il 62% della popolazione, insieme a un’eredità pesantissima di malattie che sarebbero emerse anche dopo molti anni a causa delle radiazioni. Altre 74mila persone sarebbero poi state uccise tre giorni dopo dalla seconda bomba sganciata su Nagasaki.

 

Il missionario del PIME ha visto tante volte gli hibakusha raccontare le proprie storie nel Giardino della pace, il parco adiacente al museo che nel cuore di Hiroshima ricorda quella grande tragedia e dove sorge anche la Genbaku Dome, la cupola del palazzo della fiera fusa dal calore dell’esplosione, divenuta il simbolo dell’esplosione atomica. Tutte le scuole giapponesi visitano il Giardino della pace, fermandosi al monumento a forma di airone che ricorda le migliaia di bambini uccisi il 6 agosto 1945.

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«Nelle testimonianze degli hibakusha c’è tutto l’orrore della guerra e delle sue conseguenze» spiega. «Certo, tutte le guerre lasciano dietro di sé morte e distruzione. Ma mai era successo prima in quella forma così straziante e con conseguenze sul corpo che durano nel tempo, per alcuni addirittura ancora oggi, dopo quasi ottant’anni. Sentono di aver ricevuto una missione: essere voce per il mondo».

 

La loro associazione Nihon Hidankyo – a cui il Comitato di Oslo ha assegnato oggi il Premio Nobel – è nata nel 1956, undici anni dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Erano rimasti per anni in silenzio ad affrontare le proprie sofferenze; ma furono gli esperimenti sulla bomba a idrogeno condotti dagli Stati Uniti sull’atollo di Bikini, nelle Isole Marshall, esponendo nuovamente la popolazione locale e i pescatori ai pericoli delle radiazioni, a convincerli che avevano un messaggio da comunicare a tutti.

 

Secondo le statistiche più recenti del governo giapponese, diffuse nel marzo scorso, sono circa 107mila i sopravvissuti alle due esplosioni tuttora in vita, con un’età media di 85,6 anni. Sono ormai poche decine a Hiroshima quelli ancora in grado di prestare servizio volontario al Giardino della pace. «Per favore, abolite le armi nucleari mentre siamo ancora vivi», ha dichiarato oggi dopo l’annuncio Toshiyuki Mimaki, capo della Confederazione delle organizzazioni degli hibakusha della prefettura di Hiroshima.

 

«È un compito che continuano a sentire molto» continua padre Berra. «Qualche mese fa, per esempio, uno di loro, a più di ottant’anni, si è messo a studiare l’inglese per essere in grado di parlare a un numero maggiore di persone che passano da Hiroshima. È davvero una missione verso l’umanità intera».

 

Ed è un messaggio che Hiroshima vuole continuare a trasmettere. «Anche per la nostra Chiesa – ricorda il missionario del PIME – sono state molto importanti le parole pronunciate nel Giardino della pace da papa Francesco durante il suo viaggio del 2019. Quando ha detto con chiarezza che a essere immorale non è solo l’uso delle armi atomiche, ma anche il loro possesso. E questo Nobel in qualche modo è anche per noi un‘occasione per ripeterlo».

 

Proprio in questa direzione va un’iniziativa promossa dal vescovo di Hiroshima che vede insieme oggi le comunità cattoliche locali e alcune diocesi degli Stati Uniti.

 

«Si chiama Partnership per un mondo senza armi nucleari» racconta padre Berra. «È un appello lanciato insieme dalle diocesi di Hiroshima e Nagasaki e da quelle di Santa Fe nel New Mexico e Seattle nello Stato di Washington, quelle cioè dei luoghi cioè dove avvengono i test nucleari dell’esercito americano. Un modo per raccogliere il triplice invito di Francesco a ricordare le vittime di ormai quasi 80 anni fa, camminare insieme verso un mondo senza armi nucleari e proteggere le generazioni di domani».

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Nucleare

Tokyo, via libera al riavvio della più grande centrale nucleare al mondo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il governatore della prefettura di Niigata ha approvato la riaccensione parziale dell’impianto di Kashiwazaki-Kariwa, segnando una svolta nella strategia energetica del Giappone, voluta dal governo di Sanae Takaichi. La premier sta valutando anche una revisione dei tre storici principi non nucleari, indignando i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.   Il governatore della prefettura di Niigata, Hideyo Hanazumi, ha approvato oggi la riattivazione parziale della centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande del mondo per capacità installata. Il Giappone da tempo cerca di rilanciare il settore dell’energia atomica per ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, aumentate in modo significativo dopo il disastro di Fukushima del 2011.   L’approvazione rimuove l’ultimo ostacolo politico al piano della Tokyo Electric Power Company (TEPCO), che potrà ora procedere con la riaccensione dei due più potenti reattori dell’impianto che insieme generano 2.710 megawatt, circa un terzo della capacità complessiva. Solo il reattore n. 6, ha spiegato il ministro dell’Industria, Ryosei Akazawa, permetterebbe di migliorare del 2% l’equilibrio tra domanda e offerta di energia nell’area metropolitana di Tokyo.

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Hanazumi ha dichiarato che la decisione dovrà comunque essere sottoposta al voto di fiducia dell’assemblea prefetturale nella sessione che si aprirà il 2 dicembre. «Non sarebbe razionale bloccare qualcosa che ha superato gli standard di sicurezza nazionali», ha affermato, sottolineando però che le preoccupazioni dei residenti, le misure di emergenza e il monitoraggio continuo della sicurezza restano priorità da affrontare.   Se confermato, il riavvio segnerebbe una svolta per TEPCO: dal marzo 2011, quando lo tsunami devastò la centrale di Fukushima Daiichi causando il peggiore incidente nucleare dopo Chernobyl, l’azienda non ha più potuto riattivare alcun reattore. In ottobre TEPCO aveva concluso le verifiche tecniche sul reattore n. 6, confermando il corretto funzionamento dei sistemi.   Dopo Fukushima, il Giappone aveva spento tutti i 54 reattori attivi all’epoca. Ad oggi ne sono stati riavviati 14 sui 33 ancora idonei all’uso. Il governo della premier Sanae Takaichi, sostiene la riapertura dei reattori per rafforzare la sicurezza energetica e ridurre i costi delle importazioni: nel 2024 il Giappone ha speso 10,7 trilioni di yen (circa 68 miliardi di dollari) solo per importare gas naturale liquefatto e carbone, un decimo del totale delle importazioni nazionali. Il governo insiste inoltre sul fatto che il ritorno al nucleare è essenziale per contenere i prezzi dell’elettricità e aumentare la quota di energia riducendo allo stesso tempo le emissioni.   La riattivazione dell’impianto avviene in un clima politico teso perché la premier Sanae Takaichi è a favore anche della possibilità di rivedere i principi del Giappone anche in fatto di armi atomiche. Una prospettiva che ha suscitato una dura reazione da parte degli hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

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La Nihon Hidankyo, principale organizzazione nazionale dei sopravvissuti e vincitrice del Premio Nobel per la pace lo scorso anno, ieri 20 novembre ha diffuso una nota di forte condanna, affermando che «non è possibile tollerare l’introduzione di armi nucleari in Giappone né permettere che il Paese diventi una base per la guerra nucleare o un bersaglio di attacchi atomici».   L’organizzazione ha chiesto al governo di rispettare e rafforzare i tre principi (che vietano di possedere, produrre o ospitare armi atomiche), inserendoli addirittura nella legislazione nazionale, denunciando come un pericoloso arretramento l’idea stessa di metterli in discussione.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Il Niger accusa il gruppo nucleare statale francese di «crimini di massa»

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Il governo militare del Niger ha accusato l’azienda nucleare francese Orano di «inquinamento radioattivo» e «comportamento predatorio», dopo che i funzionari hanno annunciato di aver rinvenuto centinaia di barili di scorie radioattive abbandonati vicino a un vecchio sito estrattivo di uranio nel Nord del Paese.

 

Il ministero delle Miniere ha riferito che gli ispettori hanno individuato circa 400 barili contenenti elevati livelli di materiali radioattivi nel nucleo a Madaouela, in prossimità del polo uranifero di Arlit, un tempo gestito da Orano. Le rilevazioni sul posto hanno registrato valori fino a 10 microsievert all’ora, contro una media di 0,5, e le analisi hanno evidenziato sostanze tossiche in grado di provocare problemi respiratori.

 

Il ministro della Giustizia nigerino, Alio Daouda, ha annunciato martedì ai media che l’azienda sarà chiamata a rispondere in giudizio per «crimini di massa», tra cui lesioni all’ambiente, alla salute collettiva e alla sovranità nazionale.

 

«Questa discarica abusiva testimonia il disprezzo costante di Orano per il Niger e i suoi abitanti sin dall’avvio dell’estrazione uranifera», ha dichiarato Daouda, assicurando che «il Niger non arretrerà nella tutela della propria sovranità».

 

Orano, controllata al 90% dallo Stato francese, ha replicato all’agenzia Reuters affermando di «non detenere alcuna licenza operativa per il sito di Madaouela e di non avervi svolto operazioni di sorta».

 

Le imputazioni si inquadrano in un’escalation del contenzioso tra Niamey e Orano sul dominio delle miniere uranifere in questa nazione dell’Africa occidentale, ottavo produttore globale di yellowcake. In epoca di piena operatività, il Niger riforniva il 15-17% dell’uranio impiegato dalla Francia per la sua produzione energetica nucleare.

 

La settimana scorsa, il Niger avrebbe disatteso un’ordinanza del tribunale della Banca Mondiale, spostando oltre 1.000 tonnellate di uranio dalla miniera di Somair, controllata da Orano dal 1971 fino alla nazionalizzazione decisa a giugno.

 

L’azienda ha stigmatizzato l’operazione come una violazione delle decisioni giudiziarie, che vietavano all’ex colonia francese di «vendere, trasferire o anche solo consentire il trasferimento a terzi dell’uranio prodotto da Somair».

 

I leader militari hanno ribadito di agire nell’esercizio dei diritti sovrani. Oltre ad aver assunto il controllo effettivo di Somair – motivato dal «comportamento irresponsabile, illegale e iniquo» di Orano –, l’anno scorso il governo ha pure revocato all’azienda la concessione per il giacimento di Imouraren.

 

Come riportato d Renovatio 21, a maggio 2025 le forze di sicurezza nigerine avevano sequestrato attrezzature facendo irruzione nelle filiali di Orano.

 

Come riportato da Renovatio 21, dopo il golpe di due anni fa la giunta di Niamey ha subito sospeso le vendite di uranio ai francesi, che utilizzano il minerale estratto in Niger per coprire il del fabbisogno per la produzione di energia atomica, che viene peraltro venduta anche all’Italia, che ne è dipendente per il 6%.

 

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Immagine di Stuart Rankin via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0; immagine tagliata

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L’ex vertice dell’esercito ucraino vuole le armi nucleari

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L’ex comandante supremo delle Forze Armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny, ha sostenuto che solo l’ingresso nella NATO, l’installazione di armi atomiche o l’accoglienza di un imponente contingente militare straniero possano assicurare una protezione effettiva per Kiev.   Le dichiarazioni sono state rese note in un saggio apparso sabato sulle colonne del giornale britannico Telegraph.   Il generale – che, secondo indiscrezioni, starebbe tessendo in silenzio una compagine politica da Londra in vista di una possibile corsa alla presidenza – ha delineato le sue analisi su come sconfiggere Mosca, forgiare un’«Ucraina rinnovata» e quali «tutele di sicurezza» adottare per prevenire una ricaduta nel confronto con il Cremlino.   «Queste tutele potrebbero comprendere: l’accessione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica, il posizionamento di ordigni nucleari sul suolo ucraino o l’impianto di un corposo schieramento alleato in grado di fronteggiare la Federazione Russa», ha argomentato Zaluzhny.   L’alto ufficiale ha sostanzialmente ribadito le posizioni più intransigenti della classe dirigente ucraina attuale: Volodymyr Zelens’kyj ha spesso invocato simili tesi nel corso della crisi con la Russia, e pure in precedenza.   Il governo russo ha più volte stigmatizzato come inaccettabili qualsivoglia delle «tutele di sicurezza» indicate da Zaluzhny. Mosca contrasta da anni le velleità atlantiste di Kiev, additando l’allargamento verso levante del Patto come un pericolo per la propria integrità e annoverandolo tra i moventi principali del contenzioso in atto.   Inoltre, il Cremlino ha insistito che, in qualsivoglia intesa di pace futura, l’Ucraina debba abbracciare uno statuto di neutralità.

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Anche le esternazioni nucleari di Kiev sono state aspramente censurate da Mosca, che le ha giudicate foriere di escalation e di un rischio di conflagrazione mondiale. La dirigenza ucraina ha spesso deplorato l’abbandono dell’eredità atomica sovietica agli albori degli anni Novanta, lamentando di non aver ottenuto contropartite adeguate.   La leadership di Kiev ha sostenuto a lungo che gli Stati Uniti e i suoi alleati avevano l’obbligo di proteggere l’Ucraina a causa del Memorandum di Budapest del 1994, in cui Stati Uniti, Regno Unito e Russia avevano dato garanzie di sicurezza in cambio della rimozione delle testate nucleari sovietiche dal territorio ucraino.   In verità, però, quell’arsenale era rimasto sotto l’egida moscovita, mentre l’Ucraina sovrana mancava delle capacità per gestirne o preservarne le testate residue dopo la dissoluzione dell’URSS. Allo stesso modo, la Russia ha escluso qualsivoglia ipotesi di dispiegamento di truppe straniere in Ucraina, né durante né oltre il conflitto vigente. Tale mossa, a giudizio del Cremlino, non farebbe che precipitare Mosca in uno scontro frontale con l’Occidente.   Come ricordato da Renovatio 21, c’è da dire che la fornitura di atomiche a Kiev è stata messa sul piatto varie volte da personaggi come l’europarlamentare ucraino Radoslav Sikorski, membro del gruppo Bilderberg sposato alla neocon americana Anne Applebaum.   Si tende a dimenticare che lo stesso Zelens’kyj parlò di riarmo atomico di Kiev alla Conferenza di Sicurezza di Monaco, pochi giorni prima dell’intervento russo. In seguito, Zelens’kyj e i suoi hanno più volte parlato di attacchi preventivi ai siti di lancio russi e di «controllo globale» delle scorte atomiche di Mosca.
A inizio anno, la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova aveva definito lo Zelen’skyj come un «maniaco» che chiede armi nucleari alla NATO.   Come riportato da Renovatio 21, mesi fa il quotidiano londinese Times aveva parlato di «opzione nucleare ucraina». Settimane prima il tabloid tedesco Bild aveva riportato le parole di un anonimo funzionario ucraino che sosteneva che Kiev ha la capacità di costruire un’arma nucleare «in poche settimane».

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Immagine di MarianaSenkiv via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata
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