Spirito
I vescovi tedeschi preparano le «diaconesse»
Il vescovo ausiliare di Essen, mons. Ludger Schepers, ha celebrato il 15 aprile 2024 la messa di chiusura di un corso di formazione per «diaconesse». Il Netzwerk Diakonat der Frau, o Rete del Diaconato femminile, propone una serie di corsi pluriennali, volti a preparare l’inserimento delle diaconesse nella Chiesa. È stata organizzata per la terza volta nel convento di Waldbreitbach.
Presentazione della formazione deviante
Il Netzwerk Diakonat der Frau, fondato nel 1997, organizza dal 1999 corsi per donne che si sentono chiamate a diventare diaconi. La presidente, Irmentraud Kobusch, spiega: «Siamo un’organizzazione indipendente e possiamo offrire e certificare tali corsi per le donne».
Ufficialmente il corso si intitola: «Educazione continua: servizi di leadership diaconale per le donne nella Chiesa». La formazione appena conclusa è la terza, la prima ha avuto luogo nel 1999.
La formazione si svolge a Waldbreitbach, nei locali del convento delle Suore Francescane. È richiesto il corso per corrispondenza teologica di Würzburg. La formazione si estende su tre anni al ritmo di un fine settimana ogni due mesi. 37 donne sono state formate in tre cicli.
Irmentraud Kobusch dice che l’idea di questa formazione le è venuta dopo aver letto la Lettera Ordinatio sacerdotalis in cui si afferma che il sacerdozio è riservato agli uomini, per diritto divino, e conclude che «il diaconato delle donne» non riguarda.
La presidente ripone la sua speranza in Francesco e nel Cammino sinodale. «Come rete, discutiamo con il gruppo di lavoro sul diaconato permanente», spiega Kobusch. Un ministero comune per uomini e donne sarebbe il modello ideale per il futuro della Chiesa.
Irmentraud Kobusch è convinta che un giorno ci saranno donne diacono cattoliche, in modo del tutto ufficiale. «Persevereremo finché la prima donna non sarà ordinata diacono in Germania», ha detto. Ci vorrà ancora un po’ di tempo.
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La cerimonia del 15 aprile con mons. Ludger Schepers
In un comunicato si ricorda il sistema formativo delle neodiplomate. Il vescovo ausiliare, mons. Schepers, sostiene e accompagna da tempo la rete del diaconato femminile» precisa il comunicato.
E continua: «Nella sua omelia, pronunciata con suor Edith-Maria Magar, superiora generale dei francescani di Waldbreitbach, ha sottolineato che anche le donne vengono chiamate. Le donne si sentono giustamente discriminate ed emarginate nella Chiesa a causa della loro vocazione».
Il comunicato continua: «Le donne sono scioccate dal fatto che questo squilibrio non sia considerato un problema a cui bisogna porre rimedio. (…) Sebbene non potesse ancora ordinare le donne, il vescovo le ha benedette quando hanno ricevuto il certificato».
Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, ha inviato un messaggio di congratulazioni: «Sei una benedizione per la nostra Chiesa», ha scritto.
Un percorso chiaramente scismatico ed eretico
Tutta questa energia porterà o allo scisma e all’eresia, oppure all’abbandono della Chiesa. Bisogna (ancora) ricordare che, secondo una definizione del Concilio di Trento, che sancisce soltanto una dottrina ancora creduta, il sacramento dell’Ordine è uno, ed è composto di almeno tre gradi: episcopato, sacerdozio e diaconato.
Chi riesce a ricevere l’ultimo potrà ricevere gli altri due. L’impossibilità dell’ordinazione sacerdotale implica quindi quella dell’ordinazione diaconale… o della consacrazione episcopale.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
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Spirito
Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò
Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

Israël es tu Rex
Omelia nella festa di Cristo Re
Israël es tu Rex,
davidis et inclyta proles;
nomine qui in Domini,
Rex benedicte, venis.
D’Israele Tu sei il Re,
di David la nobile prole;
Tu che vieni, Re benedetto,
nel Nome del Signore.
Teodolfo di Orléans,
Inno Gloria laus et honor.
Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.
La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.
Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.
L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.
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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.
Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.
Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.
Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.
La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.
Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.
Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.
Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.
Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.
Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.
Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.
Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.
E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.
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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:
O Christe, Princeps Pacifer,
Mentes rebelles subjice:
Tuoque amore devios,
Ovile in unum congrega.
O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
26 Ottobre MMXXV
D.N.J.C. Regis
Dominica XX post Pent., ultima Octobris
NOTE
1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965.
2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972.
3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.
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Immagine di Dominikosaurus via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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