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Sport e Marzialistica

L’uomo dietro a 37 mondiali di Boxe: viaggio nel Messico di Nacho Beristain e del «Gimnasio Romanza»

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Corrado Beldì previamente apparso su Boxe Ring, inaugurando una nuova rubrica del sito che sarà dedicata agli sport di combattimento.

 

Ci muoviamo di prima mattina ma il taxi ci mette quasi cinquanta minuti per arrivare dal centro fino al quartiere di Iztacalco. Potremmo chiamarla periferia, ma è difficile capire quanto è periferico questo sobborgo di Città del Messico, solo case basse e palazzine anni cinquanta, in una metropoli brulicante di vita e tradizioni che ha ormai superato i 20 milioni di abitanti.

 

Non siamo solo nel Paese simbolo della cultura precolombiana, nella patria della tequila, del mezcal e della musica mariachi, nella terra dei rivoluzionari, di Octavio Paz e dei grandi pittori di murales, Rivera, Orozco, Siqueiros: per chi ama il pugilato, il Messico è un paese di enorme tradizione, secondo solo agli Stati Uniti, terra di grandi campioni come Ricardo «El Finito» Lopez, formidabile peso paglia degli anni Novanta, ritiratosi imbattuto come Rocky Marciano, anzi con una vittoria in più o Julio Cesar Chavez, da molti considerato il miglior pugile messicano di sempre, sei volte campione del mondo con 107 vittorie delle quali 86 per knock-out.

 

Ogni Paese ha la sua fucina di campioni e per il Messico il miglior fabbro è senza dubbio Ignacio «Nacho» Beristáin, forse il più grande allenatore della storia dopo Angelo Dundee, 37 mondiali vinti con pugili usciti dal suo Gimnasio Romanza, una palestra che abbiamo sentito citare mille volte e che non ci aspetteremmo di trovare in una via come questa, quasi deserta, con pochi negozi, un venditore di tacos e un baracchino di succhi di frutta all’angolo che attira la nostra attenzione verso un garage: stanno cambiando la gomma a una vecchia Mustang e proprio dietro al meccanico, molto serio e indaffarato, leggiamo sul muro una scritta azzurra. Allora capiamo che siamo arrivati.

 

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C’è una scala anonima, due rampe strette e in cima al pianerottolo notiamo subito il poster dell’ultimo fuoriclasse della palestra e idolo della nazione: Juan Manuel «Dinamita» Marquez, l’uomo che al quarto incontro con Manny Pacquiao, l’ha atterrato alla sesta ripresa con un destro micidiale, facendo sobbalzare i fan di mezzo mondo.

 

La palestra ha due stanze piuttosto piccole: una con gli specchi per la ginnastica, l’altra con tre sacos, quattro peras e un pungiball e un ring piuttosto piccolo. In mezzo ci sono gli spogliatoi e un ufficio poco più grande di una cabina telefonica, con una parete di vetro e tante fotografie attaccate a ogni centimetro libero. Viene da chiedersi: è davvero questa la palestra dei campioni? Non sappiamo ancora che il segreto di tanto successo sta nella semplicità di queste ruvide mura e nel sudore che ogni giorno, da tanti anni, cade su questo piccolo pavimento.

 

Ignacio ci accoglie con una gentilezza quasi commovente: settantacinque anni, di statura media con i baffetti e gli occhiali, siede su una scrivania stretta e parla lentamente, spesso con un sorriso. Lo sguardo corre spesso oltre il vetro: tiene d’occhio ogni cosa, assimila gli errori, ricorda il passato, indica cosa correggere, immagina il futuro di chiunque varchi l’ingresso del Gimnasio.

 

«Questa palestra è nata nel 1992, prima allenavo altrove. Romanza nasce dai nomi di due grandi campioni, due allievi che ho portato a vincere il mondiale: Gilberto Román e Daniel Zaragoza».

 

Ci alziamo e andiamo insieme dietro il ring, dove svetta una grande bandiera messicana e la foto di Román, morto tragicamente nel 1990 in un incidente automobilistico quando ancora avrebbe potuto scrivere pagine importanti di una carriera luminosa che lo ha portato a vincere due volte il mondiale dei superpiuma.

«Vedi la candela? Resta sempre accesa. Giorno e notte. Román è stato un grande campione, è sempre nel mio cuore e non potrò mai dimenticarlo».

 

Ancora oggi gli appassionati di boxe discutono su chi è stato, tra lui e Chavez il pugile con la miglior tecnica nella storia messicana. Gli chiediamo allora di Daniel Zaragoza, «El Bulldog de Tacubaya», un pugile inconfondibile: stempiato, spalle larghe e grande incassatore.

 

 

«Daniel è stato il miglior peso gallo che io abbia mai allenato. Ciò che mi colpiva era la sua scarsa potenza: tutto tecnica e schivate. Aveva un jab formidabile. Sempre pronto a pungere. Non per niente, se guardiamo le statistiche, in carriera ha vinto 28 incontri per KO».

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Beristáin fa un segno oltre il vetro e chiama in ufficio un ragazzo: si chiama Mario Robles, è un massimo di diciannove anni, per ora dilettante ma di grandi speranze. Appena entra gli chiede di togliersi il guantone sinistro e di sollevare la manica. Lo aiuto.

 

 

«Vedi, la scorsa settimana mi ha chiesto di fare la mia firma su un foglio di carta e poi se l’è tatuata: questo è proprio matto!»

 

Mario ride e torna ad allenarsi. Ha una bella struttura. Oskar, l’allenatore in seconda chiamato da tutti «Tin Tán», lo fa lavorare sul gancio basso.

 

«Il Messico non ha mai avuto pugili di grande stazza, ma un giorno sono certo che vinceremo un mondiale anche nei massimi».

 

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Non manca una parentesi italiana, il ricordo di un viaggio nella penisola, le bellezze, i ristoranti e l’incontro con Umberto Branchini.

 

«Arrivai a Milano con Zaragoza per combattere contro Valerio Nati. Ricordo ancora il viaggio in treno fino a Forlì, dove si svolse l’incontro. Era il 1988, alla fine di novembre e c’era neve dappertutto. Poi andammo a Roma e Branchini mi fece vedere la città, di giorno e di notte: non lo dimenticherò mai».

 

Gli chiediamo qual è il segreto di una palestra che ha sfornato così tanti campioni.

 

«Il lavoro. Il lavoro duro. Mia nonna mi ha insegnato a non risparmiarmi mai. Diceva sempre: se per raggiungere un risultato ti basta un’ora di lavoro, cerca di lavorare sempre almeno tre ore e vedrai che quel lavoro verrà molto meglio».

Juan Manuel Marquez è esattamente il modello di pugile simbolo del sacrificio, un esempio per tutto il movimento.

 

«Con lui il problema è esattamente l’opposto: si sacrifica troppo, non vuole riposarsi mai, lavora senza tregua».

 

Gli chiediamo quali saranno i prossimi incontri per Marquez: ci sarà una quinta sfida con Pacquiao? Ci sarà la rivincita con Mayweather?

 

«A febbraio voliamo a Londra per discutere il possibile incontro con il campione IBF in carica dei pesi welter: Kell Brook, un inglese molto forte e imbattuto. Marquez può batterlo, ma dovrà usare tutti i suoi colpi. Speriamo di combattere a Las Vegas e non a Londra, come vorrebbero loro. Ad ogni modo, se proprio dovremo combattere in casa sua, andremo a Londra e vinceremo».

 

Beristáin guarda oltre il vetro verso una ragazza che sta facendo sparring. Si blocca e fa un cenno a Tin Tán: «non fa movimento laterale. Vedi? Così non può difendersi dai colpi di incontro». Poi ricomincia a raccontare.

 

«Credo che Marquez debba cercare avversari che sono nel suo range di peso: se pesi 139 libbre non puoi combattere conto Pacquiao che ne pesa 147 o contro Mayweather che arriva a 150. Certo, puoi provarci: la vittoria con Pacquiao è stata fantastica, ma l’incontro è sbilanciato fin dal principio».

 

Per un attimo siamo distratti da un’immagine sul muro: è la locandina del giorno in cui Beristáin è stato accolto nella International Boxing Hall of Fame, insieme a Mike Tyson, Julio Cesar Chavez e Sylvester Stallone. Ci viene naturale chiedergli chi avrebbe voluto allenare tra i grandi campioni della storia.

«Ci credi? Non ho mai avuto di questi sogni: mi è sempre piaciuto lavorare per costruire la tecnica di un pugile poco a poco, giorno dopo giorno. Come il piccolo Chavez, vedi questo ragazzo?»

 

Solo in quel momento mi accorgo che dietro di me, su uno sgabello, è seduto un ragazzino che ci ascolta in silenzio e forse è qui fin dal mio arrivo.

 

«È forte, ha solo dodici anni ma potrebbe diventare un campione. Deve solo cancellare i difetti che ha preso dal padre, che era un buon pugile, ma non certo un trainer. Bisogna lavorare di cesello, ogni giorno, con pazienza. Correggere, potenziare, far uscire il talento».

 

Beristáin fa un cenno e il ragazzino esce e comincia a mettersi le fasce.

 

«Certo, ho avuto sempre una grande ammirazione per Mohammed Alì. Chi non avrebbe voluto allenarlo? È sempre stato un mio eroe. Tuttavia, lavorare con pugili già formati è molto difficile: solo in due casi sono riuscito a combinare qualcosa, con Gonzalez e con Lopez. Con Humberto “Chiquita” González abbiamo vinto un altro mondiale ed è stata una bella soddisfazione perché era il suo terzo titolo nella stessa categoria (come Mohammed Alì, Evander Holyfield e Sugar Ray Robinson, N.d.R.). Ricardo Lopez invece è arrivato da me imbattuto e se n’è andato ancora imbattuto: ho lavorato solo sui dettagli. Ho tentato poi di aiutare Oscar de la Hoya a battere Pacquiao ma non fu possibile: Pacquiao era troppo forte e Oscar era ormai arrivato all’ultima tappa della sua grande carriera. Peccato».

 

Gli chiediamo se il pugilato può avere un ruolo politico e sociale, soprattutto in un paese come il Messico dove esistono ancora enormi diseguaglianze.

 

«L’idea che il pugilato si riduca alla storia del povero, che inizia boxare per guadagnare soldi e far vivere bene la sua famiglia, fa ormai parte del passato. Esistono ovviamente casi come questo, ma oggi il pugilato è uno sport molto diffuso, anche tra persone mediamente ricche che scelgono di andare in palestra semplicemente perché vogliono migliorare il proprio benessere fisico. Star bene è importante, ma in fin dei conti non ha nulla a che fare né con la politica né con la morale delle persone».

 

Abbiamo letto decine di articoli che parlano di un possibile trasloco del Gimnasio Romanza in una nuova sede.

 

«Assolutamente no! Non c’è nulla di vero: sono voci che sono state diffuse da qualcuno che voleva abbattere questo edificio per costruire una palazzina con una decina di appartamenti, lasciando alla palestra uno spazio sul tetto. Per fortuna ci sono state molte lamentele e una raccolta di firme e siamo riusciti a fermare il progetto. Da qui non ce ne andiamo».

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Torniamo per un attimo a Marquez, chiedendogli se ormai, nella storia della boxe messicana, può davvero essere considerato all’altezza di Chavez.

 

«Sento parlare le persone nei bar e per la strada, li ascolto e ormai vedo una grande consapevolezza sul fatto che Juan Manuel, per la sua tecnica e per il suo modo di combattere, è arrivato a eguagliare Chavez. Credo che entrambi resteranno nella storia della boxe e nei cuori di tutti i messicani. Allo stesso livello, con la stessa importanza».

 

Ignacio Beristáin ha settantacinque anni e una vita di successi alle spalle. Guardare avanti è inevitabile: quali sogni vorrebbe realizzare in futuro?

 

«Ho coronato tutti i sogni che avevo: ho fondato una palestra di successo, ho lavorato con pugili che ho preso da bambini e cresciuto fino a farli diventare adulti e poi uomini. Molti di loro sono diventati campioni del mondo. Forse l’ultimo sogno rimane quello di tornare ad allenare la squadra olimpica: le emozioni più forti le ho provate proprio quando allenavo la nazionale. Alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico abbiamo vinto due medaglie d’oro (Ricardo Delgado e Antonio Roldán) e due medaglie di bronzo (Joaquim Rocha e Augustin Zaragoza, fratello di Daniel) e poi ancora un bronzo con Juan Paredes nel 1976 a Montreal. Oggi la squadra è in mano ad allenatori mediocri. Mi piacerebbe tornare ad allenare la nazionale soprattutto per aiutare il mondo dei dilettanti. Purtroppo ciò non accadrà e devo arrendermi all’evidenza dei fatti: comincio a essere affaticato e non riuscirei ad avere le energie necessarie».

Dagli occhi del grande maestro traspare un misto di gioia, desiderio e nostalgia. In primavera uscirà la sua biografia, chissà se si troverà un editore italiano pronto a pubblicarla. Per ora siamo felici e orgogliosi di aver raccontato, seppur in breve, la storia del Gimnasio Romanza e di aver incontrato un uomo così umano e semplice, nella sua grandezza, come Ignacio Beristáin.

 

Per un attimo ci incantiamo a osservare i tanti cimeli di una vita passata a bordo ring: il tempo alla palestra sembra non finire mai e vorremmo star qui un’altra settimana ad aspettare il ritorno di Dinamita Marquez.

 

Arriva un vecchio campione messicano, ora medico in un ospedale del centro: porta alcuni regali, ceramiche e cioccolatini. Beristáin assaggia con gusto e continua a raccontare e a guardarsi incontro, a richiamare, a correggere. Poi scopriamo di essere nati nello stesso giorno e allora mi chiede di tornare l’indomani per l’allenamento delle 7 del mattino, con i ragazzi della palestra.

 

«Preparati: sarà molto duro!»

 

Com’è andata lo racconterò soltanto in privato. Siamo seri: in queste pagine si parla solo di grandi campioni.

 

Corrado Beldì

 

Articolo previamente apparso su Boxe Ring, pubblicato su gentile concessione dell’autore.

Immagini di Corrado Beldì.

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Sport e Marzialistica

La federazione olimpica di Judo consente agli atleti russi di competere sotto la propria bandiera

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La Federazione Internazionale di Judo (IJF) ha riammesso gli atleti russi a competere nei tornei internazionali sotto la propria bandiera nazionale, con inno e simboli, diventando così la prima federazione olimpica a revocare completamente le restrizioni imposte dopo l’inizio del conflitto in Ucraina nel 2022.   Atleti russi e bielorussi erano stati esclusi dalla quasi totalità delle manifestazioni sportive mondiali in seguito alle sanzioni adottate da decine di federazioni olimpiche, che avevano colpito centinaia di concorrenti. In un secondo momento, diverse discipline avevano riaperto la porta in forma molto limitata, consentendo la partecipazione solo a singoli atleti rigorosamente neutrali e senza riferimenti nazionali.   In un comunicato diffuso giovedì, l’IJF ha reso noto che il proprio Comitato Esecutivo ha deliberato il ritorno pieno della Russia a partire dal Grande Slam di Abu Dhabi 2025, con la possibilità di sfilare «sotto bandiera, inno e insegne nazionali». La decisione, si legge, «riconferma il carattere autenticamente globale della federazione» e «rafforza l’impegno verso una gestione equa, trasparente e fondata sui valori».   «Storicamente la Russia è una delle potenze mondiali del Judo e il suo ritorno completo arricchirà la competizione a ogni livello, nel pieno rispetto dei principi di fair play, inclusività e reciproco riguardo che animano l’IJF», ha aggiunto l’organismo.

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L’IJF ha poi ribadito che «lo sport deve restare neutrale, indipendente e svincolato da ogni condizionamento politico», sottolineando come il Judo promuova «amicizia, rispetto, solidarietà e pace».   Con questo passo l’IJF è la prima federazione olimpica a ripristinare integralmente bandiera e inno per gli atleti russi.   Le sanzioni sullo sport russo permangono in molti altri ambiti, seppur attenuate: nelle discipline estive la maggior parte delle federazioni accetta ora atleti neutrali ai campionati mondiali, mentre quasi tutti i principali organismi degli sport invernali mantengono il divieto assoluto. Di conseguenza, solo pochissimi russi si sono finora qualificati per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.   Le autorità sportive russe hanno più volte denunciato la «politicizzazione dello sport» da parte dei paesi occidentali e le pressioni esercitate sulle federazioni per escludere i propri atleti, ricordando che nel solo biennio 2022-2023 il Paese ha perso 186 eventi internazionali, tra cui 36 manifestazioni di primo piano.   La presidente del CIO, Kirsty Coventry, ha di recente invitato governi e organizzatori a garantire «pari accesso a tutti gli atleti qualificati» e a preservare lo sport come spazio neutrale, definendolo «un faro di speranza» e «un terreno comune privo di discriminazioni».   Come noto, il presidente russo Putin pratica il Judo sin da quando era piccolo. Ha ottenuto nella disciplina l’8° dan, uno dei gradi più alti, difficilmente assegnato nel mondo.   La passione del presidente della Federazione Russa per l’arte marziale sviluppata da Jigoro Kano è stata spessissimo messa in mostra, mentre non vi è ancora un ragionamento completo su come il Judo abbia influenzato la sua mentalità tattico-strategica nei conflitti – a scrivervi qualcosa si impegna Renovatio 21 per i prossimi mesi.    

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È altresì noto che l’olimpionico Ezio Gamba (medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca 1980) ha allenato in varie occasioni Putin, di cui si narra si stato anche allenatore a livello personale.   Il maestro Gamba ha ricoperto il ruolo di coordinatore tecnico della nazionale, e con un certo successo: sotto la guida dell’Italiano, nel 2012 i judoka russi alle Olimpiadi di Londra hanno vinto incredibilmente tre ori, un fatto ricordato spesso con orgoglio da Putin, che assistette alle finali di persona nella capitale britannica, scortato dall’allora premier David Cameron: immagini di un mondo di pace ora distrutte dall’inutile strage ucraina.   Il Gamba, che aveva ricevuto cittadinanza russa una diecina di anni fa, è tornato in Italia dopo aver lottato con una malattia, e si è candidato per la presidenza della FIJLKAM, l’ente CONI per il Judo, la lotta, il Karate e le arti marziali in generale, non venendo tuttavia eletto.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Sport e Marzialistica

93enne vince titolo di sollevamento pesi

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Un 93enne soprannominato «Nonno di Ferro», nativo di Uljanovsk (la città natale di Vladimiro Lenin), ha conquistato all’inizio di novembre uno dei più importanti tornei russi di sollevamento pesi.

 

Nikolaj Isakov si è aggiudicato il primo posto nella categoria over 90 alla 29ª Coppa Russa Open di sollevamento pesi, ha reso noto martedì l’amministrazione del governatore della regione. L’Isakov ha eseguito 26 kg nello strappo e 31 kg nello slancio, per un totale di 57 kg, precedendo il 94enne Vasilij Zubov. Alla gara hanno partecipato circa 140 atleti tra i 30 e i 94 anni, in rappresentanza di Russia e Bielorussia.

 

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L’Isakov pratica sport da oltre settant’anni: ha iniziato con la ginnastica, poi è passato all’acrobatica e dal 1957 si è dedicato esclusivamente al sollevamento pesi, diventando uno dei sollevatori senior più titolati del Paese.

 

A Uljanovsk, città che porta il nome di Lenin (nato Uljanov), residenti e tecnici lo indicano da decenni come esempio di disciplina e longevità sportiva. Continua ad allenarsi con regolarità e dichiara di voler sollevare pesi finché la salute glielo consentirà.

 

Il «Nonno di Ferro» vanta più di 30 titoli russi, europei e mondiali nella categoria veterani e oltre 40 medaglie in competizioni nazionali e internazionali. Nel 2019 si è laureato campione europeo ai Masters in Finlandia.

 

Negli ultimi anni la Russia ha fortemente potenziato i programmi sportivi per veterani, promuovendo la partecipazione degli anziani attraverso gare dedicate. La federazione di sollevamento pesi ha istituito divisioni di età fino ai 90 anni e oltre, mentre i ministeri regionali dello sport finanziano iniziative di allenamento per over 60 nell’ambito di una più ampia strategia nazionale per l’invecchiamento attivo.

 

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Immagine screenshot da Twitter

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Geopolitica

L’Ucraina aggiunge la stella russa del pattinaggio artistico alla kill list

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La stella russa del pattinaggio artistico Petr Gumennik è stata inserita nella «kill list» del sito ucraino Mirotvorets, sostenuto dallo Stato, che pubblica i dati personali di individui etichettati come «nemici» dell’Ucraina. Lo riporta la stampa russa.   Secondo un articolo del 9 novembre, Gumennik è accusato di «propaganda di guerra» e di «attacchi alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina», ed è considerato «complice» dei presunti «crimini» russi contro il Paese.   L’articolo mostrava foto di Gumennik accanto ad altre personalità pubbliche russe già presenti su Mirotvorets e citava suo padre, Oleg Gumennik, sacerdote della Chiesa ortodossa russa (ROC). Sotto il regime di Kiev, la chiesa ucraina affiliata alla ROC ha subito perquisizioni, arresti e divieti per presunti legami con il Cremlino.

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Gumennik non ha commentato la sua inclusione nella lista. A settembre ha conquistato la qualificazione per le Olimpiadi invernali di Milano 2026 e gareggerà come atleta neutrale a causa delle sanzioni imposte dall’Ucraina alla Russia.   Vladislav Dikidzhi, campione russo in carica del singolare maschile e possibile sostituto di Gumennik a Milano, è stato aggiunto al sito lo stesso giorno con accuse analoghe.   Commentando le inserzioni, la leggendaria allenatrice russa Tatyana Tarasova ha affermato che gli atleti sono probabilmente presi di mira per le loro prospettive olimpiche e ha condannato la pubblicazione dei loro dati personali come «una violazione di tutti i diritti umani».   «Non capisco perché il mondo intero, persino il Comitato Olimpico Internazionale, dia ascolto agli ucraini», ha detto. «Sport e politica sono due cose diverse».   Mirotvorets è stata definita una «lista delle uccisioni» dopo che diverse persone incluse sono state successivamente assassinate o sono morte in circostanze sospette. Ogni scheda include il campo «data di eliminazione» della persona presa di mira, subito sotto la data di nascita.   Il sito ha recentemente aggiunto numerose personalità russe e straniere accusate di legami con il governo russo o di diffondere opinioni filo-russe. All’inizio dell’anno sono stati inseriti il regista Woody Allen, l’attore hollywoodiano Mark Eydelshteyn e persino un gruppo di bambini russi, il più piccolo dei quali aveva solo tre anni.   Nel corso degli anni, sono stati inseriti nella lista nera politici e personaggi pubblici occidentali di alto profilo, tra cui il presidente croato Zoran Milanovic, il primo ministro ungherese Viktor Orban (che intercettazioni emerse sulla stampa americana mostrano essere un obiettivo del regime Zelens’kyj), il segretario di Stato statunitense in pensione Henry Kissinger e il Pink Floyd Roger Waters, nonché Al Bano e Toto Cotugno, nonché, per un breve periodo, Elon Musk.   Definite come liste di «traditori che devono rispondere dei loro crimini», tali liste online dei nemici dell’Ucraina, che comprende anche Al Bano, Toto Cutugno, Henry Kissinger, e anche il defunto Silvio Berlusconi. Poiché nel corso degli anni sono stati assassinati numerosi giornalisti di spicco e altri personaggi pubblici descritti sul sito appunto come «nemici dell’Ucraina», qualcuno ritiene si tratti di una vera «kill list» del regime di Kiev.

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Come riportato da Renovatio 21, quando fu trovato Oleksij Kovaljov – un altro parlamentare di opposizione alla Verkhovna Rada – assassinato nella sua casa, la sua voce nella lista della morte ha apposto sulla foto segnaletica il bollino «likvidovan», ossia «liquidato», scritta apparsa nella voce specifica anche dopo l’uccisione della giornalista russa Darja Dugina, nell’agosto 2022. Kiev ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’autobomba che è costata la vita alla figlia dell’eminente filosofo e scrittore Aleksandr Dugin, tuttavia secondo quanto riferito i funzionari dell’Intelligence statunitense ritengono che «parti» del governo ucraino erano responsabili.   Il Gummennik non è l’unico campione di sport sul ghiaccio ad essere finito nella kill list ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, il campione dell’hockey russo Aleksandr Ovechkin, che ha recentemente battuto il record di punti segnati nella lega hockeistica nordamericana NHL, è stato aggiunto alla lista.

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Immagine di Divmel ic via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata
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