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Geopolitica

L’Azerbaigian attacca l’enclave armena. Partita la guerra anche nel Caucaso?

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L’esercito dell’Azerbaigian ha attaccato le aree della regione del Nagorno-Karabakh – enclave sotto il controllo armeno – mandando in frantumi l’instabile pace nella regione, una prima significativa dalla guerra del 2020 durata sei settimane.

 

I rappresentanti del Karabakh hanno affermato che una «offensiva militare su larga scala» sta prendendo di mira le resistenze armene e hanno accusato le forze azere di aver «violato il cessate il fuoco lungo l’intera linea di contatto con attacchi di artiglieria missilistica».

 

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha accusato le forze armene di provocazioni, citando il «bombardamento sistematico» delle posizioni dell’esercito azero. Baku l’ha definita un’operazione contro «attività antiterroristiche locali… per disarmare e garantire il ritiro delle formazioni delle forze armate armene dai nostri territori». Baku si è impegnata ad attaccare solo obiettivi militari e ha affermato che stava cercando di «sventare provocazioni su larga scala» da parte armena.

 

Testimonianze locali tuttavia parlando di attacchi ad aree residenziali senza che vi siano obiettivi militari nei paraggi.

 

 

Il ministero degli Esteri armeno ha accusato l’Azerbaigian di aver scatenato «un’altra aggressione su larga scala contro il popolo del Nagorno-Karabakh», dopo che Baku aveva annunciato «misure antiterrorismo» locali nella regione contesa.

 

L’Armenia ha condannato il suo rivale sia per gli sviluppi più recenti che per i «crimini di massa» commessi durante le ostilità tre anni fa. L’Azerbaigian ha perseguito la «pulizia etnica» degli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh, sostiene la dichiarazione del ministero di Yerevan, sostenendo che Baku opera nell’«impunità» dato il suo aperto riconoscimento delle sue azioni.

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La tregua è definitivamente morta. La BBC riporta che «undici poliziotti e civili azeri sono stati uccisi nell’esplosione di una mina e in un altro incidente». Il responsabile per i diritti umani del Nagorno-Karabakh aveva invece affermato che due persone sono morte, tra cui un bambino, mentre 11 persone sono rimaste ferite.

 

 

In loco dovrebbero essere presenti circa 2.000-3.000 militari russi come parte della soluzione postbellica emersa dopo il 2020. Tuttavia il primo ministro armeno Nikol Pashinyan si era lamentato del fatto che le forze russe stavano «lasciando spontaneamente la regione».

 

L’Armenia, alleato di Mosca potrebbe di fatto aver irritato Mosca scegliendo prima di aderire al trattato della Corte Penale Internazionale (che vuole processare il presidente russo Vladimir Putin) con la ratifica del Trattato di Roma e poi di effettuare esercitazioni con gli USA (i war games Eagle Partner 2023).

 

L’Armenia è membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), una sorta di «NATO degli ex sovietici» che comprende anche Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Yerevan è stata sempre più critica nei confronti del ruolo del CTSO nel Caucaso meridionale, sostenendo che il blocco non è riuscito a proteggerlo dalla presunta aggressione azera.

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L’Armenia ora chiede anche al suo potente alleato nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), la Russia, di agire. Ma Mosca, nonostante abbia da tempo una base militare in Armenia, è da anni riluttante a farsi coinvolgere maggiormente, e soprattutto ora che è assorbita dalla guerra in Ucraina.

 

Yerevan ha accusato Baku di aver affamato il Nagorno-Karabakh bloccando il corridoio di Lachin, l’unico via d’ingresso per merci ed alimenti.

 

L’Armenia ha affermato che finora i combattimenti non si sono estesi ai propri confini, affermando che all’interno dei confini le cose sono «relativamente stabili».

 

 

È probabile che le Nazioni Unite affrontino la fiammata di nuove violenze, dato che l’assemblea generale è attualmente in corso a New York. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan sollecita una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

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Pashinyan ha chiesto «passi chiari e inequivocabili per porre fine all’aggressione azera».

 

 

L’Azerbaigian è stato accusato di aver tentato di condurre un lento genocidio degli armeni nella regione del Nagorno-Karabakh tagliando cibo, medicine e aiuti umanitari.

 

Il Nagorno-Karabakh si separò dall’Azerbaigian negli ultimi giorni dell’Unione Sovietica. La popolazione della regione, prevalentemente etnicamente armena, ha combattuto una guerra su vasta scala per l’indipendenza negli anni ’90 e mantiene stretti legami con Yerevan.

 

L’Armenia cristiana e l’Azerbaigian musulmano combatterono in quel periodo una guerra in cui almeno 200 persone furono uccise a causa della separazione etnica armena del Nagorno Karabakh, che dichiarò l’indipendenza nel 1991, nonostante fosse riconosciuto a livello internazionale come territorio dell’Azerbaigian.

 

Il conflitto del 2020 è stato il secondo grande scontro sul Nagorno-Karabakh e si è concluso con l’Azerbaigian che ha ottenuto il controllo di una parte significativa dei territori precedentemente perduti. Un cessate il fuoco mediato da Mosca, che ha posto fine alle ostilità, ha aperto la strada allo spiegamento di forze di pace russe nella regione contesa.

 

Baku ha affermato che sta attualmente cercando di far rispettare i termini dell’accordo trilaterale con Yerevan e Mosca riguardo alla missione di mantenimento della pace e che i comandanti delle forze russe di stanza nell’area erano stati informati delle sue intenzioni.

 

Tuttavia, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato che l’avvertimento è arrivato «pochi minuti prima dell’inizio dell’azione militare».

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Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi mesi Baku era entrata in collisione anche con l’Iran, storico alleato degli armeni, conducendo massive esercitazioni militari ai confini azeri.

 

È chiaro che, a questo punto, la frizione tra Teheran e Baku può degenerare, anche se non è chiaro quanto la svolta filoamericana di Yerevan possa allontanare Teheran.

 

L’Armenia in teoria sull’appoggio di Teheran. Una delegazione di membri del parlamento armeno ha visitato Teheran il 13 ottobre scorso e ha incontrato diversi alti funzionari del governo iraniano, tra cui il ministro degli Esteri Amir-Abdollahian.

 

Come riportato da Renovatio 21, non solo la Turchia ha appoggiato in maniera totale l’Azerbaigian durante gli scontri degli scorsi anni, ma lo stesso clan Erdogan avrebbe affari milionari con il potere azero nel Nagorno-Karabakh.

 

Ciò che sta accadendo nel Caucaso ha ripercussioni notevoli anche sull’Italia, in ispecie in questo momento di crisi energetica.

 

Come noto, l’Azerbaigian è il Paese da cui proviene il gasdotto TAP, che attraversa la Turchia, la Georgia e l’Europa orientale meridionale per arrivare in Puglia. Si tratta di una risorsa irrinunciabile ora che la fornitura di gas russo è compromessa. Da ciò è spiegabile l’assordante silenzio che i media e i politici europei stanno facendo cadere sull’ennesima aggressione dell’Armenia da parte dell’Azerbaigian. Al contrario, la Russia ha cominciato a muoversi, inviando truppe del CSTO  al confine azero.

 

Lo scorso 16 settembre il quotidiano La Verità titolava «ignorata l’aggressione all’Armenia fatta dallo Stato che pagava le mazzette».

 

Oggi più che mai, è possibile che, anche senza mazzette, a Baku verrà perdonata qualsiasi cosa: perché l’Italia e l’Europa senza gas sono appesi a qualsiasi fornitore che non sia la Russia. Ne rimangono pochi, e nemmeno in grado di garantire l’approvvigionamento necessario al nostro Paese, sempre più sulla strada dell’implosione energetica – e morale.

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Geopolitica

Gli USA stanno segretamente elaborando con la Russia un nuovo piano di pace per l’Ucraina

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Gli Stati Uniti starebbero elaborando in gran segreto una proposta inedita per risolvere il conflitto ucraino, secondo quanto rivelato martedì da Axios. La bozza, articolata in 28 punti, sarebbe stata redatta in coordinamento ravvicinato con Mosca e già condivisa con Kiev e i suoi alleati europei. Lo riporta la testa americana Axios.   Il piano trae ispirazione dai principi emersi dal colloquio tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin in Alaska lo scorso agosto. Il negoziatore moscovita Kirill Dmitriev ha confidato ad Axios di aver dedicato tre giorni, durante la sua visita negli USA alla fine di ottobre, a sviscerare l’iniziativa con l’inviato di Trump, Steve Witkoff.   «Siamo convinti che questo schema arrivi nel momento propizio», ha commentato un alto esponente americano a conoscenza dei dettagli, aggiungendo: «Tuttavia, entrambe le controparti dovranno mostrarsi pragmatiche e ancorare le aspettative alla realtà».   Mercoledì, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha minimizzato lo scoop, precisando che nei dialoghi tra Washington e Mosca non è emerso «nulla di innovativo» oltre a quanto già discusso ad Anchorage.

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Lo Witkoff ha visionato la bozza questa settimana con Rustem Umerov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, in un incontro tenutosi a Miami. Umerov, la cui famiglia vive negli Stati Uniti, ha lasciato Kiev in piena bufera per uno scandalo corruttivo che coinvolge Timur Mindych, fedelissimo di lunga data di Volodymyr Zelens’kyj, accusato di orchestrare un meccanismo di tangenti per 100 milioni di dollari legato all’operatore nucleare statale Energoatom.   I media ucraini sostengono che Umerov, durante il suo ruolo di ministro della Difesa, abbia ceduto alle pressioni di Mindych per approvare forniture di giubbotti antiproiettile non conformi, e ora si starebbe sottraendo al rientro in patria per timore di ritorsioni legate a presunte influenze del businessman.   L’inviato americano è atteso in Turchia mercoledì per un faccia a faccia con lo Zelens’kyj. Secondo l’Economist, lo Witkoff avrebbe cancellato un appuntamento con il capo di gabinetto presidenziale Andriy Yermak, sospettato di intrecci con la rete di Mindych, per evitare di incappare in ulteriori tensioni politiche che potrebbero accelerare un possibile licenziamento dello Yermak.   «Witkoff potrebbe non aver colto appieno lo scandalo in cui rischiava di ficcarsi concordando quell’incontro», ha osservato il giornalista dell’Economist Oliver Carroll su X.     Mosca ha ribadito che un accordo stabile deve salvaguardare le sue priorità in termini di sicurezza. Dmitriev si è detto «moderatamente fiducioso» sulla bozza americana, notando: «Abbiamo l’impressione che la prospettiva russa sia stata finalmente presa in considerazione».  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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L’ONU approva la «forza di stabilizzazione» sostenuta da Trump a Gaza

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Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato una risoluzione elaborata dagli Stati Uniti che avalla un piano di pace per Gaza e legittima l’istituzione di una «Forza Internazionale di Stabilizzazione» nell’enclave. La Russia, unitamente alla Cina, ha scelto l’astensione, motivandola con le molte criticità operative del testo e il rischio che ne derivi un indebolimento dell’idea di soluzione a due Stati.

 

Lunedì, l’organo a 15 membri ha espresso voto favorevole al documento americano, che appoggia il piano in 20 punti del presidente Donald Trump per chiudere il conflitto nella Striscia e convalida il «Board of Peace» (BOP), pensato quale autorità transitoria di governo.

 

La delibera conferma pure la creazione di una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) posta sotto l’egida del BOP. L’ISF dovrebbe integrare unità da nazioni arabe e non solo, al fine di preservare l’ordine pubblico, formare una forza di polizia palestinese innovata e monitorare il disarmo nonché la rinascita infrastrutturale di Gaza.

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L’ambasciatore statunitense Mike Waltz ha lodato il provvedimento, qualificandolo come «un ulteriore progresso decisivo verso una Gaza equilibrata, capace di fiorire, e un contesto che consentirà a Israele di esistere in piena tranquillità», precisando che le unità di sicurezza israeliane «sosterrebbero la smilitarizzazione della Striscia e l’eliminazione delle reti terroristiche».

 

La Russia, pur in grado di bloccare la risoluzione con il veto, ha optato per l’astensione, nondimeno Vassilij Nebenzia, rappresentante di Mosca all’Onu, ne ha aspramente contestato i contenuti, bollandolo come «l’ennesima beffa del caso».

 

«Il Consiglio concede il proprio imprimatur all’iniziativa Usa fondandosi solo sulle garanzie di Washington, affidando la Striscia di Gaza al Board of Peace e all’ISF, i meccanismi operativi dei quali ignoriamo ancora», ha dichiarato.

 

Nebenzia ha quindi invitato i membri dell’Onu a vigilare affinché il testo «non si risolva in un paravento per prove arbitrarie condotte da Stati Uniti e Israele nei Territori palestinesi occupati, né in una sentenza capitale per la soluzione a due Stati», rivelando inoltre che Mosca ha ritirato la propria proposta alternativa dopo aver rilevato l’appoggio di vari Stati arabi alla versione statunitense.

 

Hamas, che detiene il potere a Gaza, ha respinto con forza la risoluzione, argomentando che l’incarico all’ISF di disarmare le fazioni armate nell’enclave «le sottrae l’imparzialità e la converte in un attore del contenzioso al servizio dell’occupazione».

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Russia e USA in trattative per un possibile nuovo scambio di prigionieri

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La Russia e gli Stati Uniti stanno esaminando l’opportunità di un ulteriore scambio di detenuti, ha indicato martedì *Axios*, attingendo a fonti di entrambi i governi.   Tali scambi, l’ultimo dei quali datato aprile, si inserivano negli impegni del presidente statunitense Donald Trump per normalizzare i rapporti con Mosca dopo un decennio di tensioni diplomatiche. Kirill Dmitriev, collaboratore del presidente russo Vladimir Putin, ha confidato a *Axios* che l’ipotesi di un nuovo baratto è emersa durante il suo soggiorno a Washington a fine ottobre.   «Ho incontrato taluni funzionari USA e membri dello staff di Trump per trattare alcune materie di profilo umanitario, quali potenziali scambi di prigionieri su cui la controparte americana sta lavorando», ha rivelato Dmitriev al quotidiano in un’intervista telefonica.   Esponenti americani hanno corroborato che Dmitriev ha ventilato l’idea con l’inviato speciale Steve Witkoff e altri protagonisti dell’amministrazione Trump, ma non è stato siglato alcun patto né resi noti nominativi, secondo Axios.

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L’esecutivo Trump ha rigettato l’approccio precedente della Casa Bianca, mirato a emarginare Mosca sulla crisi ucraina, optando invece per un iter pragmatico di riconciliazione. I responsabili hanno dipinto gli scambi di prigionieri come un tassello per ricostruire la fiducia, al fine di sanare i vincoli bilaterali logorati durante la presidenza di Joe Biden.   A maggio, Washington avrebbe sottoposto a Mosca un elenco di nove individui da liberare. Tra essi, Joseph Tater ha lasciato la Russia a giugno, dopo che un collegio ha revocato il suo internamento psichiatrico forzato, nato da un fugace tafferuglio con le forze dell’ordine in un apparente episodio di squilibrio mentale.   Witkoff, artefice di svariati negoziati spinosi per Trump, ha presidiato direttamente l’orchestrazione dello scambio con la Russia. Questa settimana dovrebbe incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj in Turchia.   Il capo di Stato ucraino sta fronteggiando le ricadute politiche di un rilevante caso corruttivo che lambisce il suo fedelissimo Timur Mindich, imputato dal Bureau Nazionale Anticorruzione di aver pilotato un piano di tangenti da 100 milioni di dollari nel settore energetico. Stando ai media ucraini, l’inchiesta potrebbe aver goduto di un supporto discreto da parte delle autorità USA.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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