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«L’Ucraina può perdere tutto». Commenti e rivelazioni da un’intervista di Lukashenko

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L’Ucraina potrebbe perdere tutto il suo territorio se sceglie di continuare a combattere, ha dichiarato ieri il presidente bielorusso Alexander Lukashenko in un’intervista, aggiungendo che gli fa male vedere un paese con così tanto potenziale rovinato dagli oligarchi.

 

Verso la fine di un’intervista di due ore su YouTube a Minsk, la giornalista ucraina Diana Panchenko ha chiesto a Lukashenko cosa dovrebbe fare l’Ucraina per preservare la sua statualità.

 

«Il primo passo è porre fine alla guerra», ha risposto Lukashenko. «Sì, puoi continuare a lottare per questi territori», ha detto, indicando Donbass, Kherson e Zaporiggia sulla mappa. «Non vi sto dicendo di rinunciare a loro o altro. Ma scegli un altro metodo. Se combatterete per questi territori, li perderete», ha aggiunto, indicando le aree più a Ovest.

 

Il governo dell’Ucraina insiste per ripristinare i suoi confini del 1991, vale a dire Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporiggia – che hanno votato per l’adesione alla Russia nel settembre 2022 – e la Crimea, che lo ha fatto nel 2014, in risposta al colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti a Kiev.

 

Indicando la mappa, Lukashenko ha spiegato che la Russia può «schiacciare» l’esercito ucraino sul fronte, quindi muoversi per tagliare Kiev fuori dal mare prendendo Odessa, mentre la Polonia si «fregherà le mani con gioia» e con il sostegno degli Stati Uniti entrerà nelle regioni occidentali. «L’Ucraina come la conosciamo cesserebbe di esistere», ha aggiunto.

 

L’obiettivo principale della Russia in Ucraina è già stato raggiunto, ha detto Lukashenko all’inizio dell’intervista, spiegando che Mosca non può accettare un regime aggressivo e ostile alle sue porte, riporta RT in una sintesi della conversazione.

 

Gli ucraini devono capire chi sono e dove sono prima di poter pensare a dove stanno andando, ha detto all’intervistatrice. Ma nessuno può pensare al futuro quando le persone «comprano e vendono» documenti per evitare la leva e chiunque può essere rapito per strada e mandato al fronte ogni giorno, ha aggiunto il presidente.

 

«Quello che devi fare è ristabilire l’ordine, sulla base di principi normali conosciuti in tutto il mondo, giustizia e così via, e costruire la vita da questo», ha detto Lukashenko, aggiungendo che l’Ucraina ha bisogno di un esercito adeguato che «non combatterà per alcuni oligarchi o uno o due individui, ma che protegge le persone». Quindi può iniziare a pensare a come ricostruire l’economia e dare cibo e alloggio alla sua popolazione.

 

Il presidente bielorusso spiegato cosa ha dovuto fare la Bielorussia a partire dal 1991, quando l’Unione Sovietica è crollata e Minsk è stata sottoposta a un’enorme pressione per privatizzare tutto e passare a un’economia di tipo occidentale. L’Ucraina ha fatto così e gli oligarchi hanno rubato tutto, ha detto nell’intervista, mentre la Bielorussia ha scelto diversamente.

 

 

«L’Ucraina può farlo. È un Paese molto ricco, molto più ricco in termini di risorse naturali e clima della Bielorussia», ha detto Lukashenko, osservando a un certo punto che il suolo ucraino è così fertile che «puoi sputare e un banano cresce».

 

«C’è molto da fare. È ora di iniziare», ha detto. «Ma dovete fare il primo passo. Il primo passo è porre fine alla guerra».

 

Secondo Lukashenko «la guerra era evitabile… in qualsiasi momento. Può essere fermata ora e avrebbe potuto essere evitata allora». Il presidente ha osservato che nel 2015 è stato al centro degli eventi e ha facilitato la comunicazione tra l’allora presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko e il presidente russo Vladimir Putin.

 

«Gli accordi di Minsk avrebbero dovuto essere attuati. Eravamo d’accordo su tutto… Ma sono stati ignorati», ha detto, aggiungendo che Putin era «pronto al 100%» ad attuare gli accordi, ma Poroshenko aveva «paura che sarebbero state elette le persone sbagliate» se il Donbass fosse tornato in Ucraina come una regione autonoma.

 

Lukashenko ha affermato che Minsk «continuerà ad aiutare la nostra alleata Russia», ma se «gli ucraini non attraversano il nostro confine, non saremo mai coinvolti in questa guerra calda». Secondo il vertice di Minsk dozzine di NATO e altri Paesi stanno sostenendo l’Ucraina con coordinamento militare, Intelligence e addestramento, oltre a munizioni e forniture di armi, mentre «solo la Bielorussia sta apertamente aiutando la Russia».

 

Il presidente bielorusso ha anche respinto come «completa assurdità» l’idea che Putin lo stia spingendo a essere maggiormente coinvolto nel conflitto, osservando che la Russia ha forza lavoro e potenza di fuoco più che sufficienti per raggiungere i suoi obiettivi, dicendo: «70.000 truppe in più non cambieranno nulla».

 

Il leader di Minsk ha respinto le insinuazioni secondo cui il presidente ucraino Zelens’kyj avrebbe protetto Kiev e l’esercito ucraino avrebbe respinto la prima invasione russa, definendo l’idea una «favola… inventata dai mass media e dallo stesso Zelens’kyj, per presentarlo come un eroe». Lukashenko ha affermato che, all’epoca, Putin gli aveva detto che Kiev poteva essere catturata «subito, istantaneamente, ma un numero enorme di persone morirebbe».

 

Lukashenko ha osservato che le forze ucraine avevano dispiegato non solo carri armati ma anche sistemi di razzi a lancio multiplo nelle strade di Kiev, vicino a «asili, scuole, ospedali» e altri edifici pubblici. «Probabilmente sapete che le truppe russe, che erano alla periferia di Kiev, se ne sono ritirate». [Zelensky] ha distrutto lì l’esercito russo? No… Era seduto in una cantina in quel momento», ha detto Lukashenko.

 

Mosca ha già raggiunto l’obiettivo principale della sua operazione militare in Ucraina, ha proseguito il presidente bielorusso, spiegando che «l’Ucraina non sarà mai così aggressiva nei confronti della Russia dopo la fine di questa guerra, come lo era prima. L’Ucraina sarà diversa. Le persone al potere saranno più caute, intelligenti – più astute se vuoi».

 

Lukashenko ritiene che per far entrare l’Ucraina nella NATO, Zelens’kyj potrebbe spingersi fino a cedere parte del territorio del Paese sotto un protettorato polacco. Tuttavia, ha detto che «gli stessi ucraini non lasceranno che accada».

 

«Se entrano, non se ne andranno, perché gli americani sono dietro la Polonia. Bene, questo sarà territorio polacco. Perché la NATO non li accetterebbe in questo caso? Sarà già territorio polacco», ha detto Lukashenko.

 

«Questo è inaccettabile per noi e per i russi. È necessario preservare l’integrità dell’Ucraina, in modo che il paese non venga fatto a pezzi e diviso da altri Paesi. I negoziati vengono dopo», ha aggiunto.

 

Lukashenko ha affermato che gli ucraini sono sempre più disincantati nei confronti di Zelens’kyj, che non è un «eroe nazionale», ma un’immagine creata per il pubblico internazionale dalla macchina della propaganda occidentale, tracciando parallelismi con come, prima del crollo dell’Unione Sovietica, l’Occidente «andasse in visibilio per Gorbachev» in modo simile.

 

«Le persone in Ucraina stanno iniziando a vedere le cose chiaramente. E milioni di persone che sono fuggite dal Paese stanno alzando la voce dicendo che vogliono tornare a casa e chiedendo perché la guerra è ancora in corso», ha detto. «C’è una crescente consapevolezza che Zelens’kyj dovrebbe trovare una via d’uscita da questa situazione, per usare un eufemismo».

 

Il leader bielorusso ha affermato che le forze guidate dagli Stati Uniti cercano di indebolire la Russia con l’aiuto dell’Ucraina. «Non li infastidisce che i popoli slavi si combattano tra loro e si uccidano a vicenda. È vantaggioso per loro. Pertanto, avendo indebolito la Russia, si avvicineranno alla Cina da questa parte. Questa è la loro logica. Zelens’kyj sta al gioco. Ma alla fine l’Ucraina, un Paese fiorente e bello, benedetto dalle risorse naturali, cesserà di esistere».

 

 

 

 

 

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Scade il mandato di Zelens’kyj. Medvedev: «obiettivo legittimo», l’Ucraina è «un classico Stato fallito»

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Il mandato quinquennale di Volodymyr Zelens’kyj come presidente dell’Ucraina si è concluso lunedì 20 maggio. I suoi critici, specie russi, ora sollevano dubbi sulla sua legittimità come capo di Stato.

 

Il 31 marzo avrebbero dovuto svolgersi in Ucraina le elezioni presidenziali. Tuttavia, Zelens’kyj ha annunciato nel dicembre 2023 che non si sarebbero svolte elezioni presidenziali o parlamentari finché sarà in vigore la legge marziale.

 

La legge marziale è stata imposta dopo l’inizio del conflitto con la Russia nel febbraio 2022 e da allora è stata più volte prorogata dalla Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale ucraino.

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All’inizio dell’anno lo Zelens’kyj aveva ribadito che le elezioni sono «premature» a causa della guerra e della mobilitazione nazionale. Mercoledì scorso i legislatori hanno prolungato le misure di emergenza di altri tre mesi.

 

Non è tardata la reazione del capo del Consiglio di sicurezza russo, il sempre più fumantino, sempre meno diplomatico, sempre più apocalittico Dmitrij Medvedev.

 

Ieri l’ex presidente della Federazione Russa ha sostenuto che annullando le elezioni il leader ucraino ha «sputato» sulla costituzione nazionale, ha ignorato la Corte costituzionale e ha optato per «l’usurpazione del potere supremo».

 

Parlando all’agenzia di stampa TASS, Medvedev ha suggerito che lo Zelens’kyj teme di dover affrontare una competizione con l’ex capo militare ucraino, generale Valerij Zaluzhny e con l’ex presidente Pyotr Poroshenko, poiché avrebbero «troppe carte vincenti».

 

«Tutte queste manipolazioni con le leggi significano solo una cosa: la morte dello stato fallito dell’Ucraina, la sua trasformazione in un classico stato fallito, per usare il vocabolario americano», ha dichiarato il Medvedev all’agenzia russa.

 

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sostenuto gli sforzi di Zelens’kyj per rimanere al potere perché temevano «la vergognosa caduta del suo regime criminale», ha sottolineato l’alto funzionario del Cremlino.

 

«Ecco perché c’è un’alta probabilità che Zelenskyj avrebbe perso miseramente queste elezioni, e i cittadini del suo Paese inesistente avrebbero voluto un nuovo presidente nella speranza che avviasse i negoziati di pace con la Russia», ha tuonato sempre più incontenibile l’ex presidente russo.

 

Medvedev ha proseguito la tirata dicendo ai giornalisti che Zelens’kyj è «un parvenu politico» che ha vinto nel 2019 proprio perché ha condotto una campagna «sulla retorica della pace». Tuttavia, i sostenitori occidentali del regime di Kiev non potevano permettere la pace perché «guadagnano bene con i sanguinosi baccanali», ha sentenziato.

 

In quanto leader di un «regime politico ostile», lo Zelens’kyj sarebbe un obiettivo militare legittimo, ha continuato Medvedev nelle dichiarazioni alla TASS, spiegando come la questione della legittimità di Zelens’kyj come presidente non rivesta particolare importanza per Mosca.

 

«Per la Russia, la definitiva perdita di legittimità da parte dello pseudopresidente dell’ex Ucraina non cambierà nulla», ha dichiarato l’ex presidente russo, sottolineando che i leader dei Paesi che fanno la guerra sono «sempre considerati» un obiettivo militare legittimo.

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Medvedev è arrivato a definire Zelens’kyj come «criminale di guerra», che dovrebbe essere catturato e assicurato alla giustizia o «liquidato come terrorista» per i suoi crimini contro russi e ucraini, riporta il sito governativo russo RT, e non ha lesinato discorsi piuttosto minacciosi come quando ha parlato del destino del vertice ucraino che, secondo le parole di Medvedev può essere catturato e processato, oppure incontrare la stessa sorte del «maestro spirituale» Stepan Bandera, leader dei nazionalisti integralisti ucraini collaborazionisti hitleriani assassinato da agenti sovietici a Monaco nel 1959.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Medvedev aveva dichiarato il mese scorso che a complottare per l’eliminazione di Zelens’kyj sarebbero le stesse forze occidentali sue alleate.

 

Zelens’kyj è apparso sulla lista dei ricercati del Ministero degli Interni russo all’inizio di questo mese, anche se non sono stati rilasciati dati sui procedimenti penali contro di lui.

 

Ad ogni modo, il Medvedev, ha respinto l’idea che qualcosa di sostanziale cambierà in Ucraina dopo il 21 maggio. Gli ucraini «non vivevano comunque in uno Stato di diritto», ha detto, sostenendo che «la legge e la giustizia sono state dimenticate dieci anni fa», con il colpo di Stato di Maidan sostenuto dagli Stati Uniti a Kiev e l’inizio del conflitto nel Donbass.

 

Come riportato da Renovatio 21, usando la legge marziale per rimandare le elezioni, l’anno scorso Zelens’kyj era arrivato a far capire all’Europa che avrebbe tenuto le elezioni se gliele avessero pagate. Alcuni sostengono che la visita canterina del segretario di Stato Blinken a Kiev la scorsa settimana significhi il semaforo di verde di Washington all’assenza di consultazioni popolari: del resto, la democrazia si difende così, saltando le elezioni.

 

Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha recentemente affermato che «verrà presto il momento in cui molte persone, comprese quelle in Ucraina, metteranno in dubbio la legittimità» dello Zelens’kyj.

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato venerdì, durante la sua visita di Stato in Cina, che la questione della legittimità di Zelens’kyj è qualcosa che «il sistema politico e giuridico dell’Ucraina» deve affrontare, «prima di tutto la Corte Costituzionale», osservando che la Costituzione di Kiev consente «diverse opzioni».

 

«Per noi questo è importante perché se si tratta di firmare qualsiasi documento, sicuramente dovremmo firmare documenti su una questione così importante con le autorità legittime», ha spiegato Putin, rivelando che il Cremlino aveva mantenuto contatti regolari con il presidente Zelenskyj prima dello scoppio delle ostilità.

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Geopolitica

Gli israeliani negano il coinvolgimento nella morte del presidente iraniano

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Il governo israeliano non ha nulla a che fare con la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero domenica, ha riferito Reuters, citando un funzionario anonimo.   Raisi e molti altri funzionari iraniani, tra cui il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, sono rimasti uccisi quando l’elicottero su cui viaggiavano è precipitato nella provincia montuosa dell’Azerbaigian orientale, nel nord-ovest dell’Iran. Dopo più di dieci ore di ricerche – ostacolate dalla nebbia e dalla pioggia – il presidente e il suo entourage sono stati confermati morti.   Sabato il capo dello Stato si era recato nella regione di confine dopo essersi unito al presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev per inaugurare una diga. Raisi si era impegnato a visitare ciascuna delle 30 province dell’Iran almeno una volta all’anno, e quindi viaggiava regolarmente per il paese.

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La sua morte ha fatto ipotizzare che dietro l’incidente potrebbe esserci Israele, nemico di lunga data dell’Iran, scrive RT.   Lunedì un funzionario israeliano, che ha chiesto l’anonimato, ha negato il coinvolgimento della nazione nell’incidente, dicendo a Reuters «Non siamo stati noi».   L’ultima ondata di tensioni tra Israele e Iran è iniziata il 1° aprile, dopo che un presunto attacco aereo israeliano ha colpito il consolato iraniano nella capitale siriana Damasco. L’attacco ha ucciso sette ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), tra cui due generali di alto rango.   In risposta, Teheran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, che in seguito ha reagito con una manciata di droni e missili lanciati dall’aria.   La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», come chiama Israele.   Il ministro israeliano del Patrimonio, Amichai Eliyahu – noto per aver dichiarato la possibilità di nuclearizzare Gaza – ha reagito alla notizia della morte di Raisi pubblicando l’immagine di un bicchiere di vino su X, accompagnata da un «cin-cin» nella didascalia.   Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e leader del partito di opposizione di destra Yisrael Beiteinu, ha dichiarato al sito di notizie Ynet che Israele «non verserà una lacrima per la morte del presidente iraniano».   Il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato cinque giorni di lutto nel Paese per le vittime dell’incidente. Il vice di Raisi, Mohammad Mokhber, ha assunto la presidenza dopo l’approvazione di Khamenei lunedì. Mokhber manterrà la carica per 50 giorni fino allo svolgimento delle elezioni.

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Solo poche settimane fa il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.   «Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», aveva detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.   Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.   Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiarato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.   Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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Immagine di President of Russia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
     
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La Spagna richiama l’ambasciatore dopo che Milei dice che la moglie del primo ministro è «corrotta»

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La Spagna ha richiamato il suo ambasciatore in Argentina e ha chiesto scuse dopo che il presidente argentino, Javier Milei, ha fatto commenti sprezzanti sulla moglie del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez durante una manifestazione politica nella capitale Madrid.

 

Intervenendo domenica a un evento organizzato dal partito spagnolo di estrema destra Vox – dove ha partecipato in teleconferenza anche il premier italiano Giorgia Meloni, habitué degli eventi di Santiago Abascal – il Milei ha bollato Begona Gomez, consorte del premier Sanchez, come «corrotta» e ha descritto il socialismo come «maledetto e cancerogeno».

 

Le osservazioni arrivano dopo che un tribunale di Madrid il mese scorso ha avviato un’indagine sul presunto spaccio di influenza e corruzione di Gomez. Sotto inchiesta anche il PSOE, Partito Socialista Operaio spagnuolo guidato dal marito ora al potere in Ispagna.

 


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«Le élite globali non si rendono conto di quanto possa essere distruttivo attuare le idee del socialismo… anche se hai una moglie corrotta, diciamo, si sporca e ti prendi cinque giorni per pensarci», ha affermato Milei, riferendosi alla pausa di cinque giorni dai pubblici uffici che Pedro Sanchez ha preso in seguito alle accuse contro la moglie.

 

«Non lasciamo che il lato oscuro, nero, satanico, atroce, orribile e cancerogeno che è il socialismo prevalga su di noi», ha aggiunto promuovendo i suoi libri sul libertarismo a una festa dopo la manifestazione.

 

Il ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Albares ha immediatamente chiesto scuse pubbliche a Milei per i commenti, sostenendo che il suo comportamento «ha portato il rapporto tra Spagna e Argentina al suo stato più serio nella storia recente».

 

«È inaccettabile che un presidente in carica in visita in Spagna insulti la Spagna e il primo ministro spagnolo, un fatto che rompe con tutte le consuetudini diplomatiche e le regole più elementari di convivenza tra paesi», ha detto Albares in una dichiarazione video pubblicata su X domenica.

 

«Per questo motivo ho appena richiamato per consultazioni il nostro ambasciatore a Buenos Aires “sine die“», ha aggiunto il ministro.

 

Non è previsto che Milei incontrerà il primo ministro spagnolo o il re Felipe VI durante la sua visita, il che va contro il protocollo diplomatico. Il presidente sudamericano ha quindi rifiutato di scusarsi per le sue osservazioni, con un portavoce che ha detto che i funzionari spagnoli dovrebbero invece ritrattare i presunti insulti che hanno fatto contro il presidente argentino.

 

I rapporti tra Spagna e Argentina sono in declino dall’ascesa al potere di Milei a dicembre. Il premier Sanchez aveva sostenuto alle elezioni il rivale di Milei, Sergio Massa, e, secondo quanto riportato, non è stato in contatto con il leader argentino dopo la sua vittoria.

 

All’inizio di questo mese, il ministro dei trasporti spagnolo Oscar Puente aveva affermato che il presidente argentino aveva «ingerito sostanze» durante la sua campagna elettorale, alla quale Milei ha risposto con una dichiarazione in cui criticava le politiche del PSOE e indicava le accuse di corruzione contro la moglie di Sanchez.

 

Il Sanchez sostiene che non c’è verità nelle accuse mosse alla moglie e ha chiesto l’archiviazione del caso.

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La Spagna si accoda ad una serie di Paesi che hanno in questo momento gravi problemi diplomatici con Buenos Aires.

 

La Repubblica Popolare Cinese ha risposto pubblicamente ai piani annunciati da Milei in campagna elettorale di rompere i legami (perlomeno commerciali) tra l’Argentina e Pechino.

 

La Colombia ha espulso tutti i diplomatici argentini dopo che Milei ha definito il presidente colombiano Petro «assassino terrorista». Da notare come due settimane fa la Bogotá abbia rotto tutti i rapporti con Israele, Paese nel cuore del presidente argentino.

 

Come riportato da Renovatio 21, scorso mese Milei – che è consigliato da rabbini lubavitcher e sarebbe sul punto di «convertirsi» al giudaismo – ha offerto dichiarazioni di «chiaro e inflessibile sostegno a Israele» contro l’Iran, arrivando ad invitare l’ambasciatore dello Stato Ebraico a partecipare a una riunione del «gabinetto di crisi» argentino. La mossa, secondo quanto riferito, ha mandato in subbuglio i diplomatici argentini.

 

A fine 2023, prima di salire sul palco di una trasmissione TV di capodanno e limonare pubblicamente con la presentatrice all’epoca sua fidanzata, Milei aveva dichiarato l’intenzione di far uscire l’Argentina dai BRICS.

 

C’è da dire che in tutto questo marasma, una relazione internazionale il Milei pare averla sanata: quella con il Vaticano, dove ha abbracciato il papa suo connazionale dopo averlo chiamato, tra gli altri epiteti, «imbecille», «rappresentante del maligno», «affine ai comunisti assassini».

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